VINCENZO V A CIRCA ex Deputato al Parlamento italiano L'ultiin·o tnartire della libertà Resoconto stenografico della commemorazione di Giacomo Matteotti tenuta a Bellinzona la sera del '.l7 giugno 1924i.ugan6 Biblioteca Rossa 1924 Con H oontrbuto di
Biblioteca Gino Bianco
2.ç~ L'ultimo martire della libertà Biblioteca G ro Bianco
TIPOGRAFJA LUGANESE - SANVITO & C. - LUGAl-0 B, ::iiioteca Gino Bianco
VINCENZO V A CIRCA ex Deputato al Parlamento italiano L'ultimo martire della libertà Resoconto stenografico della commemorazione di Giacomo Matteotti ·tenuta a Belllnzona la sera del 27 giugno 1924 Bibl1ote< Biérco Lugano Bl 0 blioteca Rossa 1924
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GIACOMO lYIA'rTEO'fTI Deputato al Parlamento Italiano Bib! oteca Gino B1a11co
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Cittadini, Amioi, Compagni, Ho accettato come un dovere il penoso incarico di questa commemorazione, datomi dal Partito Socialista e dalla Camera del Lavoro del Ticino. Commemorazione"! È con un angoscioso tremito del cuore ch'io pronum;io questa parola funeraria. Ho qui viva e presente l'immagine sua giovanile da cui si sprigionava tanto fervore di vita; vedo ancora i suoi chiari grandi occhi ove brillava tanta luce di pensiero e rideva tanta purezza e bontà d'animo; vedo il suo volto magro e pallido che i dolori, le sofferenze, la sanguinante tragedia di questi ullini tre anni e più cli storia italiana avevano solcalo di rughe precoci; e ancora risuona dentro di me quella sua voce acuta è come velata di malinconia, con cui egli, appena due mesi fa, in Lugano, ove si soffermò poche ore per ripartire per Bruxelles e Londra, passeggiando in una tiepida notte d'aprile lungo il quai, in cospetto del lago dormiente e delle silenti montagne, mi riepilogava gli ultimi tristi avvenimenti d'Italia e mi accennava· alle speranze d'un domani più sereno. Ed ora, questo mio compagno di fede e di lotta, questo_ mio amico carissimo, questo fratello spirituale, con cui per cinque anni divisi le asprezze della battaBib1ioteca Gino Bianco
-8glia, la g10ia dei rari trionfi, l'angoscia della sconfitta, non è più. Debbo parlarne come d'un morto 1· La sua giovinezza che s'ornava d'un passato brillante e s'annunziava ricca di p~omesse per l'avvenire, è stata spezzata dalla sacrilega mano d'osceni sicari, per mandalo obbrobrioso d'uomini - che dico'? - di belve d'umano sembiante che pure si prodamavano gli alfieri d'una rinasc_ita idealistica del loro paese. Egli è stato assassinalo il 10 giugno, in pieno giorno, a Roma, in quel Lungotevere che or son 20 secoli vide cadere un altro eroe della emancipazione dei servi, Cajo Gracco. E' stato assassinalo e noi non sappiamo ancora esattamente come. Pugnalato f revolverato? o - secondo una più recente versione - strozzalo dentro quella nera automobile in cui era stato rapito 1 Io voglio credere a quest'ultima versione. Si, l'hanno strozzato, per silenziare in eterno quella voce eroica che sapeva riassumere e dénunziàre il martirio delle moltitudini, per ricacciare nel riu!Ìa pauroso quel grido clalnanté'giustizia che non dal suo esile petto il~civa, ma sali~a impetuoso dall'anima: pròfonda·dèlle 'rofle lavoral1·ici doloranti, sanguinati sollo la·pression'e' crudele d'un regim-e'politìco chè-eguaglia è forse ~upera 'in orrore i· più foschi evi antichi: quando l'umanità brancolava:' nel 'buio delle barbarie e le tirannide sanguinolenti s'assidevano su d'essa;'doniinalrici ·implacabili e ·spietate. O illusione dei tristi I' Poichè giammai nei· secoli voce d'uomo, d'apostolo, di profeta, grido di' martire· e Bibliote.ca Gino Bianc.o
-9d'innocenle, hanno avuto cosi vastà e immediata risonanza nel cuore di lutti gli uomini che parlecipa,io alla moderna convivenza civile come la voce silenziala e il grido spento di Giacomo Matteotti. Giammai, nella storia dei popoli, delitto di potenti sollevò una pietà e una protesta così universali e spontanee e pronte; giammai nella millenaria e torbida e gloriosa storia d'Italia, o d'alcun altro popolo, il sacrificio. d'un uomo ha scosso così profondamente -l'animo d'un popolo, da· rinnovarlo, da purificarlo, da esaltarlo, da riscattarlo di anni di viltà, di paura, di acquiscenza verso altri delitti non meno esecrandi. Il volto d'Italia s'è, dopo il delitto, trasfiguralo. ·Dove il terrore o il cinismo dominarono prima, è oggi la collera e la pietà, è soprattutto il senso augusto della vita che si ridesta, è la- volontà, dura ferrea, di restaurare il cullo della Lil)ertà e della Giustizia, che splende di fulgidissima .luce. E coloro che si lordarono le mani del misfatto alro- -cissimo, i mandanti potentissimi -e· ancora occulti- _: oc~ culli alla torpida giustizia legale, ma noli e_rivelali a;11a veggente anima popolare -'- già tremano in ognj loro vena, sentendo che nessuna forza di baionetta ~ di' n:Ì~-~- ganelli potrà mai più arginare la montante marea· che rugge entro e fuori i confini d'Italia e solo la ~iustizia restaurala potrà placare. Essi ·ora ci contendono il cadavere del Martire. L'hanno trafugalo, l'hanno nascosto. Dove f Sotterralo B1ri,ioteca Gino B :mco
