Carlo Gide - Della abolizione del profitto

22 E' in vista del profitto che l'uomo semina e lavora i campi; che miete ·e vendemmia, che re111de incandecente il ferro e che solca i mari. Ma com.e? non si potrebbe concepire un regime economico nel quale 1.utto fosse fatto in vista del consumo e non più in vista della vendita? nel quale l'uomo producesse il pane e il vino non più per trarne profitto, ma per mangiare l'uno e per bere l'altro? Il bisogno non p·uò diventare dunque il movente sufficiente dell'attività eco111omica e non sarebbe egli una guida p-iù sicura? Se il soìo bisogno governasse le impres,e non si vedrebbero abolite tutte queste false manovre che non possono spiegarsi che come la c-onseguenza del nessun conto in cui sono tenuti i veri bisogni, sacrificati al vano desiderio ciel guadagno•, quali le falsificazioni dei prodotti, la sovraproduzione e sopratutto il fatto che quelli che hanno più urgenti bisogni sono quelli peggio serviti? Del resto è per qnesta via che hanno irucominciato tutte le industrie umane: è evidente che l'uomo non ha cominciato a produrre che per il su-o consumo: egli non ha seminato, arato e mietuto che per soddisfar.e la sua fame. L'idea di fare tutto ciò per vendere il graoo e ritirare una maggiore quantità di denaro -di quello speso è venuta più tardi, e può benissimo sparire come è venuta. L'avvenire, una volta di più, tornerà al passato. E questo nuovo regime non ha nulla di utopistico. E' già realizzato per quanto in piccole proporzi.oni. E' un fatto che vi sono, in Inghilt,erra, centinaia di fabbriche appartenenti a società cooperative, che producono il pane, le scarpe, le confetture, gli abiti, non in vista del profitto ma unicamente in vista ,dei consumatori che li acquistano al prezzo di costo. E non pare che la loro pr0rduzione sia infer-iore in quantità, nè, sopratutto, in qua.Jità, a quella delle impr,ese aventi uno scopo lucrativo.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==