Mario Mariani - Matteotti

8" 'fuaderm- deitadif~ == ~ cllJarw--11Jarj@? DEI MINISTRI ~,"'- 1Jtr S1rutt11radimi!>Sionc ~~ anniversari nazionali cd C\"t"misponi,i nazionali I :: e i,11tn1:tziooati NA7.,o+'lf:'

.. ·-. ~~ .............................. , ..................... • .. • • . • . . • .. . .. • • •• • •• • • •• • • •• • • • .. . I QUADERNI DELL'ANTIFASCISMO DI MARIO MARIANI Rivelazioni e pensieri intorno a cinque anni di terrore fascista 1. IL VINTO. - 2. LE ORIGINI DEL FASCISMO 3. MATTEOTTI . ....,,4. . MUSSOLINI EROE 5. MUSSOLINI DIPLOMATICO 6. MUSSOLINI GALANTUOMO 7. MUSSOLINI- MORALISTA. - 8.. GLI ATTENTATI : 9. DELITTI, INFAMIE E FURTI DEL FASCISMO : 10. SINDACALISMO COATTO : 11. RICOSTRUTTORI E PROFITTATORI : 12. L'ITALIA VENDUTA. - 13. FRANCIA E ITALIA • • 14. LE INCOGNITE DELL'AVVENIRE 15. MONITO ALLE ALTRE NAZIONI 16. IL VOLONTISMO Prezzo di ogni Quaderno fr. 3 (1:,erfuori Francia aggiungere ,e spese postali) I OUADEIRNDELVOLONTISMO Mario Mariani 1). Il programma di Roma. - 2). Polemiche volontiste 3). 2 + 2 fa 4. - 4). Attacchi frontali. - 5). Ai ferri corti . Prezzo di ogni quaderno fr. 3. Per fuori Francia aggiungere le spese postali Commissiopai ècompagnatedall'importoa CECCONEI TTORE S, R.'1e POLI.Ohet • PAR.ISa1'7' • '••·····································································•·~ Biblioteca Gino Bianco

o - I QUADERNI DELL'ANTIFASCISMO DI MARIO MARIANI PUBBLICAZIONE SETTIMÀNALE MATTEOTTI . Biblioteca Gino Bianco CEQCONI EDITORE - PARIGI

( TIPOGRAFIA A. R. MORELLI 3, Rue des Rosiers - Paris (IV•). Biblioteca Gino Bianco

l. l 3 I Un po' di Quarfarellismo ancora, on. Mussolini. Certo ella lo troverà di pessimo gusto. Ella ha creduto di sopprimere il Quartarellismo, di liberarsene imbavagliando la stampa d'opposizione, comprandola con i danari dell'erario, dimettendo l'Aventino, amnistiando e scarcerando i suoi sgherri quando bisognava placarli e servirsene onde trasformare il loro processo nel processo dell'assassinato, ricacciandoli in galera quando le loro pretese e le loro voci potevan diventare seccanti e pericolose. Ma, veda Eccellenza, un uo11110si uccide; la sua memoria no. S'egli fu un buono e morì vittima della sua fedeltà a un grande ideale d'umana giustizia, dopo la morte sembra che cammini verso il sole e 'la sua ombra si allunga dietro Iui, copre quelli che la guardano scomparire, si proietta sul muro dei secoli e lo intaglia. La storia, EcceUenza, non ha bisogno delle voci di Dumini e di Volpi per giudicare. Quelle voci posson servire a lei, posson servire a Farinacci, alla ignobile farsa di ChieBiblioteca Gino Bianco

-4- \i. La :;loria ha un intuito infallibile; è il ve;r-0Dio presente che giudica e manda perchè vede traverso le anime come ff'averso un cristallo terso. Ella, dunque, ha c~eduto di 'ioffocare i1 Quartarellismo 0011 poche misure di polizia. Dicono che ella sia un uomo pratico, un realizzatore. E invece, ella si illude troppo fa.- oihnente. Di fronte a lei, creda, la storia sarà soltanto QuartareHismo e Quartarellismo sintetico. Cer~o ella partì con un suo sogno, nella vita. La sua irrequieta e torva ambizione forse le lasciava imaginare popoli guidati da lei, montato sopra un grande cavallo bianoo, verso fulgide vittorie, e folle folici in un regno novissimo, ricco di giuste leggi e di ben ordinato lavoro. La troppo facile fortuna le fu avversa ed ella non ha potuto compieIle nulla di grande. Ha ucciso senza gloria. Soltanto questo ha fatto, Eccel,lenza. E un morto riassume nel suo nome tutti gli altri perchè era il migliore, forse, o perchè il suo a.s·sassinio fu accompagnato dal maggiore orror,e : Giacomo Matteotti. Ho scritto una volta che tremila Matteotti senza medaflietta giac,ciono sepolti e insepolti dietro le siepi, nei ca- !tolari, nei poveri camposanti d'Italia. Ma essi non hanno un nome. Ella ha fatto bruciare duec-ento o trecento camere del lavoro, duecento o trecento cooperative, diecimila case d'avversari, ha mandato in carcere o al domicilio coatto cenio mila nemici, ha costretto all'esilio m.ezzo milione d'uomini liberi. Ebbene tutte queste miserie, tutte queste vìffime aon hanno più un nome. Si chiamano Giacomo Matteotti.- Giacomo Matteotti, per l'avversa forhina che in morte gU arrise, è diventato, on. Mµ'ssolini, IL MARTIRE IGNOTO della reazione itaHana. Passeranno gli anni, i decenni; passeranno, Eccellenza, i secoli. Ella non sarà più. Da centinaia di lustri il suo 1..:aGlavere sarà polvere e la polvere l'avrà dispersa il· vento coj Biblioteca Gino Bianco

-5nomi e la memoria di tutti noi. Nessuno s'incaricherà più ili leggere la sua prosa tronfia e sconclusionata, i ritmi del Dl'ie •irile dolore. Ma il suo nome, Eccellenza, vivrà ancora e non sarà tt1ato a nessuna opera duratura dell'ingegno, a nessun fatto 'ili armi, a nessuna legge ammirabile, no, sarà indissoluhilmente, implacabilmente incatenato al nome di Giacomo Matteotti. Nerone seppe uccidere da quanto e più di lei. Ma fu un genialoide e resse con mano ferma i destini d'un impere eorroso, tenne a freno legioni, nemici, pretoriani. Seao passati duemil'anni, ormai ..... La Storia chiede: Nero ne? La eco risponde: Brittanice. Teodorico fu, Eccellenza, il più gran condottiere di sua 8ente, cui dette vittorie e glorie, cui conquistò a sede uno cf,ei più fertili, dei più bei paest allora conosciuti; fu un gra~è!e l~gislat-0re, un gran re; fu, Eccellenza, tutto quel ch'ella nbn è. Dove giacciono le sue ossa? Il mausoleo di Ravenna è c)I~ po d'ombre e di misteri. La storia chiede: Teodorico? la 'i&o risponde : Boezio. Fu Federico II un nobile cavaliere. Bello di persona e d'&nima. Sotto la capellatura bionda e nei grandi occhi as- .zurri aliavano i sogn~· tutti delle foreste vergini di Soa~. E tenne a battesimo nella sua Corte la bella lingua del si e, maestro d'armi, fu in pari tempo maestro di cortesia e forgiatore d.i othme leggi e padre al suo popolo. Il suo cadayere? Lo cercano errando le streghe fra il gorgogliare deE'aaqua del Busento insieme a quello d'uno che gli era forse an, lo cercano a notte sotto la quercia di Benevento insiPme ·a quello che gli fu erede e perse, ne la battaglia, il trono. Che cosa ci rimane di lui? Qualche verso d'amore. La sto)ìa chiede: Federico? La eco risponde: Pier della Vigna. La stolta ambizione e l'infamia grottesca di Francesco IV di Modena hanno un nome: Ciro Menotti. Lo stesso capeBiblioteca Gino Bianco

