Renato Marmiroli - Giacomo Matteotti

\ RENATO MARMIROLI Cl~COM~OT.TIOT Discorso pronunziato la sera del 10 Giugno 1949 al circolo « Giovanni Zibordi » di Reggio Emilia A cura della Federazione Prov. Reggiana del P. S. L. I. 1949 Con il contributo di

.Biblioteca.Gino Bianco

RENATO MARMIROLI CIACOMAOTTIOT Discorso pronunziato la sera del 10 Giugno 194.9 al circolo « Giovanni Zibordi » di Reggio Emilia A cura della Federazione Prov. Reggiana del P. S. L. I. 1949 Biblioteca Gino Bianco

·Poligrafica Reggiana - Via Lelio, Orsi - Reggio Emilia BibliotecaGino Bianco

11111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111,111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111 Era giovine. Ed era ricco di censo e di ingegno. Ed era anche colto. Somma va in sè i beni della virtù e i doni della fortuna. Una natura, quindi, privilegiata. Avrebbe potuto chiedere alla vita le g101e brucianti, ma effimere, del godimento materiale. In un mondo, che par sempre più incupirsi e inoltrarsi nella selva oscura dei piaceri edonistici per lasciare la strada soleggiata del dovere, dell'arduo dovere, il denaro è spesso ésca e strume_nto ad un tempo, e via alle facili conquiste. Anche in un cuor puro, onesto, allevato a sentimenti non indegni, la felicità del nascere può esser stimolo a stu<li Heveri ed alti, ma che tengon lontani, in una sfera quasi si<lerale, -oltre l'amore e l'odio, che ci portano a combattere e a soffrire ,in questa aiuola che· ci fa tanto feroci. Fuori della mischia e al di Jopra della mischia. Egli no. Egli volle esser di questa terra, volle conoscere a fondo, da vicino, le miserie degli uomini. dei lavoratori. ch'egli considerava e amava come fratelli, e per ciò fu combattente nelle linee prime, fin i:lalla giovintizza, e scese ali' umile predicazione fra la gente n111ile, ponendo l'alto ingegno a servizio anche di cose apparentemente modeste. beo sapendo ch'e è dalle piccole cose che si giunge alle grandi, che la natura è tutta un' armonia, che il singolo pezzo forma il tutto della macchina, che non vi son po,-ti, per il buon combattente, di privilegio o di decorazione. E usò largamente dei b,ni finanziari, che la fortuna gli aveva elargito, come arma per la sua s.anla battaglia in difesa dei miseri. BibliotecaGino Bianco

4 Dei miseri e della Libertà. Perchè non si può, non Ri deve mai disgiungere la battaglia e la morte di Giacomo Matteotti, da questa sua rivendicazione dell'uomo e della sua dignità di cittadino: non schiavo,' non umile timoroso sollo la sferza del padrone del prete o del dittatore, ma cittadino inleg-ro, forse col cipiglio che padre Dante vide· nel fiero volto di Farinata. Per questo fu ucciso. I tiranni hanno paura sovra tutto di questi uom1n1, che sembran mandati dal Destino, che sembran ripetere la voce di un Diritto imprescrittibile, che sembran venir di lontano ed esser esistiti sempre: non aver tempo e non aver elà, non conoscere le distanze, perchè recano la voce dei secoli, la voce della Giustizia che ·tutt.i francheggia; uomini che con la parola e con l'esempio incidono nelle coscienze, lascian tracce di fuoco, sveglian dal sonno come le trombe di Gèrico, e portano l'uomo alla civile battaglia della redenzione. Diciannove secoli fa, sulle rive del Giordano, un giovine asceta di razza s11,cerdotale,Giovanni, bello e forte, vestito di pelli e cibanlt·si soltanto di miele e di cavallette, battezzava gli uomini e preparava le vie del Signore. Profetizza va cioè il rPgno dei cieli e avvertiva tlell' imminenza di una « grande ira,. che avrebbe giudicato tutti, restaurando la Giustizia. Egli era puro e innocente. Egli era puro e innocente, ma anche terri~ bile. Ond'è che quando seppe dell'unione incestuosa del tetrarca Antipa con la fosca Erodiade, gridò allo scandalo e alla vergogna. Allora gli sgherri (gli sgh'1rri della tirannide c'erano anche allora!) lo gettarono in una fetida prigione della for. tezza di Machero. Ma ancbe dal carcere Giovanni non cessò gli aspri rimproveri contro la coppia oggetto di scandalo. Sapeva che avrebbero potuto farlo tacere per sempre, ma. non tacque. ·Fu allora che la lasciva 8alomè, su istigazione della madre Erodiade, volle che come dono le venisse recata su un piatto la testa recisa nel giudeo ribell~. Diciannove secoli dopo, sulle rive del 'l'evere, un altro profeta, un rappresentante del popolo ad un' accolta che si chiama va Parlamento, essendosi eretto accusatore dei governanti del tempo, ladri_ barattieri e assassini, cbe si reggevano al potere con•Ja vic,lenza e con la _frode, venne rapito e ucciso. Biblioteca Gino Bianco

