Ma quale chimerica ipotesi, si dirà, è mai quella di abolire il -desiderio del profitto in un avvenire qualsiasi! 1:. orse che gli uomini stanno per diventare santi? Niente affatto, ma se la possibi,lità del profitto venisse a scomparire è •chiaro che sparirebbe nel medesimo tempo il desiderio insieme al suo scopo. Ora, l'eliminazione del profitto, quale fenomeno economico, entra nelle previsioni cli I utti quelli che si occupano di economia politica, non solamente degli economisti classici ma anche dei socialisti e infine dei cooperatisti, vale a dire quasi di t11tte le scuole; si può anzi dire che è questo il solo punto sul quale esse si trovano tutte d'accordo. Per quanto paradossale possa sembrare questa affermazione, essa è facile da dimostrare. Anzi tutto è inutile d'insistere sulla tesi <lella scuola socialista. Da Roberto Owen in poi essa denuncia il profitto come il cancro che rode il corpo sociale e vuole estirparlo co·l ferro e col fuoco. 1a parliamo della scuola liberale. Questa crede ai benefici della concorreuza e al suo sviluppo indefinito fino al giorno in cui ella sarà perf etlamente realizzata. In quel giorno, dicono gli economisti liberali, per esempio il Molinari, tutti i difetti che le si attribuiscono, e che non sono dovuti, al contra11io, che ad un imperfetto funzionamento del suo meccanismo, spariranno. E sia; ma quale è il primo e più sicuro effetto della concorrenza? E' quello di sopprimere il profitto. Ben s'intende che la concorrenza non ha affatto per effetto di sopprimere la giusta rimunerazione <lei lavoro, nè l'interesse e l'ammortamento del capitale, nè il compenso del rischio che si chiama assirnrazione, poichè tutto ciò come abbiamo detto, costituisce le spese indispensabili alla produzione. Ma l'effetto della concorrenza è precisamente di ridurre il prezzo di tutte le
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