- 10 - in quella paurosa Macchia Grossa f Brucialo in una carbonaia! Fallo a pezzi e gettalo nel fondo melmoso del lago di Vico! Dove f Lo sapremo mai, forse! E' possibile che la giustizia, che tiene già in suo pugno· tutti gli esecutori male1iali del Misfatto e due dei mandanti e non riesce a sapere dove, dove hanno nascosto o distrutto il corpo inanimato dell'Ucciso f Perchè si contende al popolo d'Italia il diritto di tributare· l'omaggio estremo a Colui che s'immolò per salvarla! Perchè si contende alla· vecchia Madre quasi ottuagenaria, alla giovine Consorte, alle sorelle ai figli il tragico conforto di comporre le spoglie mortali del loro Amatissimo nel sepolcro~ li corpo di Cristo crocifisso non .venne negalo a Maria, alla Maddalena, ai discepoli. Perchè si nega alla pietà dei pareuli, all'amore e alla gratitudine degli italiani questo cadavere d'assassinato f Ah! noi lo sappiamo. I potentissimi che han sfidato l'ira e il dolore dei vivi hanno paura di questo Morto. Questo ca!lavere grande come una montagna è l'ostacolo insuperabile contro cui inciampa e s'abbatte .la tiraunia. Questo pietoso e oltraggiato e seviziato « corpo del delitto~. questa prova «viva» nella sua fnanilà-cadaverica della ferocia dei.sicari, dtll'orribile cinismo dei mandanti incute paura più di centomila vivi armali. .· E ancpe qui l'illusione folle dei tristi. Il cadavere assente divieue onnipresente; il cadavere ignoto si copre dei colori del mistero e della leggenda. E lutti.lo vedono, e ciascuno, nel)a _sua pietà e nel !>UO dolore, se ne fa Biblioteca Gino Bianco
- 11 - una sua immagine ·angosciante, fluttuante negli spazi della fantasia, insopprimibile, inobliabile. Tutti vedono questo ·cadavere insepolto. Esso è là; gigante portentoso, disteso lungo lutto il suolo d'Italia, le pupille _sbarrate ad accusare, eppur rnrridente nel suo martirio. Esso è là: e par che incili gli uomini giusti, gli uomini fieri, gli uomini onesti, gli uomini umani, n~n a vendicarlo, ma ad alzarsi in piedi, a pugnare santamente perchè il suo sacrificio non sia stato vano, perchè egli possa essere l'ultima vittima tragica d'una tenebrosa potenza di male, che nata e cresciuta nel sangue non può mantenere il suo dominio che n~lrendosi di sangue. Ho detto l'ultima vittima f Ho detto male. Giacomo Matteotti non fu una vittima. 'l'ale può dirsi colui che soggiace ad una forza superiore eh' egli ignorava e contro cui non aveva possibilità di difesa. Chi camminando per la strada à incenerito dal fulmine o tornando di notte a casa s'imbatte ad un angolo buio e deserto con un bandito che gli toglie la borsa o la vita o entrambe, quegli è una vittima. Giacomo Matteotti è l'eroe e il martire. Egli offrì sè stesso in olocausto, consapevole del sacrificio. Egli sapeva che sul suo diritto cammino la morte e il tradimento stavano in perenne aggnato. Solo che avesse ·un po' deviato da quel cammino e la salvezza era certa. Questo egli sapeva. Mille avvertimenti ne aven ricevuto dal nemico. Ma egli anzicbè deviare proseguì sul suo cammino, nè volle mai indietreggiare o Bib ioteca Gino Bianco
-12arrestarsi, ma voll.e percorrerlo sino in fondo, pur sapendo che il pericolo sempre incombente si faceva più minaccioso, più terribile, più certo man mano eh' egli incedeva e s'addentrava. Non e' era in lui alcuna spavalderia, o civetteria del coraggio. Compiva semplicemente quello eh' egli credeva suo dovere. Ubbidiva serenamente all'imperativo categorico della sua alta coscienza. Assolveva al bisogno insopprimibile della sua a11ima eroica d'essere il primo laddove il pericolo era maggiore, di non rifiutare anche il suo sangue per far trionfare una Causa per cui altri ~ran periti prima di lui, di sfuggire anche al solo sospello di parer vile, d'essere - egli elelto di popolo - il primo a dar l'esempio della fermezza, del disinteresse e del coraggio, per riscattare il pegno di fiducia che le moltitudini avcan posto in lui, di costringere, infine, il nemico fosco e crudele a disvelarsi in tutta la sua mostruosa laidezza, perchè nessuno potesse più illudersi sulla sua vera natura, p·erchè tulli conoscendone !a repug11anle oscenità si ritraessero con ribrezzo dal suo contallo e lo respingessero come la cosa immonda, e gli togliessero il vigore e la capacità di mal fare, isolandolo nel consorzio civile. Egli aveva coscienza piena di tulla l'entità del pericolo che incombeva su lui. Conosceva e la potenza e la crudeltà e l'assenza di ogni sentimento di cavalleria dei suoi nemici. Conosceva di quanta somma terribile di odio lo onorassero. Bibl1c terd G o Biarco
