Giuseppe Emanuele Modigliani - L'assassinio di Giacomo Matteotti

. . -;'.;. ..if:,]tf. 1!1~~, ~t~f\<ft!f 1~1{~- -..... ~,~J;;;~:-r~~¼~~~~~ L'ASSASSINIO DI GIACOMO MATTEOTTI Pubblicatoil X giugno 1945 a cura dell'ltalian-AmericanLaborCouncil,New York (':+u Con il contributo di PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI Struuur:i di mi$5ionc anni\'crs.ari nazionali cd (:\'Cliii~J)(>rtiv1i 1:i:r.ionali e intcrna:r.iormli

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Giuseppe Emanuele Modigliani L'ASSASSINIO DI GIACOMOMATTEOT1'I Pubblicato il X Giugno 1945 a cura dell'ITALIAN-AMERICAN LABOR COUNCIL 202 W. 40th Street, New York, N. Y. ~357 Biblioteca Gino Bianco

~ ...... .,,.. . .... ,,.....,.....,,.....,,.....,,.....,,.....,,.....,,.....,,.....,,..~...,,.....,,.. .. . .... -, .,, .. ,, .. ,,.. ...,.......,.....,.,.....,,....,.,....,.,.....,,.....,,.....,,....,.,.....,,.....,,.....,,. .. . ,. , . ,4'>' ,, ...,,.. .. ---. ,.,....,.,.. . . .. (/ L Consiglio Italo-Americano del Lavoro ha consegnato alle stam- (.J P• questo scritto di Giuseppe Emanuele Modigliani sul martirio di Giacomo Matteotti in un momento in cui la storia, dato il suo inesorabile verdetto, ha fatto giustizia sommaria di un regime abbominevole che all'Italia ha procurato le sue più tremende sventure. Giustizia sommaria, ad opera, sopratutto, degli italiani stessi. Maledetto dall'umanità, esacrato dagli italiani sue prime vittime, il fascismo è finito ignominiosamente, con tutti i suoi capoccia, con tutte le sue galere, con tutte le sue vergogne. L'opuscolo, scritto due anni fa in esilio, profetizzava, come noi tutti profetizzammo, che il seguente JO_digiugno, Giacomo Matteotti avrebbe avuto, come l'ebbe, la sua commemorazione in Roma liberata. In uno dei suoi discorsi, Giacomo Matteotti ammoniva .Mussolini che i regimi di tirannide procurano la morte delle nazioni. L'Italia è uscita da più di venti anni di tirannide fascista rovinata e boccheggiante. E l'Italia onora oggi, ed onorerà sempre nei secoli, il nome di Giacomo Matteotti, del suo figlio purissimo che affrontò il martirio per arrestare prima che fosse troppo tardi il torchio della tirannide che Mussolini stringeva sul corpo indi/ eso della patria italiana. Mussolini, il mandante dell'assassinio di Matteotti, ebbe sempre paura della sua vittima, e per allontanarne l'ombra, fece dell'Italia una immensa galera, nella quale poi, fatalmente, egli stesso si trovò rinchiuso senza possibilità di scampo. Filippo Turati, padre spirituale del martire, disse che Matteotti era la mano che porge e si porge e che Mussolini e~a l'artiglio della belva che arra// a e lacera; che Matteotti era il trillo dell'aurora, e che Mussolini era lo strido notturno del gufo. Dopo la lunga notte di martirio italiano nella quale le belve ed i f!ufi del fascismo hanno imperato, s'ode nel cielo d'Italia il trillo dell'aurora novella: è la voce di Giacomo Matteotti, è la voce della libertà, della giustizia, della gentilezza italiana, della civiltà umanistica, della democrazia socialista. LUIGI ANTONINI, Presidente dt:l Consiglio Italo-Americano del Lavoro X Giugno 1945 2 BibliotecaGino Bianco