-5 E chi quell'uomo temeva e odiava come il vizio odia la virtù, volle gli fosse recata la prova che il delitto era stato consumato. ' Voi, oggi, inorridite, noi Lutti ancora inorridiamo al pensiero che un crimine così orrendo sia stato compiuto a sfregio ed onta di tanti secoli di civiltà; eppure il delitto fu compiuto e ci f.u anche chi a quel martirio irrise e di quelle carni straziate fece oggetto di scherno. Voi conoscete la cronaca, che già s'è fatta storia, e si farà leggenda per i nostri nepoti. Nè io veglio, qui, ripeterla, se non fugacissimamente e soltanto per i più giovani. per coloro che non sanno perchè non erano ancor nati, o per quegli altri che non trovan tempo nè voglia di accostarsi ai nostri vecl'Chie cari libri, ai nostri giornali d.' un tempo, cosi modesti e così onesti. lo parlo soprattutto per coloro che han sentito parlare di Giacomo Matteotti e del suo martirio, ma ne ignorano, per dir così, la genesi; e parlo un po' anche per noi che ormai ci incamminiamo a rapidi passi verso il tramonto; per noi che vedemmo e udimmo e piangemmo in quel lontano Giugno che vide tanto sacrificio reso inutile allora. Ma il sacrificio dei martiri non è mai stèrile, e se oggi siamo qui lo dobbiamo anche a Giacomo Matteotti. Ora io voglio, qui, solo accennare come nell'ottobre del l\>~'i!,per codardia dei più e per vana resistenza di pochi, per tradimento d'un re troppo piccolo e troppo debole, ed anche troppo immemore per regger la corona che i plebisciti gli ave- / van dato, una schiera d' avventurieri s' inpadronì dell' llalia lasciando dietro sè una scia di cadaveri di incendi di devastazioni. Ma il crimine cerca sempre una giustificazione .i una legittimazione, come già vollero i due Napoleonidi. E l'oligarchia imperante, falla regime, e per il sadismo di estorcere alla vittima un consenso altrimenti impossibile, e per la necessità di mascherarsi nei confronti dello straniero che ci osserva, volle le elezioni. le elezioni col popolo in catene, col popolo terrorizzato. I « ludi cartacei,.. Oh sì, quelli eran veramente «ludi cartacei,., eran beffa e scherno ad un tempo. Una coltre funerea si era stesa su questa terra, che pur aveva visto il gesto liberatore di ]:3alilla, l'impeto delle Cinque Biblioteca Gino Bianco

6 - Giornate milanesi, la difesa eroica di Roma. L'Italia era diventata, sì, la <1. terra dei morti» secondo l'oltraggio d'un poeta gallico, contro cui era insorto un altro poeta nostro ali' alba del nostro Risorgimento. Alle urne il popolo non può andare se non in piena libertà di pensiero e d'azione, in assoluta indi pendenza di giudizio, se no il responso è mendace, è truffa, è crimine, è la negazione della personalità dell' uomo. Ora nelle nostre piccole città, nei villaggi, ceffi patibolari dagli scopettoni croati - ammodernamento del ciuffo dei bravi ùi tre secoli addietro ~ a vevan semioalo il terrore e la morie. u· '!28febbraio del 19:il4,in questa nostra Reggio, il candidato del partilo socialista massimalista, Antonio Piccinini, veniva prelevato da casa, condotto in un prato alliguo e ucciso a colpi di pistola nella schiena. Poi gli ; ssassini sentivano in sè tanta tranquillità da,andare ad un ballo in maschera. Fu questo un episodio isolato~ Oh no, fu forse uno dei maggiori, ma non fu l'unico, ed aocor oggi è vivo in molti il ricordo delle violenze subite, dell' ollravgio estremo del bicchiere colmo d'olio di ricino fallo ingerire a chi d'altro non era colpevole se non di pensarla da uomo libero. · Gli elettori andarono alle urne controllati fin dentro la cabina, il segreto di voto, che la legge sancisce, fu una menzogna. Un prefetto stillò dal proprio genio una certa regola del tre per cui era matematicamente accertata l'espressione del volo. L'individuazione dell'elettore e del suo volo così com'era stato espresso, e le conseguenti rappresag-lie che colpivano i rèprobi senza incertezze e senza lardanze, furono la garanzia più sicura che il regime avrebbe slrnvinlo. Ove la regola aritmetica potesse esser un congegno complicato ed inutile, si diede via libera alle violenze fisiche. Quanti furono coloro che, per· evitar noie, per non vedersi la casa invasa, per non vedere i familiari in . lacrime, per non vedersi interrotto il corso degli affari, non solo •· non trovarono in se stessi il coraggio dell'astensione, ma vota rono contro coscienza~ Quanti furono quelli che, ciò non ostante, oaarono esprimere liberamente il proprio volo contrario e n'ebbero l'iìnmancabile guiderdone~ Ai candidali dei partiti avversi al Governo non venne lasciala alcuna libertà di esporre il proprio pensiero, e se mai qualcuno avesse avolo qualche velleità BibliotecaGino Bianco

