Aveva nell'opale degli occhi buoni e verdazzurri il riflesso dei suoi campi del Polesine, dell'acqua dei fossati che riverbera il fremito dei pioppi o disseta la lassitudine infinita di quei braccianti. Nell'agile persona, nel gesto tagliente rivelava la stirpe tenace, calata dai greppi del Trentino. L'accento tenuemente dolcemente veneto, non venezievole, ignorava la sdolcinatura. Mosse e sorrisi di ragazzo, fronte, e talora cipiglio, di studioso e di pensatore. L'indulgenza che è la bontà, la severità che è il dovere, si conciliavano sul suo labbro e nel suo spirito. Animato, a volte monello, sobrio, frettoloso, sempre; come l'uomo il quale sa che, pur giovane, non avrà tempo da perdere. E ci rappresentava tutti, ci integrava tutti, faceva volontieri con tutti, faceva solo per tutti. Rapidissimo, schematico, nudo, dal discorso parlamentare all'articolo di propaganda, dal libro al volantino, dal tuffo entro un oceano di cifre al motto Biblioteca Gino Bianco I ■ epigrafico che va come un dardo, fra gli eruditi e fra i miseri, dalla tribuna o dalla spelonca, in Italia ed oltre il confine; queste cose, tutte, direi quasi in un tempo medesimo. Aveva l'ubiquità del corpo e dello spirito, di sè mai si curava; i consigli di prudenza parlavano a lui come le canzoni ai sordi. Non li ricusava: pensava ad altro, a ciò ch'era da fare subito nel minuto che fugge. Possedeva il coraggio che si ignora, che non ha pose spavalde nè si guarda allo specchio, appunto perchè si ignora. Ritto organicamente come per conformazione scheletrica del corpo e del pensiero. Anche spento dovettero sudare a piegarlo. Era l'uomo che è più raro in Italia. Giovani, sappiate imitarlo! Previde, non temette la morte, certo, per questo: intuiva che il suo cadavere avrebbe servito alla causa più di tutta la sua vita operosa. Infatti morto è più vivo. E non potranno assassinarlo più. FILIPPO TURATI
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