-13Già nel 1921, all'inizio dello scatenarsi della violenza fascista, egli era stato, nel suo Polesine, rapito da una banda di camicie nere, trasportato su un aulo-carro, condotto· in un bosco lontano, lorluralo e oltraggiato e •poi abbandonato nella campagna deserta, in una nolle invefnale, dopo avere vislo i pugnali e le rivoltelle puntale sul suo pello a minaccia e a dileggio. E aveva sentilo mille volle, in pieno Parlamento e su per i giornali fascisti, risuonare le minacce più torve. Vincendo un senso di ripugnanza vivissima e chiedendovi perdono voglio leggervi la ribullanle prosa che, in data 3 maggio 1923, il Popolo d'Italia, il giornale personale. di Benito Mussolini, dirello dal fratello Arnaldo da quando quegli salì ai fastigi del potere, stampava: « Ma se le pecore rognose la oui malvagia opera quotidiana contro il fascismo abbiamo avuto più volte occasione di rirelare, vanno veramente in cerca di dispiaceri, non è escluso ohe possano veramente averne di molto gravi. Quanto cil Matteotti, volgare mistificatore, notevolissimo vigliacco e spregevolissimo ruffiano, sarà bene che egli si guardi; 'chè · se dovesse capitarg/-i di trovars~ un giorno o i'altro con la testa rotta (ma proprio rolla) non sarà· certo in diri'to di dolersi dopo tanta ignobilità scritta e descritta. » L'odio era antico. La condanna a morle da lungo lempo meditata. E un altro giornale fascista; la Grande Italia di Milano, dirella da quell'Albino Volpi, che fu uno degli· B1blotecci G.no Bianco
- 14 - assasssini materiali di Malleolli, in data 8 giugno 1924-, poteva scrivere: « Matteotti. Resta l'ignominia di Matteotti come un segno che non si cancella della profonda perversità del costume politico; ma non rimane nessuna delle grida e delle pettegole vociferazioni che egli scagliò. Le sorti del Parlamento sono sulle ginocchia di Giove, o per meglio d-ire di Benito Mussolini. Intu nto siamo sicuri che tutti i deputati, e con essi il popolo italiano, hanno c:,mpreso potentemente quello che significa questo groviglio di escre0 menti e di secrezioni che assomma nella designazione di estremismo rosso, e quali possano essere i riposti e i palesi scopi di una tale « masnada •. Matteott-i è una molecola di questa masnada, che presto t'ultima ,ventata di buon senso e una mossa energica del Duce penseranno a spazzare». Rinettete su queste date: l'ultimo discorso di Giacomo Matteotti alla Camera dei Deputati, quello che denunziò e documentò l'illegalità delle nefande elezioni del 6 aprile, è del 30 maggio 19?M,.L'articolo,condanna-a-morte è dell'S giuguo, (la Grande Italia è un settimanale) l'esecuzione della sentenza per mano dell'autore dell'articolo è del 10 giugnol E si parla di delitto comune! Giacomo Malteolli sapeva di quelle minaccie. Ne valutava tutta la gravità. Già durante quel suo memo• rahile discorso del 30 maggio, nudo d'ogni decorazione rettorica, scheletrico e inelegante, spoglio d'ogni aggetBiblioteca Ginò Bianco
-15tivo qualificativo, muscoloso e· nudrito di falli, forte e pungente della forza penetrante della verità, sicchè a leggerlo sorge nella merite l'immagine d'uno di q·uei quarzi cristallini che si trovano sui ghiacciai, tutto spigoli e punte, duro e scintillant11 - durante quel suo memorabile discorso, interrotto dagli urli bestiali della maggioranza, da insulli e da minaccie, ad ogni frase, ad ogni parola quasi, egli dovette avere la sensazione del pericolo imminente, poichè volto ai suoi compagni vicini, senza pose tragiche e melodrammatiche, ma sorridente di quel suo sorriso la cui luce non dimenticheremo mai, ebbe a dire: ~ Potete prepararmi la cot11memora11ione I> Eppure, non si ritrasse dal!a lolla. Non attenuò il suo ardore di combattente. Non raccolse i consigli di prudenza che gli venivano da molte parti. E poicbè doveva -discutersi l'esercizio provvisorio chiesto dal Governo, egli si iscrisse a parlare e tutti sapevano che la sua critica non si sarebbe limitata a una discussione puramente tecnica del bilancio fascista, ma avrebbe affrontato in pieno il problema morale della corruzione, dei favoritismi inauditi, del saccheggio della ricchezza pubblica che si nascondevano sotto il greve e sontuoso paludamento della dittatura. E .allora · il misfatto senza nome venne deciso e compiuto. E la voce che aveva squillato molesta e accusatrice contro la frode e !a violenza ammantati di patriottismo, che s'accingeva a nuove documentate denun- . zie, fu spenta. B1bl1otecaG no Bianco
