accettò di ritirarsi dal posto di primo piano e di assoluta confidenza occupato fino a quel momento (capo dell'Ufficio Stampa); ma appena capì che Mussolini lo avrebbe abbandonato al propriQ destino giudiziario, gli indirizzò (il 14 giugno, all'atto in cui si apprestava a porsi in salvo) una lettera riprodotta nel già citato libro di De Ambris, pag. 85, di cui basta riprodurre quanto segue: " ... è superfluo avvertirti che se il cinismo, di cui hai fatto prova fino ad oggi, - complicato dallo smarrimento che ti ha invaso proprio quando dovevi dominare la situazione creata esclusivamente da te, - ti inducesse ad ordinare gesti di soppressione fisica durante la mia latitanza, e nell'eventualità disgraziata della mia cattura, saresti ugualmente uomo distrutto perchè la mia lunga dettagliata dichiarazione documentale è già nelle mani di amici fidatissimi e che praticano davvero i doveri dell'amicizia". Cesare Rossi ben conosceva il suo uomo e sapeva come prenderlo; ma non aveva nessuna voglia di confessare la parte avuta nella soppressione di Matteotti; e così, nella "dichiarazione documentale" rilasciata agli "amici fidatissimi" (vedila in De Ambris pag. 86), egli contesta di aver avuto parte, anche soltanto indiretta, al delitto del 10 giugno: pur elencando, spietatamente e con tutta precisione, le male azioni, i veri e propri delitti compiuti in precedenza d'accordo e su ordine di Mussolini per mezzo di Dumini, di Volpi e di altri, contro Amendola, contro Forni e contro Misuri (fascisti dissidenti questi due ultimi) nonchè contro tutti quelli che venivano condannati dal fascismo per "vendetta, per calcolo o per paura" (testuale! ) . Com'è noto, Cesare Rossi si costituì poi in prigione il 22 giugno e vi rimase fino a guando la sconcia amnistia, di cui parleremo in seguito, non ne permise la scarcerazione pronunciata dalla Sezione di Accusa a fine dell'istruttoria. Ma in sostanza il Rossi non mutò la propria linea di condotta, ammettendo, sì, tutte le proprie -corresponsabilità in tutta una serie di delitti mussoliniani, ma respingendo ogni propria partecipazione all'assassinio del 10 giugno. Ciò che non diminuisce in nulla il valore dei due memoriali redatti prima e dopo l'arresto i quali costituiscono dei veri e irrefutabili atti di accusa da opporre a quanti non hanno nulla capito, o nulla voluto capire del vero valore del fascismo e dei suoi capi. Non a caso certo, proprio lo stesso 14 giugno in cui Cesare Rossi le. cantava chiare e nette al suo signore e padrone, quel tal Filippelf che aveva prestato l'automobile per il delitto fu preso da una paura incontenibile e buttò giù, anche lui, un memoriale inteso ad escludere ogni sua consapevole partecipazione all'assassinio, e che, in ordine alle circostanze del delitto, è di una precisione schiacciante. Lo si può leggere per intiero nel citato libro del De Ambris (a pag. 82 e seg.) ma qui si può omettere il preambolo dove il prestito 13 BibliotecaGino Bianco
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