Giacomo Matteotti contro il fascismo

piu ingenue manifestazioni, aggiungeva Turati, tutti mettendoli nello stesso sacco. Era un voler escludere unilateralmente la violenza dalla storia e quindi dalla vita, quando la società borghese è tutta una violenza, sottintesa o aperta, e quando agrari ed industriali facevano ricorso alla violenza nella sua forma piu barbara. ,C'era un idealismo dei riformisti che li portava a considerare la evoluzione in t'ermini sovente astratti e che faceva loro 'respingere, come uno spurio machiavellismo, il pensiero rigorosamente marxista, che le cose del mondo succedono come possono succedere e che la scelta dei mezzi non dipende soltanto dall'una delle partiJ, la piu civile. Nella scelta dei mezzi, Matteotti andò fino al sacrificio con la lucida coscienza di chi crede alla virtu e alla necessità dell'esempio. Fu suo onore,. come del suo maestro Turati, porsi contro il fascismo con uno spirito di negazione totale e di intransigenza assoluta, il quale però nasceva da una disperazione, inconciliabile col compito di organiazare l'azione delle masse. Si leg,ge in una lettera di Turati a Baldesi: « Noi non abbiamo nulla da salvare, nulla da guadagnare e nulla piu da temere. L'oggi ed il domani immediato non ci possono dar nulla; non possiamo contare che sul posdomani. E per riservarci la vita nel posdomani dobbiamo distinguerci dalla codardi<J:minuscola. Il cosf, detto onore non è altro che questo: la preoccupazione di un domani piu lontano ».1 Matteotti ebbe, ad un grado ancora piu alto di Turati, il fastidio, anzi il disdegno· della « codardia minuscola». Trovatosi, dopo la scissione dell'ottobre 1922, alla testa di un partito senza piu comunicazione con lo spilrito delle masse, e1gli soffri della tattica imperante e del I(< fare il morto ».2 1 Filippo Turati attraverso le lettere di corrispondenti (1880-1925), a cura di .Alessandro Schiavi. Bari, Laterza, 1947, ,p. 249. 2 Ibidem, p. 268. VII iblioteca Gino Bianco

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