-16Ed ora noi siamo qui riuniti a rievocarne la breve vita· e pur tanto feconda di bene .. , Vi parlerò ~i lui, della s,ua prima giovinezza, della sua -pensosa e laboriosa virilità, non come· d'un morto, ma con l'accorata- tenerezza -con cui si rico·rda un caro assente che tutti bramiamo rivedere ancora. Egli· nacque il 22· maggio 1885 a F'ratta, in quella provincia di, Rovigo che fu poi per quasi un ventennio l'oggello del• suo ·amore e della sua azione di combattente, Aveva, dunque, 39 anni, e per quanto la sua saggezza e la sua coltura potessero attribuirgliene di più, la sua agile esile persona, la limpidezza ·di quei suoi chiari occhi d'adolescente, il sorriso che spesso ne illuminava e addolci'va i tratti severi volìtivi del vollo, quella semplicità e naluraJezza di modi, sia ch'egli trattasse con u'n umile bracciante e con un'alta personalilà della vita sociale, quel fervore inestinguibile che emanava da tutto il suo essere, quella vitalità intensa esplicantesi in cento modi e che gli facevano compiere con uguale entusiasmo il più duro e il più umile come il più digni- · toso dei lavori, gli davano l'aspetto quasi d'uno studente. Giovane certamente egli ancora era, ma· appariva giovanissimo a chi ebbe la ventura d'avvicinarlo. La provincia di Rovigo posta presso le foci def Po, chiusa tra il 'Ferrarese,- e il· Padovano, in un angolo· morto·· che preme contro •J•Adriatico, è una terrà eini- · nentemente agric'ola: Una piccola minoranza di grossi proprietari terrieri, una sterminata maggioranza di laBiblioteca Gino Bianco
-17voratori agricoli: braccianti, mezzadri, obbligati, ne formano i due nuclei sociali più importanti. Quando Giacomo Matteotti s'affacciò alla vita, alla vita consapevole e riflessa, la sua terra, il suo· Polesine; era in preda ad aspre lolle economiche tra il proletariato agricolo e i suoi padroni. Eran da poco sorte le prime leghe, i primi sindacati, qualche cooperativa. Quei lavoratori che erano tra i peggio pagati, i peggio trattali della valle padana, miti d'indole, malnutriti, in gran parte analfabeti, devastali dalla pellagra, compivano i primi sforzi eroici per uscire dallo stato di miseria e di servilù in cui si dibattevano e assurgere verso possibilità di vita più degna, meno buià, meno triste. Éssi lottavano per avere più pane e più libertà, che è quanto dire più dignità. Il giovane Matteotti, appartenente a una ,famiglia ricca, proprietaria di molla terra, se avesse ubbidito al suo istinto di classe avrebbe parteggiato per i proprietari contro i nullatenenti, per i padroni contro i servi, per i ricchi contro i poveri. Ma egli era uomo, prima che proprietario. Il suo cuore generoso, il suo istinto di giustizia, lo spinsero senza esilaoza al !alo dei deboli e degli sfruttati contro i forti e i parassiti. Contro cioè il suo personale interesse. In ciò egli aveva avuto aperta la strada dai suoi due maggiori fratelli, socialisti entrambi, morti in giovineza. Ma egli era appena adolescente e il dovere e la passione allo studio lo chiamarono all'Università. A B1b. otcrn Gino B 'ìc':1
- 18 - Bologna studiò diritto penale sollo Alessandro Stoppato il cui nome volle legare ·più tardi al suo primo libro, frullo di pazienti ricerçhe e di acute meditazioni: LA RECIDIVA. Saggio di revisione critioa con dati stritistici. In questo volume s'affermano le due qualità fondamentali della sua intellettualità: ingegno pronto, versatile, sottile: laboriosità indefessa e gusto per le cifre, per i falli precisi e positivi. Una duplice dedica apposta a quel grosso volume gettano uno sprazzo di bella luce sulla delicatezza e la sentimentalità del .suo cuore: "Alla memoria di Matteo, fratello mio e amico, che · con occhio affettuoso protesse il crescere di queste pagine e non potè vederne il compimento. ,. • Cof! animo grato al prof. Alessandro Stoppato, che mi fu sempre e benet•olmente prodigo di incoraggiamento e consigli. ~ Il fratello morlo e il maestro vivo sono congiunti in un n·odo di tenerezza che s'esprine in una pudica sobrietà. Quel libro avrebbe dovuto servirgli per la liliera docenza universitaria. Lo studio del dir-itto penale l'innamorava e la carriera universitaria lo seduceva. Fece, dopo la pubblicazione_ di quel volume, un viag- · gio di studio nell'Europa del Nord. Fu in Isvizzera, in Francia, in Germania, in Inghilterra. Ciò che più. !'al-. trasse fn l'osservazione delle condizioni di vita della classe operaia e dei contadini. Non gli fu difficile notare quanto queste condizioni - economiche e igieniche, 1 B bliotec Gino Bianco