........ ...,.....,.....,.. .... ~ .... ...,.....,.....,.....,....,.,.......,.....,......,......,.....,.....,......,.... Anniversario: il ventesimo!* VENT'ANNI son passati invano ed è pos.sibile formulare la previsione che il prossimo anniversario, non contrastato, non in sordina, sarà celebrato a Roma. L'anniversario dell'assassinio di Giacomo Matteotti: il magnifico San Sebastiano del socialismo italiano. Predestinato: e per le sue origini familiari e per tutto quanto aveva compiuto nel breve giro dei suoi trentanove anni di vita. La famiglia materna aveva dato infatti militanti e martiri al!e primissime agitazioni carbonare del 1821, svoltesi appunto a Fratta Polesine, ove Matteotti nacque il 22 maggio 1885 ed ove crebbe nel culto di quei precursori e nello studio delle carte che ne documentavano l'opera. In questa atmosfera di tradizioni e d'ideale egli si dedicò da prima allo studio del diritto e dell'economia, lasciando anzi un grosso volume sulla "recidiva", .che ancor oggi fa testo: tanto la conoscenza delle regole giuridiche e della loro concreta applicazione, vi è fecondata da dati e direttive sociologiche precise e profondamente umane. Nulla di più naturale dunque per Matteotti del suo immediato orientarsi verso il socialismo, già prima dell'altra guerra, del suo sollecito interessarsi del movimento operaio agricolo del Polesine e, più specialmente, all'operoso movimento cooperativo di quella regione al quale fu poi largo sempre di consigli e di aiuti mai sbandierati, ma, è inutile dirlo, sempre disinteressati e larghi. La guerra del 1915 l'ebbe fra i suoi coscritti (fu soldato nell'artiglieria da fortezza) ma anche fra i suoi oppositori; cosicchè già nel 1917, fiere parole pronunziate al consiglio provinciale di Rovigo gli valsero * Questo opuscolo fu pubblicato una prima volta in Svizzera - senza il nome dell'autore - nel luglio 1944. E' stampato ora con semplici correzioni di pura forma. 3 BibliotecaGino Bianco

una condanna che non fu grave, ma che egli aveva coscientemente affrontata. Così preparato, così· avviato, le elezioni del 1919 gli procurarono il mandato legislativo che ne mise subito in valore la cultura e l'intelligenza di economista combattivo, ascoltato, rispettato, senza che il suo rapido salire nell'agone parlamentare ne intiepidisse nè la concreta solidarietà con l'opera costruttiva delle organizzazioni contadine del suo Polesine, nè la sua combattività di socialista repugnante ad ogni patteggiamento ... su qualsiasi fronte. Cosicchè, nelle elezioni del 1921, egli sarà vittima di una prima sconcissima aggressione del fascismo già in sul crescere, e più tardi, nel settembre 1922, quando i socialisti della sua tempra, della sua fede e delle sue idee saranno scomunicati dagli infatuati attratti dal nuovo verbo estremista, i socialisti rimasti fedeli alla tradizione faranno di lui il segretario -suscitatore, indefesso, costruttivo - del Partito Socialista · Unitario Italiano. Onde l'ascesa verso il successo dell'opera sua e verso il martirio che lo consacrerà alla storia. L'assassinio IL 10 giugno 1924, a Roma, verso le 16, Matteotti usciva dalla casa dove abitava in via Pisanelli, per recarsi al "lavoro": al suo lavoro di segretario del Partito Socialista Unitario e di deputato; e svoltando sul Lungo Tevere Arnaldo da Brescia si avviava per la strada ch'egli faceva tutti i giorni come ben lo sapevano coloro che lo aspettavano in agguato. Erano cinque con un automobile. Di questi, uno, lo affronta mettendogli le mani addosso. Matteotti resiste e lo getta a terra. Gli altri accorrono e lo stordiscono di colpi: lo cacciano a forza nell'automobile che stacca la corsa e fila a tutta velocità verso Ponte Milvio. Nell'auto la colluttazione continua: Matteotti che ha capito di che si tratta, si dibatte ed invettiva, ma non perde la testa: tanto che lancia fuori da uno dei finestrini, la propria tessera ferroviaria di deputato perchè qualcuno (come accadde) possa ritrovarla, e darne l'allarme. Non perde la testa: oh no! e si dibatte ed invettiva talmente, che testimoni che han veduto filare l'automobile, dichiareranno più tardi, di essersi accorti che in quell'automobile stava "succedendo qualche cosa". L'istruttoria non è riescita a stabilire, in tutti i particolari, lo svolgimento del delitto: ma la ricostruzione dell'accaduto non è difficile. Al volante era un certo Malacria che aveva a fianco Amerigo Dumini il capo banda. Nell'interno dell'automobile gli altri sicari: Poveromo, Panzeri, Viola, Volpi. Nello stesso pomeriggio l'automobile sostava nel comune di Rignano Flaminio che si trova in aperta campagna romana e ove era stata pre4 BibliotecaGino Bianco