-13stro è per il principe vigliacchetto capestro d'infamia, peril martire stelo di gloria. E passeranno i secoli, Eccellenza. E quando la stor~a chiederà : Benito Mussolini? la eco risponderà : Giacomo Matteotti. Quel noID:e,Eccellenza, la perseguiterà in vita fino alla morte; e sarà la sua unica vita presso i posteri, qualunque prodigio ella potesse operare domani. • • • La storia non perdona ai grandi nemmeno un solo attimo d'umana bassezza perchè la fortuna, portandoci in alto, ci impone più alti doveri. E quelli che banno meritato la fortuna lo sanno e s'obliano raramente. Dei mediocri invece unico scopo è il dominio. . . •• E' quello che contraddistingue il pervenutQ dall'uomo di genio, dall'uomo rappresentativo, dall'eroe. Quest'ultimo sente d'istinto d'appartenere alla storia, sa che la vita non conclude mai che, per lui, neanche la morte conclude; sì che compie ogni suo atto pensando di scrivere la pagina di una cronaca o d'una biografia -che sarà letta ancora quando le sue ossa, le sue ceneri saranno disperse. Il mediocre vive la sua vita d'ogni giorno, d'ogni ora, incurante del giudizio dei posteri. Bada alla soddisfazione dei suoi appetiti, delle sue passioni, allo sfogo de' suoi rancori. Poco gl'importa Biblioteca Gino Bianco

-7che, dopo il suo giorno estremo, diluvino seracchi sul suo nome e sulla sua memoria. E' ambizioso ma la sua ambizione è piccola, è bassa: cortomirante; tende a conquistare sempre l'applauso del momento; seppur gli costi la maledizione dei secoli. · Tutti gli atti di Benito Mussolini hanno il mar,chio della sua mediocrità, il suggello dèlla sua volgarità; egli compie un gesto, pronuncia un discorso solo per suscitare un uragano di commenti entusiastici della sua stampa pagata, del suo. partito mantenuto, si compiace degli alalà dei suoi sgherri, detta loro le formule della lode abjetta e s'inebbria sentendosela echeggiare all'orecchio. Ignora l'esistenza del tribunale della storia che liberamente giudica e accoglie soltanto la testimonianza dei liberi. Non sa che; 111entre l'aria rintrona degli evviva cortigiani dei venduti, in cento sofflte .cento penne avvelenate fissano ·su carte che invano si tenta di distruggere H documento che svela il trucco, che eterna la vergogna, che tras·mette ai millenni la condanna. Benito Mussolini non aveva ingegno, non aveva nessuna solida preparazione culturale e politica, non aveva nemmeno ancora l'abitudine, la consuetudine del parlamento, non aveva nessuna idea intorno al ·funzionamento degli organi de,l governo. Portò dunque al governo una novità: la sua spaventosa ignoranza. E quelli che ammiravano in lui il giornalista da trivio e l'oratore da osteria si compiacquero di vederlo al potere, di sentire echeggiare finalmente nell'aula di Montecitorio le invettive e le minacce che echeggiano a notte nei vicoli bui della malavita. Quando H popolo napoletano, con un corteo meravigliose lustrante al sole d'acciai e di sete, seguiva Masaniello alla cattedrale per investirlo della suprema autorità, il demagogo si fermò a un tratto e fece fermare palafreni recailcilranti e armigeri, dignitari e ambasciatori, berline di dame Biblioteca Gino Bianco

-8e folle plaudenti. Si fermò, scese da cavallo, aperse il Ea- ,nifico paludamento, sbottonò i calzoni e attese tranquillamente a soddisfare uno dei bisogni che non si· soddisfano oggi in pubblico senza esser multati e tratti tn pretura a rispondere del reato d'oltraggio al pudore. Il popolo napoleta$.o applaudì. Il primo discorso di Benito Mussolini al parla.mento italiano, mutato il luogo e mutati i tempi, equivaléva al gesto di Masaniello. « Avrei potuto fare di quest'aula un bivacco di manipoli ». E i castrati deUa maggioranza., cti,e nel ventidue non era ancora nè fascista, nè fascistizzata, applaudirono. L' « avrei potuto «, il condizionale, rappresentava una promessa. Infatti il parlamento italiano non esiste più. So- •o bastati cinque anni per abolirlo e trasformarlo in una ignobile scuola di clacque dove i centurioni della milizia, i <1çn -:oli, gli alti funzionari del partito fascista s'adunano tre giorni ogni tre mesi a fare la parata grottesca dell'entusia3CP.O e a permettere al Duce di pronunciare due o tre dei suoi magniloquenti, altisonanti, ma vuoti e sconclusionati di- ~crsi. I capi clacque danno H segnale dell'applauso, due o rfl<è deputati interpellano recitando testi che sono stati prima \ ,!(veduti corretti e approvati a palazzo Chigi, altri due o tre si 1~vano a ringraziare il Magnifico d'aver beneficato il paese, ìnterrorito i nemici, esprimono i voti e la gratitudine del popolo lieto di essere salassato e bastonato, si raccomandano &,Dio perchè conservi all'Italia il genio del grande ricostrui- \ore delle sue fortune. E la commedia è finita. Parecchi sono i fattori che hanno spinto Benito Musaolini verso la tirannia e la criminalità politica sistematica. :(nzitutlo la sua natura. Benito Mussolini è un malato. Egli, Biblioteca Gino Bianco

-0che vanta spesso la sua gioventù e la sua gagliardia, se n9n 1 • fosse capo del governo italiano, dovrebbe essere chiuso ID: un frenocomio. Il senatore Luchini uno dei più autorevoli: giuristi italiani ha studiato il caso patologico del Duce coD seria objettività scientifica e parecchi medici non sospetti ·di., idee rivoluzionarie, interrogati da me, m'han confermato }e «onclusioni del L.uchini. Il demagogo italiano, figlio d'un operaio alcoolizzato e luetico, quindi già tarato ereditariamente, ha contratto egli stesso la lµe in tarda età, dopo il r,-ilorno dalla guerra. E, circostanza aggravante, per una pà:aPa fisica che forma il fondo del suo carattere e determina tutti i suoi atti, non ha osato curarsela. Bisognava che tre o quattro amici gl_i si mettessero attorno, esercitassero una vera violenza, lo trascinassero dal medico. Ma appena ~·- deva la siringa di Pravatz o appena l'ago cercava la vena rigonfia alla giuntura del braccio destro egli sveniva. Ha dunque seguitato per anni a sfuggire ad una cura che è.M, per il suo organismo minato, una suprema necessità. E la sventura d'Italia ha voluto che il momento in cui ,le conseguenze della sua ignavia igenica lo portavano al'lo squilibrio mentale, coincidesse esattamente col momento del suo trioafo politico. Nei giorni della marcia su Roma egli era già .on paranoico e come tutti i paronoici era dominato sopratutto dalla mania di grandezza e dalla mania di persecuzio:P,e. L'ulcera al duodeno che gli ha minacciato l'esistenza nei primi anni del suo governo aveva le stesse origini. Dato q1,1esto fatto, se Benito Mussolini non occupasse il posto cbe occupa e il s.uo male non avesse procurato infiniti lutti aJla. nazione se ne potrebbe aver quasi pietà. La responsabilità dei suoi atti ricade non tanto su di lui quanto sulla minoranza armata che ,10 ha innalzato a,l posto che occupa e i1ul ponolo che :ha subito il prepotere di questa minoranza. Quan'.'-do una nazione in pieno secolo XX subisce la dittatura d"u• uomo che in tutti i suoi discorsi e in tutti i suoi atti maniBiblioteca Gino Bianco