- 19 - culturali e alimentari -- fossero di gran lunga superiori a quelle dei suoi poveri contadini del Polesine. Questo contrasto dove1 .le colpire profondamente il suo animo. Egli dovelte porsi il quesito: se doveva darsi ai suoi studi prediletti e avviarsi verso l'accademia o se rimanere accanto a quei parfa e sorreggerli e guidarli nell'impari lolla contro_un nemico di tanto più forte e agguerrilo. Porsi il quesito fu per lui risorverlo. E si gettò a corpo perduto nel movimento socialista. L'azione lo affascina. Egli è un cerebrale con un temperamento di romantico. Cuore e cervello, pensiero e azione si fondono, s'integrano, si stimolano vicendevolmente in questo mirabile campioue d'uomo e di socialista. E voi lo vedete propagandista umile percorrere i paesetti e i villaggi della sua terra; il collaboratore di riviste scientifice diviene il redattore del piccolo settimanale socialista di Rovigo, ~ LA LOTTA~; e fonda biblioteche e cooperative; e guida scioperi e amministra comuni; è il consigliere prudente, lo stimolatore ardilo, l'anima, la guida. A 26 anni viene eletto consigliere provinciale, poi sindaco del suo paese, e fu _per breve tempo anche presidente della deputazioee provinciale. L'ideà socialista si diffonde rapidamente in quella terra malinconica e dolce su cui già, un ventennio avanti, un modesto medico-condotto con' anima d'apostolo e cervello di scienziato, Nicola -Badaloni, aveva gettato la prima buona semente. B,1iioteca Gino B·1nco
- 20 - Giacomo Matteolli comprende subilo l'imporlanrn della conquista dei comuni ai fini dell'emancipazione della classe lavora~rice. Ma conquistare non basta, Occorre sapere amministrarli con sapienza tecnica e larghezza di vedute. E però, come prima s'era dato agli studi economici, ora già s'addentrava nei labirinti del diritto amministrativo e ne diviene, ancor tanto giovine, uno dei conoscitori più profondi. Ancora uno sforzo, ancora un sacrificio, per forgiarsi uno slroment.o ch'egli pone a servizio del proletariato. Questo giovine signore, ricco e sano e intelligente e collo, che avrebbe potuto libare alla coppa gioiosa della vita, che avrebbe potuto cogliere ogni frullo che l'albero ferace della monùanilà snole offrire a tanti meno degni di lui, rinuncia ai facili piaceri della giovinezza e della ricchezza, alle gloriole e agli amori, e vive una vita di semplicità austera, di lavoro sfibrante, di responsabilità spesso gravi, in un bisogno perenne di dedizione, di_prodigarsi perchè i suoi più infelici fratelli in umanità possano avere qualche sorriso e qualche gioia dalla vita. Ah I quei meschini avversari, non so se più stupidi o cattivi, che su-per le loro gazzelle e dentro l'aula parlamentare lo perseguitavano col ~rido idiotamenle ironico: « Socialista milionario I» E non capivano gli sciocchi che in quelle .due parole era la più alta lode. Ma essi volevano sottintendere : « Sociàlistà per diporto, soBibl oteca Gino Bianco
-21cialisla da salotto. ~ Ed ora ecco; o signori, che it cadavere di questo socialista milionario, alla serietà e profondità della cui fede i miserabili senza coscienza irridevano, fa ammutolire la canea sciocca e vile. E viene la guerra! -Il ciclone spaventoso s'abbatte sull'Europa, su! mondo. Come quasi tutti ,i socialisti italiani, egli è contro l'inlervento dell'llalia in guerra. Ma quando avviene l'irreparabile, risponde all'appello delle armi e si presenta coflle semplice soldato, non chiedendo galloni d'ufficialP.. Ma le alte sfere militari diffidano di questo giovane antimilitarista, è, anzicliè mandarlo al fronte, l'internano a. Messina, dove trascorre tre anni. La guerra finisce. Egli è smobilitalo. L'Italia, come tutta l'Europa, sono percorsi da correnti di follia. Una eccitazione nevrastenica,. un ribollire scomposto di sper~nze e di passioni, un sussullar e un cozzare violento di classi e di partili. Giacomo Matteotti riprende il suo posto di combattimento. Ma egli non si fa distrarre dalle manifestazioni di folle, I suoi nervi saldi resistono alla tentazione formidabile. Il mito russo non lo affascina. La sua mente positiva si raccoglie a ponderare i vasti e complicali problemi del dopo-guerra, e il frullo dell"a sua cogitazione· raccoglie in una serie di forti ·articoli, organici e coordinali, che Filippo Turali, il maestro, gli pubblica sulla Critica Sociale. E' il disegno d'una vàsla riforma finanziaria ch'egli abbozza, e offre una soluzione per liquidare · i debiti di guerra. tassando fortemente il capitale, rapidamente accumulato durante la guerra spoBib oteca Gino Bianco