disposta la complicità del. sindaco del luogo. Ma !"'ottimo" sindaco fascista, subito accorso, appena messa la testa nell'automobile, si fece sentire dire: "No! Così no! Vivo sì; 'morto no!" (L'istruttoria lo ha accertato.) E l'automobile riprese la corsa verso il luogo dove doveva trovare qualcùno di meno scrupoloso. E lo trovò finalmente nella persona del capo di un fascio locale, iibcrato da poco dal penitenziario di Palermo, ove aveva finito di scontare una condanna a trent'anni per omicidio premeditato. E questo degno fiduciario dei fasci trovò subito la soluzione. Pilotò l'automobile fino al bosco della Quartarella, e là il cadavere dell'assassinato, contorto e pestato perchè prendesse meno posto, fu cacciato a forza nella fossa, e sepolto "alla meglio". Tanto "alla meglio" che quando sarà poi esumato si constaterà che animali randagi avevano potuto disotterrarlo in parte, ed azzannarlo. La prrizia medica accerterà questi dettagli orribili, e accerterà del pari, che la morte fu dovuta ad un colpo di coltello che aveva reciso la carotide; così come accerterà tracce di altre ferite di coltello. E' fuori di dubbio: la resistenza eroica di Giacomo Matteotti, gli insulti di cui egli deve aver coperto, e gli esecutori e il loro mandante - intuitiva.mente da lui subito identificato - debl,0110 aver acuito al massimo la congenita bestialità dei sicari - non scelti a caso! - e qualcuno di questi, prima minacciò, e poi colpì. Più tardi Dumini dirà: "Mi è morto Matteotti fra le mani!" E certo voleva dire che i sicari, da lui stesso scelti e condotti, avevano oltrepassato (o almeno volle egli far credere che avessero oltrepassato) "la consegna" del primo momento. Ora, non importa essere giuristi per capire quanto valga la pretesa di far passare per "occasionale", l'esito di un delitto di violenza affidato ad uomini capaci di tutto e che, appunto perchè tali, eseguiranno il delitto loro ordinato nella maniera più precisamente conforme alle loro attitudini ... professionali, conosciute appieno da chi li aveva ricercati ed armati. Onde non solo non è diminuita, ma moralmente aggravata, la responsabilità di chi ha voluto il fatto e l'ha ferocemente organizzato, a quel modo, con quei sicari:* * Per coloro che, vuoi per difetto di senso giuridico, vuoi per eccessiva deferenza per le sofisticherie giuridiche, non si sentissero di accettare il ragionamento di buon senso qui esposto; per coloro che non credessero di _potersi acquietare al giudizio imposto di colpo, e definitivamente, da argomenti di indole morale, m'.1 irrefutabili, ecco a rincalzo l'argomento che dovrebbe calmare i loro scrupoli di sofisti se pur non di giurisperiti. La responsabilità di quanti abbiano organizzato un misfatto come quello del 1 O giugno, pur non prendendo parte diretta e personale alla sua esecuzione "materiale", sono così precisate, non da un qualunque codice, :ma proprio dal Codice Penale Italiano del 1931 di marca autenticamente fascista: Art. 41: "Il concorso di cause preesistenti o siinultanee o "sopravvenute", anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, "NON ESCLUDE il rapporto di causalità fra l'azione od omissione e l' "evento". Chiaro, non è vero? Ora, le capacità bestiali e professionali degli esecutori erano ben note, al vero organizzatore del misfatto, che, appunto in base a quelle, 5 BibliotecaGino Bianco