-10festa chiar_ii segni della pazzia e che è evidentemente un anormale questa nazione merita le sue sventure. I paranoici hanno momenti di abbattimento. lo credoche nei momenti d'abbattimento e di lucido intervallo Benito Mussobni senta ancora e abbia sentito, specialmente nei primi tempi del suo governo, la propria insufficenza, la sua incapacità a mantenere qegnamente il posto che occupava. D'altra parte gli elementi torbidi che aveva chiamato a raccolta attorno a sè premevano d'ogni lato, avidi soltanto di danaro e di cariche, di facili parate e di orgie. Degli uomini d'altri partiti che aveva adescato alla collaborazione, non si fidava. Sebbene gareggiassero coi suoi fedeli in inchini, in malleabilità, tn cortigianeria egli li aveva in sospetto. E i fedeli si dividevano in due categorie: l 0 S-ottotenentini dt complemento che avevan mal comandato un plotone in guerra e, gettati sul lastrico dalla smobilitazione, non avevan avuto nemmeno la capacità di trovarsi un impiego a seicento lire mensili. E di questi egli fu costretto a far sottosegretari di stato o ministri. Ricordiamo Acerbo, Finzi, Balbo. Il° Borsaioli e sfruttatori di malefemmine con sette condanne - compresa quella per diserzione - nella fedina criminale. Di costoro fece i ras e gli agenti segreti della sua polizia. ', . •• Ma le sue diffidenze e il suo considerare l'arte di governo semplicemente come l'arte di perseguitare fino al sangue e fino alla morte anche i più miti ed i più leali oppositori derivano dal suo male. La mania di persecuzione, caràtteristica nella paranoia da lue, fa scoprire nemici impla- ,càbHi dapertutto. Ed egli era portato a vedere in chiunque, per profondo ed insanabile dissenso d'idee, criticava, sia Bib'ioteca Gino Bianco

ii - pure cortesemente, la sua concezione deUo stato e i suoi atti di governo, un nemico personale congiurante con odio ai suoi danni. Sì che tutte le offese gli sembravano difese e ogni agguato e ogni assassinio legittima prevenzione o ritorsione. Senza il suo stato d'animo patologico il caos mostruoso ch'egli ha creato sarebbe inspiegabile. O pazzo o idiota 11ato; da questo dilemma non s'esce. Perchè a nessun uomo politico s'era mai offerta in Italia l'occasione d~ poter governare pacificamente e durevolmente i,l suo popolo come s'era offerta a lui. Il didanove e il venti avevano creato nel paese tale una confu~ione, tale una esasperazione, tale una disperazione che la gran maggioranza del popolo avrebbe accolto, con gioia, qualunque soluzione, pur d'uscire dal tormento. I popoli sono come gli individui; perpetuate in un uomo uno stato d'incertezza, lasciatelo per mesi e mesi su l'orlo della tragedia, fra il dubbio e il dolore, ed egli accoglierà anche il peggio pur di finirla una volta per sempre; s'augurerà un colpo apoplet-ico o un colpo di revolver. Gli errori colossali, spaventosi del socialismo abulico ed acefalo, gli scioperi a mitragliatrice, la minaccia diuturna della rivoluzione da parte di gente che p·oi scappava in ma~sa se comparivan tre caro.ice nere o s'inginocchiava con rassegnazione a inghiottire l'olio di ricino, avevano portato chiunque a desiderare o la rivoluzione sul serio o una tirannia che ristabilisse l'ordine, la pace sociale, la possibi11ità del lavoro tranquillo. La vita era diventata un gioco del lotto. Tutte le mattine, quando ci si alzava, si poteva giocare a pari o dispari per sapere se si sarebbe trovato il tra:m o no, se i caffè sarebbero stati aperti o chiusi, se nel proprio ufficio si sarebbe o non si sarebbe potuto lavorare. Il partito socialista non osava an.,. dare al r,otere, mentre lo avrebbe potuto, per non scontentare gli estremisti i quali a lor volta sbraitavano, dirhiaraBiblioteca Gino Bianco

- {2Tt,;no di non potersi accontentare se non con una repubbEca 4ji ~onsigli, ma, per ottenerla, non sapevan far altro eh• s~operi. I governi che si succedevano, esautorati dal fa\- io0 di non potersi appoggiare a una solida maggioranza, che si sarebbe avuta solo con una collaborazione dei socialist,. co,i popolari, rimanevano pencolanti vivendo una Tita prece.ria di piccoli rimedi e ,di mezze m_isure, pur di non scon- ~tare nessuno. La soluzione, qualunque soluzione, era attesa da tutti uen ansia. C'erano borghesi che invocavano la rivolu:zion~ dai socialisti: Per Dio! mandateci a fare i lustrascarpe, mll decidetevi una volta, finitela!.. .. Ce n'erano altri che invocavano una dittatura militare, i plotoni d'esecuzione, la forca. Furono quelli che vinsero, che trovarono in Mussolini i1l pugno di ferro, l'uomo che invocavano. Ma, come sempre acca de, la marcia su Roma fu un atto di inutile vigliaccheria, fu la pugnalata di Maramaldo, la facile vittoria sui vinti. La riyoluzione l'aveva battuta Giolitti ridendo su l'occupazione. delle fabb1·iche, il socialismo s'era logorato da solo per inettitudine di capi e impreparazione spirituale e materiale delle masse in vani e buffi conati scioperaioli esasperando durante due anni il nemico con chiacchiere e spacconat'0 senza mai osare una spallata decisiva all'edificio barcollan~. A11.che lo sciopero del Luglio 1922 fu un rantolo d'agonia. Non eran state, in fondo, altro che scosse d'assestMI1ento dopo il terremoto della guerra e la pace stava tornando e :Satebbe t.,i'nata senza le sopravvenute provocazioni fascist~ e s~nu il salto di giaguaro della famosa Marcia che non era ormai più un bisogno e poteva soltanto significare, e signiiloo di fatto, l'organizzazione da parte della borghesia d'un governo che la vendicasse della paura passata. Mussolini è una vendetta storica, una vendetta di clase. E fu il vendicatore perchè il suo temperamento d'ammalato, la sua ,negalomania e la paranoia' lo portavano a Bìbl1oteca Gino Bianco