-7 in proposito, l'ombra di Antonio Piccinini era lì ammonilrice. Ora, alla Camera dei deputali, diventala davvero per volontà del capo del Governo e del partilo fascista, un'aula sorda e grigia, Giacomo Matteotti si ab:ò accusatore implacabile dell' invadente putredine. Come san Giovanni, non tacque, non seppe lacere, non volle tacere. S,1peva che il parlare gli sarebbe costalo fors'anche la vita, ma non tacque. Nella seduta del 30 maggio egli inficiò in blocco l'elezione della maggioranza governati va perchè nata dalla violenza e dalla frode. Documentò, precisò. Egli si eresse giudice. Fu interrotto ad ogni frase, ingiuriato, schernito, minacciato, complice il presidente. Cbi minacciava era gente che, come don Rodrigo, si sapeva non• minacciare in vano. Farinacci - che ventun anni dopo doveva pur esser raggiunto dalla giustizia vindice mentre fuggiva st::nza dignità fra casse ricolme d'oro e di gioielli e d' altre ricchezze rapinate durante un ventennio - lanciò la minaccia senza veli : « Vi faremo cambiar sistema I». E alla minaccia seguì l'azione orrenda. li 10 giugno, sul ponte Miivio del Lungotevere Arnaldo da Brescia, in Roma, nella capitale cioè d'un Paese ancora civile non ostante il fascit>mo, Giacomo Matteotti venne rapito e caccialo a viva forza in un'automobile che gli aggressori avevan pronta. Egli gridò, si dimenò, oppose resistenza sovrumana, dispe-· rata. Era solo e inerme e gli altri eran cinque e giovani e forti e armati e audaci, sicuri di quella sicurezza che dà l'impunità. Lo colpirono più volte con le armi da punta, mentre la macchina correva, correva lontano verso un destino ancora ignoto. La villi ma insanguinala gridò ancora: « Voi uccidete me ma non ucciderete mai l'idea che è in me ». Lo finirono a colpi di lima e il ferro atroce restò infìtto nella ferita. Quell'uomo non parlò più. La sua voce era spenta per sempre. Ma di Lui parlò e parla ancora lo spirito. BibliotecaGino Bianco

8 - * * * Il capo del Governo, il mandante, alla Vedova che, straziata dal dolore, gli chiedeva che le venisse reso il marito, dava mendaci promesse, mentr'egli già sapeva che il delitto era stato consumato, e che la macchina tragica correva correva per la campagna rOJilana col suo carico, di obbrobrio e di gloria, di obbrobrio per gli assassini, di gloria per la vittima. E la macchina non aveva soste, non sapeva dove posare, dove deporre quel carico, dove mettere quelle povere membra ormai inanimate. E sembrava che già la Giustizia quella vera, quella che non sempre è dei contemporanei, ma giunge immancabile anche se lenta, percbè la storia è sempre vindice - sembrava che la Giustizia fosse lì all'inseguimento. Il terrore era negli as;;assini. • "Giunsero finalmente in una boscaglia, scavarono in frelta una fossa profonda pochi centimetri e larga poco più d'un metro. I vi Reppellirono la salma. Per un mese e sei gio_rni il cadavere di Giacomo Matteotti venne occultato. La stampa parlava, congetturava, tutta l'opinione pubblica malediva al delitto, esecrava il mandante o i mandanti e gli esecutori. Alla Camera un deputato di parte repubblicana - Eugenio Chiesa - gridò: « Governo complice» ! Ma gli assassini eran protetti, in alto, molto in alto. 11capo della polizia - quel maresciallo De Bono che doveva poi esser fucilato dai suoi stessi compagni di partito nel poligono ,li Verona - proteggeva assassini e complici. Sviò le indagini. Ma lo scandalo dilagava. Tutto il regime era investito da quest'ondata dì sdegno che saliva, saliva e avrebbe sommerso i respon-· sabili. La commozione aveva preso tutti gli uomini. I fascisti più onesti gettavano il distintivo. Solo il re, curvo sulle sue monete, fu sordo. Ma quel che i criminali tentarono, la natura non volle. La natura, la madre terra, cui quel sacro fardello era stato affidato perchè si facesse complice del delitto occultandolo, lo restituì alla luce. Fu l'istinto delle bestie - più umane delle belve umane - che scoprirono il cadavere. Era anrora là. sfatto, con la lima infilta nel petto. Biblioteca Gino Bianco