- 22 - gliando lo Stato e la Nazione e arricchendo una piccola minoranza di profittatori. Ma il Partito è invasalo della visione apocalittica della rivoluzione imminente e le voci come le sue, richiamanti alla considerazione della realtà, non sono ascoltale. Nelle libere elezioni. generali ùel 16 novembre 1919 viene eletto deputalo. In quelle violentale e insanguinale del maggio 1921 è rieletto ancora dalla sua terra fedele. E nella tragica beffa elettorale del 5 aprile 1924 vie11e eletto in due collegi: a Roma e 11elVeneto. Sin dal primo giorno quasi, il giovane deputalo si afferma come uno dei più quotali valori parlamentari. Il bilancio dello Stato diviene l'oggetto dei suoi nuovi amori intelletluali. Egli lo scruta, lo indaga, l'analizza, lo fruga con la voluttà d'un esploratore che s'addentri in una foresta vergine. Cifre, cifre, cifre. Grovigli di cifre. Pensate: il bilancio d'un grande Stato nel dopoguerra, quando nessuno sa ciò cbe si può incassare e ciò che si deve pagare, quando i debiti fluttuano come onde oceaniche, e il valore della moneta di Stato sale è scende con scossoni e trabalzi da montagna russa. Ma egli pare che sia nel suo elemento. E i suoi diHcorsi di politica finanziaria, e la sua relazione sul bilancio delle entrale, sono documenti vivi della versatilità del suo ingegno . . Ma anche questo nuovo sforzo inlellellu3Je egli non lo compie per soddisfare una sua vanità o per raggiunBiblioteca Gino Bianco
-23gere un suo sogno ambizioso. No. Anche qui, egli obbedisce alla vocè del dovere. Anche qui egli offre se stesso alla Causa. Il proletariato non può demolire e non può costruire se non sa. La conoscenza dei problemi finanziari è la più necessaria tra tulle. Ed egli fa di questa conoscenza l'arma critica che demolisce, il buon arnese cbe servirà a costruire. Ma ciò che gli costò la vita, ciò che lo consegna all'immortalità è la sua condolla nei rapporti del fascismo. Egli ne è l'antitesi incarnala in un uomo. Generoso, altruista, riflessivo, uudrito di studi, armato di. logica, gentile d'animo, non può che avversare, d'istinto, prima ancora che per ragione partigiana, un movimento caotico e violento, rozzo impasto di fanatismo e di cupidigia, di ignoranza e di crudeltà, d'orgoglio infantile e di pre potenza brigantesca. Il fascismo non è per lui soltanto e primieramente l';rnlisocialismo, ma soprattutto l'anticiviltà, l'anliumanità. Combatterlo senza requie, con le armi della ragione e del sereno coraggio civico che va fino al sacrificio estremo di sè, è per lui un dovere e un bisogno. Quando la violenza fascista, che a Bologna ha fatto le prime sanguinose prove, si propaga nel vicino ferrarese, e aiutala dai ppleri pubblici s'abbatte sulle organizzazioni proletarie, egli, da Rovigo, si reca subito a Ferrara (dove è stato arrestalo il segretario della Camera del I;avoro Gaetano Zirardini, sollo imputazioni orribili B blio•eca Gino Bianco
- 24 - e assurde) e nel. vecchiÒ palazzò della Camera del La~ varo s'istalla e vi rimane per delle settimane ad incitare alla resistenza morale, .a raccogliere le forze sparse e fuggenli, a rincuorare i pavidi, a spronare i coraggiosi, E non abbandona quella posizione rischiosa, volontariamente scelta, che quando tutto è crollato e nessuna speranza rimane per il presente di salvare alcuna cosa. Ma la reazione del littorio dilaga. La sua stessa provincia· è invasa e sottoposta alla prova più dura. Egli stesso è bandito d&lla sua terra. E' ricercato per essere ucciso. Ma non cede. Si nasconde, ma non fugge. Corre di villaggio in villaggio, di notte, talvolta travestito da prete, ad animare, a rincuorare i co.mbattenti superstiti. I delitti più atrnci si sucèedono impuniti. I lavoratori socia,lisli più noti vengono di notte strappati alle case, q\l~lonati a sangue, o uccisi, o gettati nel 'Po. · Alfine, •M~tte9tti deve cedere. C'è una vecchia Madre eh~ piange; '!~-~/_giov.ai;iesposa adorala che implora, i tr~ figliuolètti lener~lli., Ed, egli abbandona la sua terra, esule angosciato, ma non la bat_taglia. A1Ìzi la trasporta in una arena più ampia, e in Parlamento e sulla stampa denuncia i misfatti de~ tascjsmo,_ con implacata tenacia, con aperto coraggio. . . · Nei primi di ottobre del 1!)22 si tiene a Roma il C!)ngresso del Parlito Socialista Italiano. Esso ha un epilogo doloroso: la scissione tra i massimalisti e i socialisti di destra che fan capo a -Turati. Matteotti è con quest'ultimo. La destra, espulsa dal vecchio Partito, si B '3 1oteca Gino B anoo