- 16questo e perchè la sua _incapacità politica lo spingeva a sopperjre con la forza !l,llemanchevolezze dell'ingegno. La monarchia s'è condannata f ors.e complottando, ma certo p_ermetUJndo la marcia su Roma che avrebbe potuto fermare co.n quattro mosch.ettate, Mussolini s'è condannato _prestandosi alla vendetta di classe, sfogando tutti suoi rancori personali, trasformando un governo. che avrebbe potuto essere di pacificazione, in una tirannia fatta d'a:rbitrii, di _pre_potenze,di ·delitti. Ma questa i suoi avversari o non vollero o non seppero mai nè capire, nè credere. Non vollero capire che la sua natura d'avventuriero senza scrupoli, privo dell'intelligenza nec;essaria per mantenersi al potere con le arti benefiche• d'un saggio governo, ma deciso ad aggrapparvisi a ogni costo con fa perfidia, la violenza e ogni arte mala, lo avrebbe spinto a;d oltrepassare ogni limite d'umana nequizia. La forza di Benito Mussolini durante gli anni in cui si ebbe ancora una parvenza di lotta tra fascismo e opposizione, lotta che in fondo si riduceva da una parte a una persecuzione selvaggia e dall'altra a un.a ·conigliesca sopporta- · zione consistette appunto in questo: ne l'oltranzismo criminale del Presidente, nella impossibilità da parte degli avgnava, fino dal primo giorno, capire il suo temperamento, versari di credere al fenomeno e affrontarlo come tale. Biso- ~entirsi tutti minacciati nella coscienza, nel lavoro, negli averi, nella vita, considerarlo come un brigante in agguato, come un delinquente volgare quale si dimostrava in tutti i suoi •~ti e sentirlo spanntosamente temibile perchè, a servizio dei suoi rancori,. delle sue vendette, dei suoi soprusi, di tutte le sue basse ·passioni egli metteva l'organismo dello stato Tinto Biblioteca Gino Bianco

--14con un colpo di mano cui s'eran prestati molti altri illusi che non lo credevano allora pericoloso quanto egli si è poi in effetto dimostrato. La vittoria di Mussolini fu dovuta sopratutto alla buona fede di avversari lega.litari i quali ritenevano impossibile il ripetersi nel secolo v,entesimo d'un fenomeno borgiano. Essi pensavano che i suoi delitti stancassero il popolo e retrocedevano di giorno in giorno dicendosi sempre: fin qui non arriva, questo segno non lo olrepassa. Egli oltrepa·ssava tutto. E' andato oltre ogni limHe prevedibile. Valentino Borgia e Ivan il Terribile sono rinati, dopo la rivoluzione francese, dopo la democrazia del diciannovesimo secolo, in lui. La strage di Torino, quel,Ja di 'Firenze, il lento, tragico martirio di Molinella, la soppressione perfida e in modi svariati di tutti gli avversari temibili, da Matteotti ad Amendola da Gobetti a Capello, l'esilio o l'imprigionamento degli altri sono stati conseguiti da lui secondo un piano di una raffinatezza avvelenata che certamente era difficile imaginare possibile nel nostro tempo. Purtuttavia gli uomini che glj si opponevano, se fossero stati uomini politici, avrebbero dovuto rendersi conto subito della sua tragica pazzia, della sua ferocia, della sua crudeltà. Niente. Non capirono nulla. Essi erano stati edupati a una strana teoria secondo la quale un fenomeno è sempre un fenomeno di classe. In omaggio a tale teoria essi avevano disperso per anni le forze rivoluzionarie: proletari da un lato, borghesi da l'altr·o. Impossibile ammettere che tra i proletari ci fosse un delinquente, impossibile ammettere che la de,Iinquenza di una intera classe, la borghesia, potesse oltrepassare i limiti consentiti dai costumi moderni, dalle conquiste civili della rivoluzione francese e del diciannovesimo secolo: tanto che, per loro, Mussolini non era Mussolini, la sua responsabilità inB1b ,oteca G'ino Bianco

-15dividuale diminuiva sfumando nel piu ampio quadro della controffensiva della classe che egli rappresentava. E così l'odio non si appuntava, ma si disperdeva; Benito Mussolrni secondo ·questa concezione non era il mostro, non era il Deus ex machina d'ogni delitto, diventava anch'esso il cieco strumento d'una f atahtà, un episodio della lotta di classe, di cui bisognava attendere gli ulteriori. sviluppi. Certamente, -lo abbiamo già detto, Benito Mussolini vendicava una classè, ma Pelloux l'avrebbe vendicata con lo Stato d'assedio, Giolitti con una manovra, Mussolini l'ha vendicata .... sappiamo come. Mentre i legalitari attendevano gli ulteriori sviluppi. La lotta di classe che si svolgeva nei paesi civili con urti di scioperi e serrate, con_battaglie giornalistiche, con competizioni elettorali, con schermaglie parlamentari, per il temperamento di un solo era trasformata in Italia in una caccia all'uomo selvaggia, senza pietà e senza tregua. Benito Mussolini covava e sfogava i suoi odii. Il commendator Fasciolo ha dichiarato che egli passava il suo tempo, nelle mattinate di palazzo Chigi, sopratutto a scorrere le liste di sottoscrizione a favore dell'Avant'i, della Giustizia, de l'Unità per mandare ordine ai fascisti delle provincie di bastonare o di purgare i sottoscrittori. La gelosia contro qualunque uomo gli facesse ombra si manifestava in impeti bestiali. Mentre egli sembrava indulgere a trattative con Gabriele d'Annunzio e i capi delle Federazioni la sua invidia, il suo terrore per la popolarità di d'Annunzio si dimostrava in un episodio meschino. Avendo saputo che tra i telegrammi d'incoraggiamento a d'Annunzio per -l'opera di pacificazione che tentava ce n'era uno di due fratelli d'un piccolo viHaggio del Cremonese, telegrafò subito a Farinacci perchè -i due fratelli fossero bastonati a sangue. La piccineria d'una lavandaia, l'anima livida di un aborto morale costi tu ivano il fondo dell'uomo col quale inBibl oteca Gino Bianco

-16finiti politicanti italiani e stranieri hanno creduto per anni dj poter onestamente e fiduciosamente trattare. Dal giorno della marcia su Roma all'omicidio di Giaeomo Matteotti sono stati assassinati 'in Italia, e tutti per ordine suo, seicento innocenti. Ncssun fascista italiano, e questo lo dico ad aggravio di Mussolini ed a sgravio dei suoi 1cherani fanatizzati ed ignoranti, ha mai osato agire di propria iniziativa. Voi potevate in Italia, in pieno terrore fascista, 5putare in faccia a un gregario.Egli si rasciugava lo scracchio col dorso della mano e commentava: non ho ordini e non posso rispondere. Soltanto dietro ordini precisi si vendica- ~a, agiva. Questa disciplina cieca, se è stata la forza del fa- _,cismo e la ragione prima della sua vittoria, riconvoglia però tutte le responsabilità criminali del partito al sommo della gerarchia. Per l'aggressione Forni, che non costò la vita all'aggredito per la sua straordinaria prestanza fisica, Giun- ~a e Rossi imponendola, telegrafavano: « presi ordini dal Ca_ po del Governo e Duce del Fascismo ». Dopo l'assassinio di ~ Don Minzoni, ordinato da Italo Balbo, uno dei più fidi sgherri di Mussolini ed evidentemente col beneplacto del Presiden- ~e del Consiglio, mentre il Prefetto e la magistratura agivano prontamente e lo stesso Console della milizia Beltrani, non credendo, per la sua .enormità, che il delitto fosse politico si dava d'attorno onde scoprire i colpevoli, Ba,lbo e l'allora Ministro di Grazia e Giustizia on. Ovigio, telegrafavano da Ro. ma, l'eterno: pres~ ordini dal Capo del Governo e Duce del Fascismo vi imponiamo di cessare da ogni seria ricerca degli assassini. Dai memoriali di Rossi, si rileva che il Duce approvò anche la strage di Torino che come vedremo era ~tata originata da ragioni tutt'altro che politich~ e che, menire Jale strage riempiva d'orrore persino i fascisti Torinesi, egli promuoveva a Governatore della Somalia il senatore De Vecchi, unico fascista del Piemonte che l'a..-esae approTaia. Biblioteca Gino Bianco