-9 ~fa da quella fossa. dalla Quartarella, si sprigiooò una luce abbagliante. La luce del martirio, che avrebbe lrioofalo, o tosto o tardi, ma sicuramente. li vecchio re, curvo sulle mooele, non s'avvide oè allora nè mai di quella luce. .. * * La salma partì per la terra natale. ·Ma non fu un'apoteosi. Il Governo non volle. I compagni della vittima non osarono. Maocò in quell'ora la voce d'un Mirabeau, mancò l'uomo audace che tagliasse la gòmeoa, cht- crollasse il re fellooe, cl:ie portasse l'llalia più avanti e più io alto. Io faccia all'avvenire. Non è rampogoa questa, non vuol esser rampogna. Il ragionamento, la prudenza, la persuasiooe che nella legalità si sarebbe ·vinta la batuiglia, consigliarono di non discostarsi da una via nella quale fummo iovece battuti. Sarebbero occorse le « teste calde,. del primo Risorgimento, sarebbe occorsa la divina audacia d'un Maz,zioi, l'impeto d'un Garibaldi, il freddo calcolo d'un Bertani. Ma allora la prassi rivoluzionaria non aodava oltre lo sciopero generale, che là dove non era una sassaiola contro i «cappelloni,. con relativo codazzo di morti o di feriti, si riso! veva io qualche giorno di feslevole vacanza. Il nemico ·che si doveva combattere non pontlva limiti alla propr/a audacia. Non si arrestava alle soglie del delilto, ma le varcava senza titubanza. Capì che i compagni del Morto, che tutti i fratelli che si riconoscevano nella libertà non avrebbero osatò. E quando le schiere armate delle sue milizie passarono a squillo di fanfara ·sotto le finestre del capo del governo, mandante nell'assassinio, la battaglia era perduta. Ma il Morto era ancora e sempre vivo. Visse e vive ancora. Per questo oggi noi non lo commemoriamo, ma soltanto lo ricordiamo. * * * Aveva detto Piero Gobetti, un liberale della buona ecuola, uno di quelli che credevano realmente nella libertà, un uomo che doveva anch'egli esser vittima del fascismo: « Col cinismo Biblioteca Gino Bianco

10della guerra civile si è voluto eliminare il capo d'uno Stato Mag~iore "· Aveva detto Claudio 'rreves, che doveva conoscere le vie impervie dell'esilio ed ivi morirvi senza vedere l'alba della libertà: « [l misfatto uon è contro l'uomo, l'individuo, è conlro il diritto delle genti». Aveva detto Filippo Turati, il parlre spirituale del Martire, colui che lo pianse più di t'.ltti, che più di tutti sentì. in sè la tragedia di Lui e di tutto il popolo oltraggiato: « Giacomo Matteolli è il simbolo di un oltraggio che riassume eri ~terna cento e ce'tlto mila. altri oltraggi, tutti gli oltraggi fatti ad un popolo». Era, questa, la voce dei saggi. Ed era in tulti emozione e pietà, emozione perchè un uomo. un cittadino, un deputato era stato ucciso. a cagione delle Rue funzioni. emozione perchè il delitto era stata preparato all'ombra dello stesso Governo, occultato dagli organi dello stesso Governo; pietà perchè la salma di un padre, di uno sposo non avesse avuto neppure la sepoltura che non si nega neanche ai giustiziati. Ma in questa emozione e in questa pietà per l'ucciso, mentre non si dileguava il sentimento civile offeso, umiliai.o, si annunciava l'impegno solenne di costruire su quella l'ossa anonima i1 monumento ideale del riscatto d'ltalia. E il riscatto venne, lento perchè occorsero ventun anni, ma è giunto dopo conquiste belligere che ubbriacarono i più, dopo una sarabanda che parve interminabile, dopo apoteosi grottesche ed assurde del « duce che aveva sempre ragione", dopo stragi e ruine e dvpo una guerra disastrosa. E' giunto finalmente, ma la bancarotta fraudolenta del fascismo e la eliminazioue fisica di alcuni dei maggiori responsabili, son giunte recando con sè la rovina d'Italia. Perchè il fascismo, che aveva ricevuto in eredità un'Italia restituita nei suoi confini naturali, col prestigio che le veniva da una grande vittoria· militare, è staia portata alla disfatta. con le sue case Fgrelolate, smozzicate, distrutte dalle bombe, le sue città ridotte per gran parte a cumuli di macerie, il suo patrimonio industriale, finanziario, zootecnico annientato o predato dall'alleato teutonico, con il suo territorio percorso in BibliotecaGino Bianco