Ad istruttoria chiusa, e- in conformità della tesi defensionale di Amerigo Du~1ini, Mussolini scrisse, o fece scrivere sul suo giornale, essere ormai (ottobre 1925) storicamente e giuridicamente accertato che "indipendentemente, o piuttosto, contro la volontà degli autori (sic!) la farsa del giugno doveva degenerare in orribile tragedia". La farsa del giugno?! Uno scherzo riuscito male! C'è tutto quanto Mussolini in questo cinico travisamento del delitto, m tutto questo tentativo di "innocentare" - si dovrebbe dire di "scamottare" -- il delitto da lui voluto: e come mandante vero e primo, e come effettivo organizzatore dell'esecuzione. Il mandante vero e primo MANDANTE vero e primo: e precisamente additato come tale, non per semplice deduzione di partigiani alla ricerca di un responsabile degno del loro rancore, non per semplice deduzione da prove evanescenti o da indizi fallaci: no, mandante vero e primo, perchè irrevocabilmente accusato e bollato da precise risultanze giudiziarie, scartate da giudici indegni, ma ormai definitivamente acquisite alla storia. Vediamole.* I cinque manigoldi esecutori materiali del misfatto furono fatti venire a Roma da Milano e furono ospitati in un albergo in pieno centro della capitale. Qualcuno deve aver dunEJue fatto le spese e dovette esser un "qualcuno" che sapeva di non aver da temere che la polizia si allarmasse di questo concentramento di recidivi di delitti comuni,*«· proprio in faccia a palazzo Chigi, sede, allora; della Presidenza del Consiglio. A capo della masnada vi era Amerigo Dumini, uomo di mano del fascismo, già ripetutamente utilizzato per altre "opere". Ed a suo tempo i _giornali pubblicarono come avvenne che, proprio per agire contro Matteotti, Mussolini esigesse l'utilizzazione di Amerigo Dumini. E precisiamo. Alla Camera, il 30 maggio 1924, Giacomo Matteotti aveva voluto che capo-banda fosse Amerigo Dumini, ed "uomini di mano" i vari Volpi. Ma c'è di più, dato che lo stesso Art. 41 soggiunge: "Le disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui". Il che implica, che se pure si volesse ritenere che l'organizzazione del delitto non abbia fissato in modo preciso le modalità dell'azione, la sua responsabilità non verrebbe meno, anche secondo il codice fascista. Lo pugnalarono in auto pcrchè venne loro fatto di sbrigarsene più bestialmente subito, anzichè più cautamente, in seguito. Ecco tutto. ·• Una volta per tutti rimandiamo il lettore ai giornali dell'epoca, e a due pubblicazioni, fra le tante, più facili a rintracciare: "Matteotti". (Exoria, Tolosa, ottobre 1926) di Alceste De Ambris; e "La Terreur Fasciste" (Gallimard Parigi 5.a edizione) di Gaetano Salvemini. ' ' ** Avevano riportato condanne per violenza, furto, diserzione, bancarotta fraudolenta, ccc. (Vedi Salvemini, op. cit. pag. 192). 6 BibliotecaGino Bianco

aveva pronunciato la sua storica requisitoria contro la serie di sopraffazioni, e di veri delitti, con cui il governo di ~ussolini aveva imposto al paese, la Camera eletta nell'aprile di quell'anno. Invano, il 30 maggio alla Camera, deputati e tribune avevano tentato di far tacere l'oratore, davvero eroico, che, alle congratulazioni tributategli dai compagni. per la sua coraggiosa energia, rispondeva: "Grazie, ma ora potete prepararmi l'elogio funebre". E fu così che alla fine della seduta, Mussolini non risparmiò ai suoi, nè rimproveri nè invettive per non aver saputo farlo tacere. Ed appena potè intrattenersi con Cesare Rossi, il fido segretario, il suo più intimo fra gl'intimi, sbottò trivialmente nella frase passata anch'essa alla storia: "Che fa Dumini, si fa le seghe?!" E Dumini era appunto l'esecutore in titolo delle vendette del regime, quale capo della "banda" organizzata all'inizio del 1924. Ma ecco la prova definitiva che l'istruttoria ha precisamente registrato e messa a verbale. Il fido Cesare Rossi e !'ancor più fido Marinelli, segretario amministrativo del P. N. F., si erano recati al ministero degli interni nella tarda sera del 12 giugno - 48 ore dopo l'assassinio - a protestare per l'arresto di Amerigo Dumini avvenuto la sera stessa. Furono subito ricevuti dal sottosegretario agli interni Aldo Finzi e dal generale De Bono, allora direttore generafe della polizia e coinandante in capo della milizia. Ed ecco il dialogo fra i quattro: Rossr: "E così, volete proprio arrestare Dumini e gli altri?" DE BoNo: "Perchè no?!" Rossr: "Fatelo per burla, tenetelì qualche giorno e poi mollateli". DE BoNo: "Perchè ?" · Rossr: "Perchè se no parleranno, e diranno che è stato lui ad ordinarlo". DE BoNo: "Lui, chi?" Rossr E MARINELLI:"Il presidente!" (Questo dialogo fu messo a verbale durante l'istruttoria perchè così lo riferì lo stesso De Bono inteso come testimone, quando Mussolini lo ebbe congedato. Con questo di più: che il generale De Bono velie aggiungere di aver sempre deplorato ( !) i metodi adottati dal regime e che a simili delitti dovevano inevitabilmente condurre). Accusa dunque precisa e nettissima, quella dei due "intermediari" Rossi e Marinelli: e che Aldo Finzi riferirà in istruttoria. Ma non la sola da parte dei correi. Infatti, durante l'istruttoria, fu intercettata la corrispondenza scambiata tra il Dumini e la sua famiglia, e fu così stabilito che, scrivendo sotto i francobolli di cartoline postali apparentemente ingenue, Durnini alludeva alla parte avuta, nel fatto, dal "Presidente". E la famiglia, di rimando, (con lettera cucita in un soprabito inviatogli in carcere) lo incoraggiava a valersi dell'avvocato Vasselli il quale si era impegnato a "fare i patti con Mussolini per il suo avvenire" (di lui, Dumini) al che il Dumini stesso replicava che, occorrendo, egli avrebbe tirato in ballo proprio lui: "il Presidente". E chi ha potuto 7 BibliotecaGino Bianco