-i7Nel primo nostro fasc·colo abbiamo assicurato che, mentre per una telefonata dél Duce ·da Forlì, il giorno seguente l'attentato di Anteo Zamboni, doveva accadere a Milano una vera strage preparata, per obbedienza, da Giampaoli Negrini e Marinelli, i fascisti milanesi cui er-a stato quasi im- . posto di sgozzare tutti i sovversivi un µo' in 1risla, si limitarono all'omicido di tre o quattro oscuri operai e a una c:nqua1,1lina di ferimenti. Tutte le violenze sono sempre state imposte dal Capo del Governo che era sempre irritatissimo contro la longanimità dei fascisti e si proclamava l'unico uomo di punta del partilo. Per quali ragioni Benito Mussolini scelse tra le sue Tittime illustri, Giacomo Matteotti? Giacomo Matteotti era nato a Fratta Polesine nel i885. · Laureatosi in legge e in scienze sociali all'università di Bologna, si era iscritto prestissimo al partito socialista. Ricco di famiglia propria e avendo sposato la signorina Velia Titta Rufio, soreUa del grande baritono, ricchissima anch'essa; potè dedicarsi con passione alla politica per puro ideali- :;mo. Ma la sua attività si restrinse quasi tutta alla organizzazione dei contadini de,1 Polesine e per parecchi anni la u2. popolarità non fu nota oltre i limiti d'una provincia. Seguì le direttive neutraliste del Partito Socialista e il trionfo elettorale del iO lo mandò pei· la prima volta al Parlamento_ Non aveva straordinarie qualità oratorie, non era uno ;.;cr·iltore elegante. Era sopratutto un lavoratore coscienzioso ed'. una coscienza. Queste sue qualità lo resero caro a Filippo,•, Turati che lo considerava come uno dei suoi _migliori figli; · Biblioteca Gino Bianco

- 18spirituali e il cui consiglio giovò senza dubbio ad innalzarlo alla carica di segretario del Partito Unitado dopo il distacco dei Massimalisti - 1922 -. La lotta aspra sostenuta da:l Matteotti nel suo collegio contro i fascisti, il fatto che egli avesse già subito una volta sevizie e, ciò non ostante, non si fosse ritirato da:ll'agone, la . pubblicazione di « Un anno di dittatura fascista » terribile atto d'accusa meticolosamente documentato degli errori e degli ,orrori del Regime, un suo viaggio all'estero, il discorso di Brnxelles, e articoli suoi pubblicati in giornali inglesi contro Mussolini debbono avergli specialmente concitalo lo odio del Duce. Si deve aggiungere a questo il fatto che Matteotti aveva sempre appadenuto a quella pattuglia riformista 'furatiana cui Mussolini ,·improverava la sua espulsione dal Partito Socialista e che perseguitava in particolar modo col suo odio da mentecatto e che Giacomo Matteotti professava sempre, anche nei privati conversari, non soltanto una avversione politica per il capo del governo, ma un disprezzo assoluto del'le sue quali là intellettuali. E' nell'estate del 1923 che il nuovo segretario del partito riformista comincia ad esser fatto segno alle condanne del Duce. I generici incilame!)ti a delinquere contenuti in quasi tutti i discorsi e in tutti gli articoli che il Presiden'te del Consiglio, non osante le gravi cure del governo, continua a mandare al Popolo d'Italia e a L'Impero, appunto nell'estate del 23 si fanno più espliciti e designano senza sottintesi il Matrootti all'ira fascista. Con la consueta eleganza Benito Mussolini scrive in Il Popolo d'Italia del 27 Maggio : Ma i varii Turati e Modigliani e simili Matteotti sono pregati di· ricomporsi nel silenzio dei trapassati perchè il fascismo. comincia ad essere ripreso da una strana nostalgia ~egli anni passati. BibliotecaGinoBianco

E il 3 Maggio: Quank> al Matteotti volgare mistificatore; notissimo vigliacco e spregevoltissimo ruffiano sarà bene che si guardi, che se dovesse capitargli di trovarsi un gtol'-- no o l'altro con la testa rotta, non sarà proprio in diritto di dolersi, dopo tanta ignobiltà scritta e sottoscritta. S'è discusso s·e i testi di queste schifose ingiurie e minacce fossero o no usciti dal èerveUo del Pre':ioente del Consiglio, ma, a parte il fatto che la prosa zopp:cante con pretensioni di efficacia di Benito Mussolini s'. riconosce subHo, i manoscritti, di suo pugno, degli articoli da cui abbiamo tolto i brani suindicati sono nelle mani del comm. Fasciolo, oggi esule. Copie fotografiche di tali manoscritti furono spedite ai diplomatici radunati a Locarno assieme a Mussolini. Nelle elezioni del 1924 Matteotti riesce capolista del suo partito in due circoscrizioni: Veneto e Lazio. L'odio di Benito Mussolini contro di lui s'accresce e si accresce maggiormente per i due coraggiosi discorsi che irritano la maggioranza, il Duce e determinano la catastrofe: il primo denunciante l'amosfera d'intimidazioni e di ~ prusi in cui s'era svolto lo scrutinio, il secondo per ricordare a Mussolini ch'egli aveva approvato dalle colonne di n Popolo d'Italia que'lla amnistia Nitti ai disertori che in quel giorno - 2 Giugno 1924 - bollava come una vergogna. Il carattere di Benito Mussolini è tale - e sopratutto è ·diventato tti'le dopo l'insperata fortuna, la ò'ittatura e la suggestione del potere sconfinato - che egli non ammette smentite, nè può perdonarle. Giacomo Matteotti aveva radunato contro l'illegalismo governativo delle elezioni d'Aprile - 1924 - tali documenti, tante prove, tanta serena ironia e seppe resistere a parlare, tra le ÌI 1terruzioni, gli ur'li, le intimidazioni della maggioPanza esasperata, con tanta tranquillità, pazienza, !5caltrezza, prontezza di repliche e di ritorsioni, che a Musso:rini_i_l discorso dovette apparire oltre che una sfida personale a lui Biblioteca Gino Bianco

