Il Suo anti-fascismo Giacomo Matteotti vide nascere nel Polesine il movimento fascista come schiavismo agrario, come cortigianeria servile degli spostati verso chi li pagava; come medioevale crudeltà e torbido oscurantismo verso qualunque sforzo dei lavoratori volti a raggiungere la propria dignità e libertà. Con questa iniziazione infallibile Matteotti non poteva prendere sul serio le scherzose teorie dei vari nazionalfascisti, nè i mediocri progetti machiavellici di Mussolini: c'era una questione più fondamentale di incompatibilità etica e di antitesi istintiva. Sentiva che per combattere utilmente il fascismo nel campo politico occorreva opporgli esempi di dignità con resistenza tenace. Farne una questione di carattere. di intransigenza, di rigorismo. Cosl s'era condotto contro tutti 1ministerialisml, senza piegarsi mal. Nel ~21 al prefetto di Ferrara che lo chiamava In un momento critico della lçitta agraria aveva risposto per telefono : « Qualunque colloquio tra noi è inutile. Se lei vuole conoscere le nostre intenzioni non ha bisogno di me perchè ha le sue spie. E delle sue parole io non ml fido». Non fu mal visto cedere alle lusinghe degli uom.lnl del potere costituito nè salire volentieri le scale della prefettura. S'era cosi creata intorno a lui un'atmosfera di astio pauroso da parte degli agrari: mentre lo stimavano, capivano che l'avrebbero avuto nemico lmplacablle. Il 12 marzo 1921 Matteotti doveva parlare a Castelguglielmo. La lotta si era fatta da alcuni mesi violentissima; s'era avuto In Polesine .il primo assassinio. Quel sabato egli Biblioteca Gino Bianco
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