11 lungo e in largo dagli oppoRti eserciti; ma, soprattutto, c,on il crollo degli spiriti, il più grave e il più lungo da ripararsi. Questo è il bilancio di quel regime che, sopprimendo Giacomo Matteotti e sotterrandolo malamente io una boscaglia romana, aveva creduto d'impadronirsi d'Italia e di cambiare il corso della storia. * * * « Capo di Stato Maggiore» fu cbiamalo Matteotti. E veramente lo fu con la ,sagacia, la sapienza, l'avvedutezza d'uno stralfga che . lutto soppesa, tutto calcola, tutto valuta. Egli conosceva il nemico che doveva combattere, il nemico di destra e il nemico di sinistra. Nel primo dopo guerra - come voi sapete - .c'era stata una lacerazione nel Partito socialista. Ce n'eran state tante anche prima, dal giorno io cui, uel 1892, a Genova, era sorto il partilo socialista dei lavoratori Può dirsi che la crescita di quPslo partilo sia appunto contrassegnata da queste lacerazioni. Destino dei partili nei quali mollo si discute, destino inevitabile e per un certù senso anche benefico. Ma il disagio del l919-19'i!:!l era forse soltanto paragonabile a quello del 189:!l fra socialisti e anarchici. Erano due anime che si contrasta vano, due mentalità di verse e opposte. Matteotti vede1•a gli errori di quel dopo guerra, indovina va le conseguenze, calcolava gli effetti. Sa"peva anche che una saggia iniziativa socialista avrebbe potuto essere di grande vantaggio per la cla~se lavoratrice e salvare nello stesso tempo il Paese stremalo dallo sforzo bellico. Ma nel vedere gli errori e le imprudenze della classe lavoratrice, vedeva anche e sapeva che la parte reazionaria del Paese attendeva questi errori e facendo leva su sentimenti radicali nell'animo di ciascun popolo che non sia imbastardito, li avrebbe vòlli a proprio profitto. Egli vecleva e sapeva che la violenza è saola e necessaria soltanto quando respinge un'altra vwlenza, quando cioè è legittima difesa, quando è l'atto estremo d'una liberazione non di versameote risolvi bile. Egli era contro la paccottiglia letteraria della « violenza levatrice della storia» e contro il mito dello sciopero generale. Perciò ripudiava la violenza come metodo perchè è oltretutto antieducativa, distraendo le masse dalla pazi,mte lolla di BibliotecaGino Bianco

12 - ogni giorno. Egli pensa va che non si educano le masse istillando nel loro animo il mito del colpo di mano. Egli sapeva che la sommossa, la rivolta, in un paese retto a regime democratico e parlamentare, non sono che un episodio di epilessia collettiva. Ora il bolscevismo, che stipendiali venutici da Mosca e i loro agenti indigeni andavano diffondendo in Italia, altro non· era cbe un episodio di epilessia colletti va. . Egli ne indovinò il pericolo per gli stessi lavoratori e diede il colpo d'arresto. Forse troppo tardi. Non è questo il momento di fare un'analisi - al lume della verità storica - per accertarci se la condotta del Parlito socialista nei confronti della prima guerra mondiale fu delle più sagge. Andremmo troppo lontano e ascenderemmo uei cieli della metafisica. Tuttavia, qualunque sia il giudizio ,·be ciascuno di noi possa dare su quel periodo tormentoso e tormentante, resta il fatto che un popolo intero vinse la guerra. La vittoria fu il coronamento di uno sforzo collettivo, nel quale i lavoratori avevano avuto la parte maggiore. Era quindi legittimo che ne raccogliessero anche i frutti, e, sull'esempio di paesi più evoluli, si inserissero senza riserve nella realtà nazionale per imprimervi un'altra_ direzione. In altri termini che: assumessero la corresponsabilità dl'l potere per volgere tutta l'azione governativa a b1:,neficio delle classi più diseredate quale avvio al socialismo. E poichè la borghesia italiana appariva in declino ma non priva ancora di quelle energie sia pure crepuscolari che le consenti vano di resistem, e' il proletariato, sorpreso da!{li a vveni111enti, non era ancor maturo per riceverne la successione, nell'jato - cioè nella congiuntura tra il passato e il futuro, vale a dire nel presente - era utile e necessario addì venire ad accordi t collaborazione con altre forze, che concorressero all'avviamento graduale della classe lavoratrice all'autogoverno e l'abilitassero alla gestione della cosa pubblica .. Era proprio quanto il così spesso deriso socialismo riformista delle pecore re~giane - gregge che aveva per pastori uomini che si chiamavano Carnillo Prampolini, Antonio Vergaanini, Giovanni Zibordi, Luigi Roversi - aveva praticato fin dalle rea;1ote origini dando vita ad una fitta rete di cooperalive Biblioteca Gino Bianco