-20e {li Fascismo che, d'altra parte, s'identifica in lui, una specie tii. ti-acotante spavalderia. * * * Le elezioni eran state une commedia grottescamente moslruosa. Inutile anche quella; come la marcia su Roma. Parlo anche quelle della fumosa e criminale fantasia det Presidente. Giù iHlimìclifa l'Italia con seicento assa~sinii e con persecuzioni senza precedenti, coalizzati tutti i partiti borghesi rn un ignobile « Blocco Nazionale », fol'giata una nuova !.egge elettorale ad hoc, Mussolini sapeva di poter contar~ sopra UH ll'ionfo elettorale senza bisogno di speciali provvedimenti. In un paese dove Giovanni Giolitti era riuscito a far cade1·e Matteo Renato Imbriani con· un telegramma a .liii prefetto, in un paese dove tutti i presidenti del Consiglio avevan .saputo per anni, per decenni che l'elezione 'di alme- •o frecento « moretti » dipendeva da un numero limitato di Jtigiiclli da cinque lire tagliati a metà, non c'era proprio bi- -;;ognodi misure stra.ordinarie per farsi una camera di centut'ioni del'la. Milizia, di funzionari dellac Cek.a e di' uomini li~p al capo del Governo per Ja « bustarella » di fine mese. Ciò non ostante, per quella smania di esagerazione che Jl) contraddistingue, per quella dispettosa voglia di sfida ch'è i ■ -iui u~a seconda natma, egli riuscì a togli~t·c alle elezioni egN i apparenza di ser·ietà, a renderle una burletta atroce. In ir1le1·eprovincie gli elettori, caricati su autocarri dalla Milizia &1'mata, era.n lrascinati alle cabine elettora:li a viva forza e nelle cabine trovavano nascoste camice neee cbe, tenendo loro i~ i'Pvolvnr .i,Un tempia, facevan scriveee e firmare la scheda f_a~Pi.-in1 ìri ì nlcre provincie e1'ano stabiliti severissimi contr{)i\i inrL,:irl!:nli. E 1utlo questo dopo che l'intimidazione goBiblioteca Gino Bianco

- 21 - vernativa e fascista aveva reso impossibile ovunque la pr@- paganda avveesaria e in talune circoscrizioni persino ta presentazione delle liste d'opposizione. S'aggiunga che, là dove tali sistemi non avevan raggiunto !'effetto voluto o per furberia o per sacrificio di socialisti o popolari, la rappresaglia, appena conosciuti i risultali, fu terribile. La Brianza, la parte più ridente della regione lombarda fu saccheggiata, devastata, incendiata barbaramente e illigliaia furono le vittime di bastonature e ferimenti solo perchè la zona ricchissima cristiano-sociale non aveva dato ail fascismo il numero di voti desiderato e previsto. Le rappresaglie già sferratesi e ancora temute non avevan nemmeno permesso che si trovasser le firme neces5arie per i ricorsi alla -Giunta delle elezioni, per le proteste doverose; il fascismo spera va che il terrore bastasse a soff.ocare una odiosa impresa di terrore, che nessuno levasse una voce vibrante ad infirmare la legittimità di una camera naia daUa violenza. Ed invece quella voce si trovò, si levò. Solo per il discorso del 30 Aprile ogni deputato della maggioranza fu indicato alla nazione con gli attribµti che gli spettavano, si rivelò l'eletto del manganel'lo, dell'olio di ricino, del ·revolver alla tempia, d!:)ll'autocarro della QuesL,ora, dell'imposizione prefettizia poliziesca padronale, della minaccia, i1 deputato imposto da Mussolini, pena la morte, la _galera, l'esilio, l'affamamento. L'accusatore accusava per incarico d'un partito, ma, come sempre accade, portava nell'espletamento della sua funzione tutta la rigida severità, tutta la pacata baldanza del suo temperamento. Qualunque altro segretario del Parrita dei Lavoratori avrebbe smussato le punte, architellato tra-si ambigue, dato prova di quella diplomazia ch'era ormai, _per tutti coloro che volevan sa:lvar::i la pelle, una impelicntc n()- cessità. Biblioteca Gino BianGo

... ---- 22 - Giacomo Matteotti fu freddamente inesorabile. Terminato il discorso, fra gli urli e le minacce della maggioranza, eg-li si allontanò dalla camera dicendo agli amtci e.be si congratulavano con lui: Sta bene, ma adesso preparatemi l'elogio funebre. •. Era perfettamente conscio del suo destino. E infatti, .forse a pochi passi da lui, forse nello stesso corrldoio, il despota i cui sistemi erano stati smascherati, pronunciava, forse nello stesso minuto, l'altra frase, rimasta parimenti storica: Quella bocca bisogna chiuderla con un colpo di revolver. Era 1la sentenza, di morte. Ma ci sono degli uomini per i quali la sfida alla morte è un dovere d'ufficio. Tale doveva considerarla Giacomo Matteotti che in tutta la sua opera antifascista aveva portato la meticolosa pre- -cii;ione di un diagnostico curioso dei minimi particolari. Dicono che fosse malato d'un male che non perdona, ma quet male l'anima sua sapeva, superando, obliare. . C'erano tre bambini che gli si avvinghiavano alle ginocmia e.d a,nche quei bimbi egli seppe, forse con uno strappo angoscioso alle più intime fibre del cuor del cuore, superande, obliare. Perchè egli non s'i'lludeva ..... E questa è la sua gloria maggiore; egli non era della sehitira d'imbecillì che sentenziavano: fin qui non arriva. Bgli.- aveva sentito da tempo - tutti quelli che l'accostavano àanno riferito i suoi presentimenti - aveva sentit,o che, a un tratto, per l'nfamia delle alte sfere governative, delle conserterie, della borghesia tutta, ma sopratutto per l'infamia d'un frasfuga del socialismo impazzito di rancore e d'ambi- .lÌ.ena e pel cieco fanatismo dei suoi segugi prezzolati, tutto il sistema della lotta politica si mutava e alla battaglia d'idee, a;lla polemica più o meno aspra, succedeva una guerra · Biblioteca Gino Bianco

-23civile tormentosa perchè mascherata e perfida. Egli sapeva che, in tal forma di guerra, ognuno doveva essere al suo posto - in trincea o di pattuglia - fra trabocchetti e-dagguati. Eppure non si ritirò. Egli ricco, eg·li già sevizialo una volta, egli che la moglie govane e tre piccole voci di 'bimbi richiamavano verso la pace d'un tiepido focolare. Non si ritirò. L'oscuro presagi-o gli aveva piegato la bocca in un arco lievemente doloroso, gli aveva cerchiato gli occhi d'azzurro, g·lieli aveva fatti gravi di malinconia e vaghi di lontananza. l\Jfa la fronte era ampia e spavalda e l'andatura sciolta, elastica, giovanile. Andava senza cappello. Sempre il soldato che si protende fu.or dello spalto per irridere al nemico ed al falo si scopre il capo; nè l'ignoto non s'entra che a capo scoperto. Ed egli andava incontro agli assassi.ni, così. * * * Intorno al modo e alla data della costituzione della Ceca fascista alla quale appartenevano tutti i mandatari dell'assas:::inio Matteotti. si sono affacciate varie ipotesi, spesso contraddi llorie. Sta di fatto che la Ceca fascista si identifica con Ia « Associazione Arditi d'Italia » il cui primo nucleo si formò a Milano ai comandi di Albino Volpi. Il Volpi garzone macellaio, sfruttatore di malafemmine, disertore, condannato sei o sette volte per reati comuni, fu tra i primi ferventi fascisti milanesi e, adoperato dal Duce in ogni impresa delittuosa, godeva della sua stima, fiducia, amicizia. F11 1•j!enuto autore dell'assassinio del maestro socialista luversetti. una BibliotecaGino Bianco ·

