COMMEMORAZ NELL'AZIONE di CARLO ROSSELLI Siamo veramente degni, oggi, di commemorare in pace con la nostra coscienza, Giacomo Matteotti, di appellarci superbamente alla Sua memoria, che è un programma di dignità, di intransigenza, di lotta, quasi avessimo compiuto intero il nostro dovere? Quasi Gli fossimo in qualche modo assomigliati nell'azione? E quando dico «siamo» voglio riferirmi soprattutto ai giovani, perchè soprattutto ai giovani spetta il compito della liberazione. Ebbene, bisogna avere l'onestà di rispondere: no. Non fummo degni finora di Lui. Non facemmo lutto quello che stava in noi di fare. E troppo ci lamentammo dei capi e degli errori passati, e troppo cercammo negli altri, e non in noi stessi, il rimedio. Un anno è trascorso da quei giorni di vergogna, e il popolo italiano non ha saputo - io dico che non ha voluto - scuotere il niogo. Mentre allora, nella settimana di passione che sembrò dovesse travolgere ogni cosa impura, non uno dubitò che il regime si avviasse alla rapida agonia. Sotto l'orrore per l'assassinio e la forza del Suo mirabile esempio ci sentimmo veramente capaci a nostra volta di grandi cose, di forti sacrifici. Queste grandi cose, questi forti sacrifici non furono compiuti. La promessa segreta non venne mantenuta e non facemmo intero il nostro dovere. Tutti mancavamo chi più chi meno. Soprattutto mancammo per intrinseca debolezza, attendendo la liberazione da altri, da tutti gli altri fuori che da noi stessi. Mentre ancora perdura e si fa ogni giorno più feroce e più subdola, l'oppressione fascista, una sola commemorazione ci è permessa: la commemorazione colle opere, nell'azione. Fare, fare concretamente; organizzarsi e organizzare, senza attendere l'imbeccala ibliotecaGino Bianco dal centro; ]ollare sempre, con tutti i mezzi, ovunque se ne presenti la possibilità (non la «convenienza»); osare, anche quando l'osare può sembrare pazzesco ed ozioso. Non ascoltare i consigli dei politici raffinati e machiavellici, dei manovratori sapienti, dei logici puri. A tavolino e a fil di logica, in una situazione come questa, è facile dimostrare che il meglio che si possa fare è di non far nulla. Contro la logica; contro la convenienza; contro la ragione. Chi vuole muoversi ed agire solo quando è certo della vittoria, non può essere dei nostri. Bisogna che ci abituiamo a perdere per apprendere a vivere. Solo rischiando, solo perdendo le mille volte, solo perdurando ostinatamente nella lotta, si formeranno i caratteri, si tempreranno le energie morali, e si conquisterà la vittoria definitiva. Occorre che i giovani siano disperatamente intransigenti, senza concessioni per nessuno, tanto fuori quanto dentro ai Partiti, tanto verso i maggiori quanto verso i minori. A chi ci chiede il programma, il piano d'azione, rispondiamo: dieci anni di lotta, allo sbaraglio. A costo di fare i capelli bianchi nelle file dell'opposizione in noine di Malleolti. Chi non se la sente, per età, per tradizione, per temperamento, chi vive col tempo e vuole misurare coi valori relativi dei mesi e degli anni, i valori assoluti pei quali combattiamo; chi non ha ancora inteso che ogni ponte è rotto e che sempre più si restringe il campo di scelta dei mezzi di lotta e che occorre finalmente guardare in faccia la realtà, per brutta che sia, e provvedere in conseguenza: ci si levi di tra i piedi, si ritiri in disparte, taccia. L'eredità di Matteotti, passa oggi alla nuova generazione. Siamo certi che essa, prima o poi, risponderà. 7
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