- 25 - organizza subilo in un nuovo partilo, clie prende il nome di socialista unitario. Ma due seltimaue dopo avviene « la marcia su Roma,. li fascismo è al potere. Mussolini è dittatore d'Italia. La corrispondenza postale non è più segreta. Scrivere lettere ai compagni 3parsi per l'!talia equivale esporli alla spietata vendetta fascista. Non abbiamo stampa. La Giustizia, il nostro quotidiano, è appena tollerato. Si legge in qualche cillà; in provincia ne è vietala la vendila e la diffusione. I deputa ti non possono viaggiare senza es1)orsi a gravi rischi e compromettere coloro che avvicinano. Non è possibile mandare degli agenti sconosciuti perchè la cassa è vuota. Le riunioni, anche privale, sono vietale. Quelle clandestine espongono alle bastonale, all'olio di ricino alla galera i suoi partecipanti. In queste condizioni Giacomo Matteotti assume la segreteria generale del Partilo Socialista Unitario. Le difficoltà ·che ad altri sembrano insormontabili per lui non sono che un eccitamento· "irile a compiere il massimo sforzo'. E si getta coO' ardore di neofita; 'con enlusias·mb di apcislcilo, con coraggio di milite volontario ·nell'ardua impresa. Percorre l'Italia, dal Veneto alla Sicilia, dal Piemonte alla Calabria, da M.ilalio a Napoli. S'abbocca con i compagni più fidali, cerca sopraluttò ·il contatto dei giovani, diffonde e' creai con 'l'eloquenza' dell'esempio, la speranza e fa volontà della riscossa. Poco a poco la trama prima rada e sottile, poi sempre più fitta: e B,blio.eca Giro B1anvo
-26robusta della nuova organizzazione politica è costituita. li fascismo, nel suo bieco istinto di conservazione, avverte che una grande forza morale sorge nel Paese a minarlo alla base. Comprende che in questo socialismo non verboso nè guascone, ma risoluto e tenace, equilibrato e pacato è il suo nemico naturale, il suo nemico per definizione. E non tralascia occasione, nella parola solenne del Duce e in qùella méno accorta dei capeg•· giatori di provincia, di ~ettere in prima fila, tra i suoi nemici da stroncare le • pecore rognose» del Socialismo unitario. Giacomo Matteotti è felice di questa distinzione. Essere odiati dal fascismo è per lui il massimo onore che possa toccare ad un uomo d'onore. E prosegue sulla sua strada d11.llaquale nessuna minaccia per fosca e grave che sia lo distoglierà mai più. La sua attività di segretario politico del suo Partito è davvero prodigiosa. Nessuna fatica si risparmia. Da mane a sera è nel suo ufficio a temprare armi contro il Mostro. Scrive articoli, prepara discorsi, manda circolari, quando non prende il treno per portarle di persona. Durante le elezioni del 6 aprile non era lecito a nessun partito di opposizione, noncbè tenere un comizio, appiccicare il più scialbo manifesto ai muri d'una città italiana. Le piazze, le vie, i muri erano riservati alle camicie nere. E un giorno si vide Giacomo Matteotti, Bib 1oteca Gino B.ianco
- 27 - sul cuore di Roma, in Piazza Colonna, sollo le finestre del Palazzo Ghigi, ove ha residenza Mussolini, insieme a due giovani socialisti, munito d'un secchiello di colla e d'una scala e d'un fascio di manifesti elettorali, mettersi a fare l'attacchino. Naturalme11te, i fascisti accorsi strapparono subito i manifesti appena attaccati, ed egli ad atlacarne degli altri,, è quelli a strapparli ancora, finchè stufi dell'operazione portarono via colla e mani- .fosti che il deputato socialista difendè come polè. Molla gente s'era radunata a commentare, sottovoce, il fallo. I giornali ne parlarono. Matteotti sorrideva soddisfallo. l,o scopo era raggiunto: dare un'allra prova tangibile della violenza fascista e dell'atmosfera d'illegalità in cui le elezioni s'erano svolte. Egli credeva che il fascismo sarebbe crollato sotto il peso dei suoi crimini e della sua cancrenosa corruzione. E' il destino delle dittature. Ma per affrettare l'evento, pensava, occorrevano uomini coraggiosi ed attivi, che ne denunziassero le azioni abbiette, che convogliassero ed organizzassero il malcontento tacito a rischio anche della vita. Credeva nella virtù fecondatrice del sacrifizio. Si ribellava alla fatalilà, il comodo rifugio dei poltroni. Credeva nella potenza della volontà, come nella potenza della verità e del bene. Ma queste tre forze della natura gli sembravano destinale alla sterilità se separate tra di loro. Occorreva fonderle e legarle. Occorreva mettere la volontà umana a servizio della verità e del bene; e al• Biblioteca Gino B,anco
- 28 - !ora nessuna potenza di maleficio, nessuna tracotanza di dittatura avrebbero potuto resistere a lungo. Occorreva sopratutto scuotere gli italiani dal torpore vile,' dallo scetticismo rassegnalo infondendo loro fede nella purezza dei nemici della diltalura, degli assertori e dei difensori della libertà. Diceva a Raffaele Rossetti, un v:1loroso, sua degna anima fraterna: « Gli italiani sono stati troppo volte ingannati dai capi nei quali essi avevano posta la propria fiducia; oni essi sono disposti a credere soltanto a chi mostra loro il proprio sangue ». C'è in queste parole un senso profetico che accora. Questa della necessità del sacrificio era una sua preoccupazione dominante. Come nell'aprile scorso, parlando al Congresso dei socialisti del Belgio fieramente diceva: - « Noi non chiediamo nulla ai compagni esteri. La nostra libnlà dobbiamo conquistarcela da noi. Chi non sa !ollare per la libertà non ne è degno.» - Cosl, in uno degli ullimi suoi scrilli, • L'ora dei giovani• dedicalo alla gioventù socialista, ribadiva tale concetto. Di quell'articolo voglio leggervi un brano in cui è riassunto il suo credo politico e il suo credo morale. ·«Si,' noi dobbiamo riconoscere e ripetere: alle mao• gioranze liberamente espresse, il dirilto di governare, di dettare leggi e di difendersi dalle minoranze faziose che tentassero sopraffarle. Stolta è la lusinga di redimere il B1b11otecaGino Bnnco