-24delle prime vittime milanesi del fascismo, e fu assolto per non provata reità proprio in seguito a una deposizione di Benilo Mussolini che ne lodò... il galantomismo. L'omertà che legava sino dall'alba del partilo capi e gregari si dimostrò appunto in quel processo dove M11ssolini disse di aver avuto la prova dell'innocenza del Volpi in seguito alle confidenze d'un altro fascista, ormai morto. Gli Arditi d'Italia non avevano niente a che veder,e con g'li Arditi di guerra. Erano per la maggior parte ex imboscati o disertori, ma avendo quasi tutti partecipato alle prime spedizioni punitive e dichiarandosi pronti ad ogni violenza, , l'appartenere alla loro associazione, era diventato, per tutti i capi del fascimo, una specie d'onore. Moltissimi deputati, consoli, segretari di fasci importanti e alti dignitari del partito portavano con ostentazione, nel 23 e nel 24, aH'occhiello il distintivo degli Arditi d'Italia. Ma oltre al distintivo palese ne avevano un altro, un segno di riconoscimento: si trattava di una minuscola roncola di metallo vile o d'argento o d'oro ohe poetavano appesa alla catena, nel taschino del panciotto. Erano orgogliosi della roncola, a Milano,. Mario Giampaoli, Attilio Longoni, Carlo Maria Maggi e molti altri gerar.chi del fascismo. La spiegazione del simbolo mi fu data così: agli antifascisti dobbiamo tagliar~ la gola con la roncola. La Ceca esisteva dunque da tempo, ma da:lle confessioni di Fiunzi e di Rossi è risultato che proprio negli ultimi giorni d'Aprile, dopo il ritorno di Dumini dalla Francia e dopo la aggressione a Forni, s'era tenuta una seduta in casa del Duce, a Via Rasella, per dare alla Ceca una costituzione più regolare. La prima gloriosa impresa della Ceca, costituita come polizia segreta di Stato, doveva es::'-lre l'assassinio di Matteotti. Secondo indizi che risultano chiarissimi da l'inchiesta dc l'Alta Corte, da tutti gli atti del processo, dalla requisitoBib ioteca Gino Bianco

- 25ria Sanloro, pare che tale assassinio fosse già deciso prima ancora dei due discorsi del martire. Un telegramma, di Amerigo Dumini a un amico residente in Umbria e spedilo prima del trenta Aprile, dice: Verrò da te dopo concluso noto affare. · E prima ancora d_eltrenta Aprile s'era ri'1ascial:o a Matteotti il passaporto per l'estero ch'egli chiedeva invano ùa tre mesi, commentando il favore con la fras-e: gli a'bbiamo l'ilasciaLo il passaporto per l'altro mondo. Sembra lo si volesse uccidere all'estero. Ma l'ordine tassativo di operar-e a Roma - dato che Mateotti invece di partire per l'estero partecipava, troppo attivamente, ai lavori parlamentari.- è stato dato dal Duce a Marinelli il cinque Giugno e trasmesso da 1 arinelli, dopo previ acoordi con pe Bono, a Dumini il sette Giugno. L'otto Dumini spedisce a Volpi il noto telegramma: Vieni, porta con te Panzeri e abile chauffeur. Volpi parte con Panzeri che poi dichiarerà al processo di Chieti, per sgravarsi del sospetto d'a.ver iiifert-o la pugnalata micidiale alla vittima: « Al volante c'ero io». Che l'ordine · sia stato trasmesso da Marinelli a Durnini dopo i'l colloquio avuto col Presidente nel pomeriggio del cinque lo si deduce chiaramente dal fatto che i soli che risultano chiaramente complici diretti di Mussolini, che non hanno avuto rivoli,e di coscienza, che sono stati da Mussolini premiati della fedeltà e del silenzio - De Bono col governo della Tripolitania, ~farinelli con sei milioni del Parti lo FascisLa, di cui, dopo la scarcerazione, non ha più reso conto - furono appunto i1lDirettore generale della Pubblica Sicurezza e il segretario amministrativo del P. N. F. Ma poi la prova più grave che, esisbendo in Italia una legge, una magistratura, dei giurati, avrebbe bastato per mandare il Duce e i suoi due oomplici più diretti all'ergaslolo, è contenuta nel resoconto del colloquio avvenuto dopo il delitto, quando ciascuno ten- - tava di oombattere l'uragano addensantesi, la notte fra il do- .. Bibl oteca Gino Bianco

-26dici e il tl'edici Giugno, al Viminale, tra De Bono, Marinelli, Finzi, Rossi, colloquio riferito da:lla requisitoria Santoro. Da quel colloquio si apprende, come del resto dagli ulteriori atteggiamenti, che Finzi e Rossi non erano stati preavvertiti del delitto, mentre De Bono e Marinelli ne erano al correnf.e, si apprende che Marinelli aveva discusso col Presidente, nel pomeriggio del cinque Aprile, dell'attività della Ceka e della lezione da darsi a Matteotti e si apprende anche - particolare interessante per valutare gimtamente il suo posteriore antifascismo - che Rossi, pur non avendo ordinato il delitto era di parere di affrontare la bufera assumendone in pieno la re_ sponsabilità, rifiutando l'autorizzazione alla magistratura di arrestare i colpevoli. Rossi st scandalizzò non dell'assassinio di Matteotti, ma dell'arresio di Dumini che fu sorpreso alla stazione mentre trovavasi jn compagnia di Carlo Bazzi. Altro tardivo antifacista. • * * Gli assassini concorrono a Roma, alloggiano in comodi alberghi, mangiano da Brecche, il noto restaurant di lusso, covo di politicanti e vitaioli fascisti e delle loro amanti, squaldrine per male o squaldrine per bene, restaurant dove nessun fascista paga e il proprietario colleziona i conti per mandarli a palazzo Chigi ogni .fine mese e farseli saldare col danaro della nazione. Al tempo dei vecchi ministri, deHa destra o della sinistra storica, di quelli che i fascisti han chiamato tante volte dilapidatori dell'erario e accusato di corruzione e di disonestà, il milione di « Fondi Segreti » del Ministro dell'Interno non avreb1 be bastato nemmeno a saldare i conti di Brecche, i conti della Palazzina Valladier, della Bomboniera, della Biblioteca Gino Bianco

