della propria vita per la causa della Libertà e del Socialismo. « Tocca ai giovani - egli dice - rivendicare i diritti di vita, di pensiero, di parola, d'i cittadinanza, rivendicarli con energia, con dignità, con fierezza, con sacrificio, con pericolo. « Sacrificio inutile - diranno i prudenti - perchè i dominatori hanno tutti gli strumenti della forza e gli oppressi sono inermi. Sacrificio utile - diciamo noi - perchè tutte le grandi cause della civiltà hanno dovuto avere prima le loro vittime, i loro marliri, i loro umili eroi, che hanno aperto gli occhi e la strada agli altri». Egli era veramente l'anima del Partito ed ogni sua parola era un richiamo all'azione, era un grido di incitamento; egli era veramente il più forte. E se egli non doveva essere ucciso perchè anch'egli era uomo e la vita umana è sacra, pure egli era il più degno del Martirio. E morto fu più vivo che mai. Il suo nome divenne un comandamento. Il suo nome divenne il simbolo glorioso del sacrificio e ad esso i giovani intitolarono i loro Gruppi. Ed oggi, dal Veneto alla Sicilia, i Gruppi sono numerosi ed aumentano ogni giorno. E non si tratta di un omaggio formale. E' lo spirito di Giacomo Matteotti che anima oggi tutti i giovani socialisti italiani. Sono matteottiani quei giovani socialisti di Molinella, che, costi quel che costi, non rinnegano la propria fede. Poichè le ultime parole del giovane Frazzoni morente: « Mamma, non piangere, io muoio contento. Credi a me. Il socialismo trionferà », non sono che l'eco del grido di Matteotti: « Uccidete me, ma l'idea che è in me non l'ucciderete mai ». Sono rnatteottiani quei giovani di Salerno, che arrestati e bastonati per aver distribuito dei manifestini con l'immagine del Martire, rispondono cantando l'Inno dei Lavoratori. Sono matteottiani quei giovani del Reggiano, che sotto le rinnovate violenze, giurano di rimanere al loro posto qualunque cosa accada. E' matteottiana la gioventù lavoratrice italiana, che, stretta nei suoi Gruppi, forte e serena, senza pose spavalde, con fede e con fermezza, lavora per il Socialismo. BibliotecaGino Bianco ""Il dovere aggi mi comanda di restare al pasta più pericolosa'' Egli era stato, prima e oltre che un uomo d'azione uno studioso: del Suo particolare amore alle discipline giuridiche aveva lasciato notevolissima traccia in un lavoro di mole sulla Recidiva. Allorquando la responsabilità di una fa. tica che non conosceva tregua lo distolse quasi totalmente dagli studi prediletti; e la febbre miracolosa di fare assorbì tutta la sua giornata, ci fu chi particolarmente si dolse - per Lui, per la scienza - che Egli non continuasse a studiare. E fu uno dei suoi maestri, il Senatore Luchini. Il quale non mancò di stimolarlo perchè ritornasse ai I i bri: e gliene scrisse ancora una volta, un mese prima che il martirio coronasse la vita dell'Eroe. L'invito era allettante e lusinghiero. Doveva essere dolce il pensiero di una riposante fatica sui libri, per chi non conosceva da mesi e da anni tregua nell'opera e nel pericolo. « Ili.mo Professore, ritrovo qui la Sua lettera gentile e non so come ringraziarla delle espressioni a mio riguardo. Purtroppo non vedo prossimo il tempo nel quale ritornerò tranquillo agli studi abbandonati. Non solo la convinzione ma il dovere oggi mi comanda di restare al posto più pericoloso, per rivendicare quelli che sono, secondo ne, i presupposti di qualsiasi civiltà o Nazione moderna. Ma quando io potrò dedicare ancora qualche tempo agli studi prediletti, ricorderò sempre la profferta e l'atto cortese che dal maestro mi sono venuti nei momenti più difficili ». Maggio 10, 1924. Dev.mo G. Matteotti 9
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