- 13 il.i lavoro e di consumo, di aziende ag-ricole, di municipalizzazioni, le quali, in nuce, recavano il fulcro della società di domani. Ma non fu possibile. Il massimalismo - e il comunismo suo padre spirituale e suo padrone dispCltico - con la pericolosissima rivoluzione del,le chiacchiere e con le v_iolenze odiose e inutili, con gli scioperi a catena, mentre da un lato spaventavano sempre più l'opinione pubblica ( per quell'errore psicologico in cui cadono così di sovente 'i demagoghi, i quali non comprendono che, dopo un periodo di guarra, cioè di disagi, di sofferenze, di lutti e di rovine, l'uomo è fisiologicamente portato ad un ritorno alla normalità, alla tranquillità, in una parola all'ordine, onde finisce per accettarlo da qualunque parte gli v!)nga offerto o promesso), dall'altro non riuscivano che a irritare quella piccola borghesia con la quale sarebbe stato necessario collaborare. Avvenuto questo isolamento, sarebbe intervenuta la grossa borghesia, sa, ebbero intervenuti i magnati dell'industria, i latifondisti, i plutocrati, che, avendo in mano le leve di comando, ·avrebbero scatenata l'offensiva, centuplicando la ritorsione, determinando uno stato <li violenza ben maggiore. Ma quello era il tempo in cui le folle dicevano : ~ o tutto o nulla» - ed anche: « tanto peggio, tanto meglio ». Compagni e amici, ditemi, non vi par for,,e che q·uesla storia, che è di ieri, sia anche la storia di oggi f Matteotti vide che tra il socialismo suo e dei suoi maestri, e quello dei massimalisti e dei comunisti, vi era troppo divario, per cui la differenza iniziale andava via via tramutandosi in abisso. Egli avverti va che non si può onestamente combattere la dittatura borghese ( che non esiste, come ha dimostrato chiaramente Prampolini, perchè la borghesia è sorretta dalla m;,ggioranza, della quale fa parte anche un largo strato dC classe lavoratrice che vota per essa nelle eleilioni ), e nello stesso tempo minacciare di instaurare la dittatura del proletariato, che poi non si risolve che in una dittatura di pochi oligarchi sul proletariato. Non si invoca la libertà per p'oi farne scempio non appena ha servito. Non si invoca la democrazia per rinnegarla quando nòn fa più comodo, o sembra non faccia più comodo. Biblioteca Gino Bianco

14Ond'egli fu per la separazione. Fu per quella che prese il notnP di « scissione ~. Si, Giacomo Matteotti fu il Segretario della scissione, fu il primo indimeulicato e indimenticabile segretario di quel Partilosocialista unilario, di cui il nostro Partito intende essere la continuazione e l'erede legittimo, se in questi giorni non sarà imbastardito da elementi spurii. E ai comunisti che, di lanlo in tanto, si ricorda vano del Partito socialista unitario per invocarne l'appoggio dopo averlo vilipeso e indicato alle masse i.guare e ingenue come traditore, come guardia bianca della borghesia, fieramente rispondeva che nulla aveva da sparli~e con essi. Ditemi, o compagni, questa storia, ch'è di ieri, non par forse anche di oggi"? * * * 11 misfatto fu compiuto contro il diritto delle genti. Esso ferì it senso fondamentale della società democratica e parlamentare, e fu ancor più grave ed orrendo perchè non fu il delitto di un solo o di pochi forsennati accecati dall'ira o dalla passione di parte, ma fu il delitto di un regìme. Non poteva quindi rivolgersi che contro il regime. [neluttabilmente. Per quali vie, con quali mezzi, quando, tosto o tardi, se fra un anno o dieci o venti, non importava sapere. li regìme era condannalo. E fu condannalo dalla coscienza uni versale dei contemporanei prima che dalla storia, che non lo assolverà mai. Mu~solini, il mandante, non polè mai liberarsi di quell'onta. L'ombra di Matteotti lo segui. implacata e accusatrice. Anche quando nelle ore del trioofo effimero, fra le schiere dt>gli aduh1tori o dei profittatori o dei complici, gli parve di aver raggiunto il limite estremo della potenza, l'ombra del Mar• lire, ancora con la lima infitta nel petto, Ìe membra fratturate nella stretta assassina, gli si ergeva severa, terrore e rimprovero. Le colpe si scontano e forse gli sa_rà sovvenuto di ·quafohe lettura giovacile - se mai la fece - di un libriccino d'un sant.'uomo, di Féli Lamennais, che ammoniva: «Ci furono tempi in cui l'uomo uccidendo chi avesse idee diverse dalle sue, era Biblioteca Gino Bianco