-27 - buvette dell'Excelsior luoghi di delizia della nuova aristocrazia fascista. E' in quei ritrov_iche, tra il lampeggiare degli occhi delle femmine, si sogna il lampeggiare del pugnale, e il gorgoglio dello Champagne nelle coppe fa pensare il dolce gorgoglio del sangue socialista che sgorga dalle gole tagEate. Ivi fan bella mostra di sè: la nuova nobiltà di Giacomo Acerbo, faccia ed anima imbecille e cattiva, truffatore ipocrita e chiuso, '1a sottile eleganza ebraica di Aldo Finz~, farabutteìlo sportivo, mariuolo sfruttatore di femmine e di case da gioco, la spavalderia cinica e moschettiera di Italo Balbo, assassino di Don Minzoni, l'occhialuta timidità perfida ,di Michele Bianchi, la barba dignitosa e la senile lussuria di De Bono. E si mischian fra loro le dame dell'aristocrazia e della borghesia in busca di brividi e gli sgherri da poco prezzo che aspettano ordini. Gli assassini prescelti per l'eroica gesta passan dunque due giorni a Roma ad allietarsi lo spirito accanto all'orgia dei padroni: Dumini, Volpi, Malacria, Putato,_ Panzer.i, Po-. veromo ..... Quanti eroi contro un sol uo.mo debole fisicamente perchè malato d'un male che non perdona! E quanti a conoscere, preparare, facilitare il delitto obbrobrioso, feUci .di servire l'implacabile, basso, volgare rancore del Duce! Uno dei particolari, dei tanti particolari che comprovano la piena complicità delle altissime gerarchie del fascismo nella preparazione del delitto (è già stato rilevato dai giornali de l'epoca) è questo ; l'agente investigativo che '1a Pubblica Sicurezza manteneva sempre alle calcagna de-1 Matteotti, oon lo scopo apparente di proteggerlo - oh, benignità paterna del Presidente per gli avversari! - ma con lo scopo reale di vigilarne le mosse e i contatti, proprio il giorno del delitto fu ritirato. Non si poteva ritirarlo senza un ordine preciso di 8. E. Biblioteca Gino Bianco

I -28f be Bono Direttore Generale dei· Servizi di Pubblica Sicur•zza. Ora, quando e come fu avvertito il De Bono che tutto era pronto per il delitto e che la scorta doveva esser tolta di m:ezzo? Forse la mia fantasia di romanziere mi trascina, m1t siccome il Dumini per non dar nell'occhio non si recava più nell'Ufficio del De Bono e siccome gli alt.ri complici non avevano gran famigliarità con Sua Eccellenza il Direttore, :io amo immaginare - è del resto l'ipotesi più verosimile - fhe H Dumini avvertisse il De Bono proprio in uno dei ricordati ritrovi notturni. Il De Bono era celebre anche tra i fascisti per la sua erotomania senile. Quando si recava in una qualunque città per festeggiamenti, commemorazioai, parate aveva cura d'avvertire i capi del fascismo locale: « E per stassera, mi raccomando, un po' d'allegria; e che ci sian ragazze eh!. ... e giovani! ». Perchè i fascisti sono mraordinariamente JOoralisti ..... nelle gazzette e negli ordilli del giorno. E' anche noto che il De Bono aveva appigionato assieme a Filippelli un « buen retiro » in cui i capi del fascismo e della Ceca si raccoglievano per orgie intime. Io penso dunque che il Dumini si accostasse o alla buvette de l'Excelsior o in qualche altro lupanare elegante all'orecchio ,del generale per sussurrarg,li: Tutto pronto per àomani..... mi raccomando, ritiri l'agente.'".. E il generale: provvederò. Poi, volto a una delle oneste o disoneste prosti- ~ute che l'atl-0rniavano: Un altro bicchiere di sciampagnà, signora!.. ... Al tempo dei Borgia _: a quale mai altro regime può essere paragonato il fascismo? - accadde un episodio grazioso che, per la sua· simbolica bellezza e per il freddo coraggio dimostrato dall'eroe protagonista, parve degno d'istoria e ci fu dai cronisti tramandato. Biblioteca Gino Bianco

-29Una sera, ess-endosi recato papa Alessandro VI con ·gran eodazzo di cardinali e dignitari a casa una delle sue amanti, ia contessa Vanozza, onde partecipare a una festa cui eraa s\ati invitati diplomatici, belle e nobili femmine, musici e poeti e quanti mat gentiluomini avevano in Roma fama lii lussuriosi e cortesi, mentre sedeano costoro a banchettare ~-aiamente e i seni delle cortigiane splendeano di gemme e i calici di vini prelibati, la facciata di Palazzo Vanozza splendea di luminarie veneziane e sul portale un bell'arco di lampi<:lncini avvivava, in luci molticolori, il possente cognome dei Borgia. Un giovinetto di casa Orsina, osti'le allora ai Borgia, passò a cavallo, in tutta armatura, celata bassa, avan_ h il palazzo e, incurante del possibile impeto della sbirraflia papale, fermato i'l destriero, rizzatosi su l'arcione, ruppe oon la lancia tutti i lampioncini che componevano il B iniziale. Poi tranquillo spronò via. I cagnotti del papa stupiti di tanta audacia, esterefatti non osarono int-errompere il lavorc bizzarro, nè inseguirlo. La pugnalata che ha spento Giacomo Matteotti ha anche servito a rompere i lampioncini rossi che nella luminarie fascista confondevano l'esallazion-e politica e l'orgia. * * * Alle qun,ttro del pomeriggio del 10 Giugno la Lancia di Filippelli aspetta sul Lungo Tevere Arnaldo. Il pugno che stordisce la vittima lo appioppa Albino Volpi - Se ne è vantato tra i fidi al Pedavena di Mi1 lano e, d'altra parte, Dumini aveva il braccio destro ancora debole per une ferita ripqrtata in Francia. Volpi e Dumini cacciano a forza Matteotti semisvenuto nella vettura. Panzeri è al volante, Putato gli è a,l tanco. Un'altra macchina rossa, da corsa, con Malacria e Vi~la. Biblioteca Gino Bianco

-30aspetta la Lancia lungo la Flaminia. Nell'interno della vettura Matteotti, riavutosi, si dibatte. Dumini assesta il colpo di pugnale che '1o finisce mentre la vittima lascia il suo testamento politico alla storia con la frase lapidaria: Uccidete me, ma l'ideale che è in me non potrete ucciderlo mai. Non doveva essere ucciso subito. Volevano seviziarlo a lungo. Le belve amano che l'agonia delle vittime sia lenta. Doveva essere tenuto prigioniero, gli si dovevano strappare chi sa quali segreti di chi sa quali congiure antinazionali... .. La casa d'un fascista di Monterotondo doveva servire da careere, alla tortura, doveva fare da Morgue. Ma la Lancia è ormai una bara e per un gforno intero le due macchine macabre corrono la campagna per negare un cimitero a un cadavere. Dove lo hanno sepolto? Il carabiniere pagato perchè trovasse il cadavere alla Quartarella quando la decompo.3izione ave,va ormai cancellato la traccia del f.erro onde si potesse avvalorare 'la buffa . versione della sincope non potè illudere nessuno. Un giorno anche intorno ai particolari ancora oscuri e ohe del resto sono pochissimo interessanti si farà la luce. La farà forse Amerigo Dumini che, uscito di carcere, ha avuto per tutto compenso ?inquemila lire e, lamentatosi della meschina mercede, ha dovuto rientrare in carcere. La farà. se il Duce non provvede o non ha già provvisto, come corre la voce insistentemerite in Italia, a chiuder per sempre la bocca anche a lui. Amerigo Dumini riconsegna la Lancia macchiata del sangue del martire a Filippelli e la mattina dell'undici va a palazzo Chigi a render conto del suo operato al Duce. E ~li ~onse~na il portafogli e altre carte della vittima. Be:ni!,oMussolini è contento. Il suo cinismo e quello di l"arinacci, .che è perfettamente edotto del delitto, dimostrano Biblioteca Gino Bianco

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