- 29 - proletariato con la conquista violenta e con la dittatura dei pochi ohe presumono averne la investitura. « Ma, appunto in correlazione a tale riconoscimento, ohe per noi è fondamento di vita civile, un'altra cosa oggi importa : il diritt0 delle minoranze· alt' esistenza e alla propaganda civile. « Lo disconoscono i prepotenti armati di moschetto e digiuni di conoscenza e di civiltà, che oggi comandano. Non osano più di rivendicarlo gli oppressi, ohe temono per sè, per le loro famiglie, per la loro tranquillità. « Tocca ai giovani rivendicarlo, èon energia, con dignità, con fierezza, con sacrificio, con pericolo ! • Sacrificio inutile - diranno i prudenti - perohè i dominatori hanno tutti gli strumenti della forza, e gli oppressi sono inermi. Saorifìoio utile - diciamo noi - perchè tutte le gra'ndi cause della ci'1iltà hanno dovuto avere prima le loro vittime, i loro martiri, gli inutili eroi, che hanno aperto gli occhi e la strada agli altri. » . Ed egli volle essere uno di questi • inutili eroi. " Quello che diceva e scriveva usciva dalle fibbre del suo cuore. Non erano frasi le sue, non era rettorica, non era le1teratura. Egli viveva le sue idee. Alimentava il suo pensiero alle sorgenti schiette dell'azione. Quando incitava gli altri al sacrificio s'era. già disposto a darne l'esempio. No, il misfatto di Roma non fu opera del caso. Esso maturò fatalmente dall'incrocio di dlle circostanze necessarie: un regime di satrapi sanguinarì e ingordi, pronti Bib'ioteca Gino 3 '.'!neo
- 30a tutti i delitti per il godimento indisturbato dei vantaggi d'un potere incontrollàto - e un'anima eroica, assetata di purezza e di giustizia, odialrice implacabile d'ogni tirannia, nemica d'ogni bassezza, decisa a lutto rischiare, a tutto offrire perchè quel regime di vergogna cessasse. « Dove non c'é libertà non c'è onore,» - è un mollo nobilissimo ch'egli amava ripetere. - E tra le due forze avverse il cozzo era inevitabile. E poichè l'uomo era armalo solo di fede e di bontà, e gli altri di pugnali e . di rivoltelle, runo fu vinto nella sua fisisa concretezza ma vinse davanti all'Ideale e alla Storia. Egli vinse, soccombendo, per noi lutti superstiti. Vinse per tutti gli sfruttati, per tutti i calpestati, per tutti i torturati. Non sentite questa primavera spirituale che aulisce sotto il cielo d'Italia f Non vedete un popolo intero, ieri ancor prono, ridestarsi come d'improvviso, levarsi in piedi e tra singhiozzi di dolore e sorrisi di speranza _esaltare il Martire e maledire agli assassini f E' il suo sangue che feconda questa primavera. E' il suo martirio, come disse Roberto Bracco, che ha salvato l'Italia. . Ond'è, che mentre il nostro cuore spa~ima di angoscia ricordando l'Amico perduto, il Fratello trucidalo, una ùolce serenità ci pervade constatàndo la feracità, del suo sacrificio. Sembra che la sua morte abbia chiamato a raccolta tutti gli altri, morti oscuramente prima di lui, per la stessa causa, e li abbia disciplinati in legione terribile Bib ioteca Gfno Bianco
-31e innumere e li conduca in pellegrinaggio per le terre d'Italia, non a chiedere vendette barbariche, ma a reclamar giustizia e libertà. Ah! potesse il suo puro spirito vedere questo spettacolo augusto dell'Italia rinnovata nel suo nome I Ma egli, morendo, dovette certo averne la visione. Ricordate le ultime sue parole gettate sul ceffo degli assassini, e da un di costoro riferite: « Voi mi uccidete, ma non potete uccidere l'idea che è in me I I miei figli si glorieranno di me, i lavoratori benediranno il mio cadavere I Viva il Socialismo I • Si, noi tutti con i tuoi figli ci gloriamo di Te, spirito eroico, noi tutti benediciamo al tuo caèavere senza sepolcro. Il tuo nome è assurto nei cieli della gloria. Tutte le genti liberi o anelanti a libertà lo onoreranno nei secoli, come quello di Socrate, di Cristo, di Bruno I Evviva Giacomo Matteotti I Evviva la Libertà I Evviva il Socialismo I Bibl•oteca Gino Bid co
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'flPOGIUFJA LUGANESE - SA:-;VITO 8.; C. - LUGANO - 1924 Bibhotec2 Gino Bianco
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