15 persuaso di offrire un sacrificio gradito a Dio. L'abominio su questi assassinii esecrabili ,.. Ora, vedete, o amici, quel ponte Milvio sul quale venne rapito Matteotti, divenne l'ara della nuova Italia. E questo nostro popolo, così scettico forse per i molli secoli che lo gravano e i molti disinganni, si gettò io una vera crisi di misticismo. Sembrò cbe un raggio rovente penetrasse, ulceraRse, ardesse i cuori, lasciando le stigmate nelle caro:. Un'onda di passione sensitiva di giustizia penetrò nel profondo delle coscienze e le sconvolse. e poicbè la giustizia degli uomini era tarda a venire e infingarda, si invocò quella divina per ristabilire l'equilibrio morale turbato. Nel luogo del rapimento, spiriti eletti, usati ad altre speeulazioni cbe non siano quell..i della religione o dell' oltre tomba, piegarono reverenti non soltanto la mente ma anche le ginocchia. Gran virtù del sacrilicio, che si idealizza, che si sublima, ba un caotico suo uwano e divino, e si eleva nei cieli del . puro spirito. Giacomo Matteotti fu il simbolo di un oltraggio che rias- -suose io sè l' olt.raggio di lutto un popolo. Fu così, realmente. Un popolo come il nostro, uopo aoui di sofferenze nelle trincee e nei quotidiani colloqui con la morte, era tornato a easa disorientato. Non trovò una classe dirigente ca pace, che lo comprendesse, che lo guidasse, cbe, sovra tutto, tenesse fed':l alle promesse fatte nei giorni della vigilia. Erano inevitabili ed anche spiegabili errori e manifestazioni di insofferenza. Sarebbe stato necessario e urgente che tulli coloro che han più senDo e più cDILura, e quindi maggiori doveri, nel-· l'imperio della legge ristabilissero il giusto equilibrio e cominciassero intanto col rendere giustizia. Invece fu lasciata via libera a una fazione, che si impadronì del Paese. E fu una fazione, che, sotto l'orpello di ideali anche augusti, altro non si manifestò che una crudele milizia mercenaria al servizio di interessi inconfessabili. Biblioteca Gino Bianco

1G - Furono le classi più retrive, quelle che vivono di redditi e non conoscono altro diritto che non sia. quello del loro privil<'gio, che armarono le squadre dei sicari, le quali si sparsero per le nostre città e i nostri villairgi. · Simili ad un esercito di lanzichenecchi in un paese di conquista, esse, con la complicità dei tutori dell'ordine, calarono sul tram onlo o nelle notti sulle caee indifese, quelle d'un luogo si spostarono in un altro per non esservi riconosciute, e le aggressioni, e gli incendi, e le devastazioni, e le bastonature si susseguirono. Furono, queste violenze, come la fiamma in una striscia di polvere pirica. fin che l'Italia fu tutto un rogo. E fu la notte, non ostante i canti, non ostante la rettorica, non ostante le parate, non ostante l'ossequio servile d'ella gente di cultura. Fu l' anlirisorgimento perchè negò i valori spirituali del Risorgimento. gli stessi valori ideali dell'l guerra che si era combattuta, cbe negli spiriti più nobili era stata riguardata come l'atto ultimo del Risorgimento nazionale, c'orne l'arma estrema e terribile per restaurare il diritto violato dalla tracotanza teutonica. Perchè, infine,. tolse agli Italiani, popolo d'antica civillà, la Libertà, quella libertà che distingue i popoli civili da quelli coloniali. In Italia venne di fatti instauralo un regime coloniale, dividendo il Paese in due clasRi, una di rèprobi e l'altra di eletti, mentre nelle province un «ras» con una sua polizia, ordinava a un prefetto ridotto a semplice esequtore di ordini, cui era data l'offa del titolo reboante e spagnolesco di « eccellenza» perchè se ne baloccasse. * * * Matteotti fu ucciso per la Libertà. Egli fu la vittima predestinata e consapevole. Consapevole perchè se avesse taciuto, se avesse attenuato il proprio pensiero. se si fosse «adattato», se avesse dimostrato « com'prensione » come gli suggerì il presidente della camera fascista, forse a prezzo di qualche viltà avrebbe potuto aver salva la vita. ., Biblioteca·Gino Bianco

