una condanna che non fu grave, ma che egli aveva coscientemente affrontata. Così preparato, così· avviato, le elezioni del 1919 gli procurarono il mandato legislativo che ne mise subito in valore la cultura e l'intelligenza di economista combattivo, ascoltato, rispettato, senza che il suo rapido salire nell'agone parlamentare ne intiepidisse nè la concreta solidarietà con l'opera costruttiva delle organizzazioni contadine del suo Polesine, nè la sua combattività di socialista repugnante ad ogni patteggiamento ... su qualsiasi fronte. Cosicchè, nelle elezioni del 1921, egli sarà vittima di una prima sconcissima aggressione del fascismo già in sul crescere, e più tardi, nel settembre 1922, quando i socialisti della sua tempra, della sua fede e delle sue idee saranno scomunicati dagli infatuati attratti dal nuovo verbo estremista, i socialisti rimasti fedeli alla tradizione faranno di lui il segretario -suscitatore, indefesso, costruttivo - del Partito Socialista · Unitario Italiano. Onde l'ascesa verso il successo dell'opera sua e verso il martirio che lo consacrerà alla storia. L'assassinio IL 10 giugno 1924, a Roma, verso le 16, Matteotti usciva dalla casa dove abitava in via Pisanelli, per recarsi al "lavoro": al suo lavoro di segretario del Partito Socialista Unitario e di deputato; e svoltando sul Lungo Tevere Arnaldo da Brescia si avviava per la strada ch'egli faceva tutti i giorni come ben lo sapevano coloro che lo aspettavano in agguato. Erano cinque con un automobile. Di questi, uno, lo affronta mettendogli le mani addosso. Matteotti resiste e lo getta a terra. Gli altri accorrono e lo stordiscono di colpi: lo cacciano a forza nell'automobile che stacca la corsa e fila a tutta velocità verso Ponte Milvio. Nell'auto la colluttazione continua: Matteotti che ha capito di che si tratta, si dibatte ed invettiva, ma non perde la testa: tanto che lancia fuori da uno dei finestrini, la propria tessera ferroviaria di deputato perchè qualcuno (come accadde) possa ritrovarla, e darne l'allarme. Non perde la testa: oh no! e si dibatte ed invettiva talmente, che testimoni che han veduto filare l'automobile, dichiareranno più tardi, di essersi accorti che in quell'automobile stava "succedendo qualche cosa". L'istruttoria non è riescita a stabilire, in tutti i particolari, lo svolgimento del delitto: ma la ricostruzione dell'accaduto non è difficile. Al volante era un certo Malacria che aveva a fianco Amerigo Dumini il capo banda. Nell'interno dell'automobile gli altri sicari: Poveromo, Panzeri, Viola, Volpi. Nello stesso pomeriggio l'automobile sostava nel comune di Rignano Flaminio che si trova in aperta campagna romana e ove era stata pre4 BibliotecaGino Bianco
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