-7 in proposito, l'ombra di Antonio Piccinini era lì ammonilrice. Ora, alla Camera dei deputali, diventala davvero per volontà del capo del Governo e del partilo fascista, un'aula sorda e grigia, Giacomo Matteotti si ab:ò accusatore implacabile dell' invadente putredine. Come san Giovanni, non tacque, non seppe lacere, non volle tacere. S,1peva che il parlare gli sarebbe costalo fors'anche la vita, ma non tacque. Nella seduta del 30 maggio egli inficiò in blocco l'elezione della maggioranza governati va perchè nata dalla violenza e dalla frode. Documentò, precisò. Egli si eresse giudice. Fu interrotto ad ogni frase, ingiuriato, schernito, minacciato, complice il presidente. Cbi minacciava era gente che, come don Rodrigo, si sapeva non• minacciare in vano. Farinacci - che ventun anni dopo doveva pur esser raggiunto dalla giustizia vindice mentre fuggiva st::nza dignità fra casse ricolme d'oro e di gioielli e d' altre ricchezze rapinate durante un ventennio - lanciò la minaccia senza veli : « Vi faremo cambiar sistema I». E alla minaccia seguì l'azione orrenda. li 10 giugno, sul ponte Miivio del Lungotevere Arnaldo da Brescia, in Roma, nella capitale cioè d'un Paese ancora civile non ostante il fascit>mo, Giacomo Matteotti venne rapito e caccialo a viva forza in un'automobile che gli aggressori avevan pronta. Egli gridò, si dimenò, oppose resistenza sovrumana, dispe-· rata. Era solo e inerme e gli altri eran cinque e giovani e forti e armati e audaci, sicuri di quella sicurezza che dà l'impunità. Lo colpirono più volte con le armi da punta, mentre la macchina correva, correva lontano verso un destino ancora ignoto. La villi ma insanguinala gridò ancora: « Voi uccidete me ma non ucciderete mai l'idea che è in me ». Lo finirono a colpi di lima e il ferro atroce restò infìtto nella ferita. Quell'uomo non parlò più. La sua voce era spenta per sempre. Ma di Lui parlò e parla ancora lo spirito. BibliotecaGino Bianco
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