- 17 Egli non volle. « Penso che pochissimi casi offra la storia del martirio umano - scrisse in quei giorni Giovanni Zibordi - di un sa crificio affrontato così consapevolmente e deliberatamente, di un peri!'olo supremo accettalo e voluto così freddamente, come quello a cui si preparò e si accostò, per tre anni un poco ogni 'giorno, Giacomo Matteotti ». . Oh quanti furono o son quelli che chiamano questi eroi, questi privilegiati dello spirito, come degli «invasati», dei « fissati», dei «fanatici», che non hanno il senso della realtà! Oh quanti sono i don Abbondio che saprebbero indicare la via per scansar noi!\, ancorché all'angolo di una strada di campagna ci sian quei dùe bravi a far quella famosa ambasciata! Oh come a Lui sarebbe stato facile vivere fra gli agi e le mollezze di una grande città, facendo magari qw,lche apparizione fugace fra i suoi contadini del Polesine pP,r riceverne i· conti del raccolto I · Oh come gli sarebbe stato facile -rinchiudersi nella torre blindala del suo egoismo, chiedendo alla vita la coppa del piacerei Egli non volle. Volle invece, consapevolmente, mettersi a serv1z10 degli umili per risollevarli, farli uomini, indirizzarli nella via del riscatto. Volle. sovra tutto, difendere e affermare la Libertà, che è la forma più augusta di dignità umana, perchè si identifica con la Giustizia, non potendovi esser Giustizia senza Libertà. Giacomo Matteotti è, così, il protomartire della nostra libertà,. non soltanto di noi socialisti, ma di tutti gli uomini. Egli salendo il Golgota l'ha testimoniata, l'ha esaltata, l'ha conckmata. Prima che il màrtire di un partito politico, Egli è il mar~ tire della Libertà. Insorgendo contro le elezioni beffarde e bastarde, contro l'oppressione della fazione che s'era im;ignorita dell'Italia, Egli si affermò campione augusto dell'uomo libero. Non può comprendere il sacrificio suo chi, comunque. in notne di qualunque idea, sia pur essa nobile, non intende e afferma che bene supremo dell'uomo è la Iibèrtà. condizione necessaria e insostituibile per ogni altra conquista. BibliotecaGino Bianco

18 - La Libertà è l'ossigeno senza di che l' uomo è preso dall'asfissia. Chi farnetica di dittature, di qualsiasi colore o provenienza esse siano non importa, ·chi in no_me di un'ideologia impedisce ad un altro uomo la libera esplicazione ·di un diritto che non offenda il diritto altrui, non può comprendere il sacrificio di Giacomo Matteotti. Ond' è ché quando certi uomini e certi partiti, che la libertà e la democrazia rinnegano anche se l'affermano sulla bocca meretrice, s'impossessano di Giacomo Matteotti per farne oggetto di comizio, c'è da sentirne sdegno e vergogna. Oh, Matteotti, martire nostro, tu non meriti tanto oltraggio I T,1 insegnasti, - sulle orme di Dante e di Mazzini e dei mille e mille d'ogni tempo e d'ogni paese, illustri od oscuri, che patirono □ elle galere o affrontarono il patibolo - che ~ la santa Libertà non è fanciulla da poco rame». E!la è augusta ed alta, ella è una madonna, e non conosce nè le bassezze dei cortigiani, nè le viltà dei furbi. Ama esser servita da spiriti puri e forti, che sappian far getto anche della vita, se necessario. Matteotti fu di questi. Egli la servì in purezza e si offerse consapevole al sacrificio. Egli si aggiunse ad una coorte di màrtiri, che son come le pietre miliari nel cammino dell'umanità. Noi dobbiamo raccoglierne l'insegnamento e soltanto facendo spirito nostro quel che fu il sacrificio di Matteotti, avremo bene meritato e ci sentiremo tranquilli □ ella nostra cosèienza. Ricordando Matteotti pochi giorni dopo che ne era stato .scoperto il" cada vere, Filippo Turati, ai deputati delle Opposizioni parlamentari riuniti come ad un rito, ammoniva: « Signori, dall'eccidio di Giacomo Matteotti la nuova storia d'Italia incomincia. A noi un solo còrnpito: esserne degni». · Ma noi non ne saremo degni se non quando avremo seguito il suo insegnamento amando e servendo in purezza di spirito e in umiltà di cuore l' Idea per la quale egli ba fallo getto della vita. · [ Morti ci precedono e ci additano il cammino. Ormai son legione, e a noi non resta, o compagni, che l'ufficio doveroso e pio di onorarli. Biblioteca Gino Bianco

19 Nel ricordo e nell'onoranza è già un pegno d'amore e di devozione. Disse un mascliio poeta: Sparsa è la via di tombe, ma com'ara Ogni tomba si mostra : La memoria de i morti arde e rischiara La grande opera nostra. In piedi · e avanti, o compagni, nel nome augusto di Matteotti. « L'ombra sua torna, eh 'era dipartita,._ BibliotecaGino Bianco

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