anche semplicemente scorrere i fascicoli dell'istruttoria (una copi.a se ne trova alla London School of Economie and Politica! Science) sa precisamente quanto Volpi e Poveromo dissero fra compagni di sbornia e di male gesta, a conferma delle responsabilità "presidenziali". L'organizzatore effettivo Sì, organizzatore effettivo del delitto, più che semplice mandante, è stato Mussolini. Da Mussolini infatti era stata predisposta e già utilizzata per una serie di "alte opere" del genere la "banda" di Dumini; e da Mussolini fu subito ordinato (nella sconcia maniera già indicata) che Dumini entrasse in azione. Quasi contemporaneamente, il 4 giugno 1924, veniva lanciata una precisa parola d'ordine affinchè la stampa fascista "reagisse" contro le provocazioni culminate nel discorso di Matteotti. Con questo di più direttamente preordinato all'esecuzione del delitto: che, subito d~po il discorso Matteotti del 30 maggio, si fece arrivare a Roma un tale Otto Thierschwald cui si affidava l'incarico di pedinare Matteotti. Questo figuro era stato liberato ad hoc dal carcere di Napoli ed aveva ricevuto dal direttore del carcere duecento lire che Marinelli cassiere deì P. N. F. aveva rimesse per spese di viaggio! Cosicchè, punto per punto, è accertata la diretta partecipazione di "lui" alla effettiva preparazione del delitto. Concreta e preveggente preparazione dtll'assassinio: dato che quel tale Thierschwald non era stato scèlto a caso nella sua qualità di croato. A Palazzo Chigi si sapeva infatti che Matteotti avrebbe dovuto recarsi ad un congresso internazionale a Vienna, cd in tale eventualità il figuro croato sarebbe stato un ottimo ausiliare per la soppressione·, durante il viaggio, dell'odiato segretario del Partito Socialista Unitario. Le aveva pensate tutte, il "duce" del delitto. E non fu certo colpa sua se, rinviato all'ultimo momento il congresso di Vienna, il delitto dovette essere eseguito in quella tale automobile, anzichè sotto un qualunque "tunnel" ferroviario, un po' prima o un po' dopo la frontiera, secondo le indicazioni del figuro prescelto in ragione delle sue cognizioni della lingua, dei luoghi e delle possibilità ferroviarie.* Ma quando il piano "ferroviario" sarà fallito, subito sarà immaginato il ratto in automobile. E l'automobile verrà prestata da Filippo Filippelli, direttore del giornale romano "Corriere d'Italia", il quale nulla poteva rifiutare a Mussolini nè a chi gli si presentò a suo nome: fosse Dumini o fosse Rossi. (Ma più probabilmente Rossi, considerato * Ma giustizia va resa anche ai "figuri". Alla vigilia dell'assassinio (la domenica e il luncdl) Thierschwald fece il possibile per dare l'allarme a Matteotti e non ci riesci anche perchè Matteotti non teneva conto degli allarmi, a dar retta ai quali - diceva - si rischia di non far nulla. 8 BibliotecaGino Bianco

sempre come il portavoce del "duce" e preposto, in modo pm particolare, al controllo della stampa. Rossi che, informato del giorno e dell'ora e dell'uso dell'automobile, si precostituì un alibi andando lontano a fare una scampagnata, a quell'ora, in quel giorno). E le prove non sono finite della partecipazione di Mussolini al misfatto: e, non solo come ispiratore, dall'alto e dal di fuori, ma per aver direttamente partecipato alla materiale esecuzione dei suoi ordini criminosi. Alludiamo qui, più precisamente, alla condotta di Mussolini immediatamente dopo la morte di Matteotti: condotta nella quale egli si dvela per intero, come non mai. Matteotti era stato assassinato nel pomeriggio del martedì 10 giugno, ed il mercoledì mattina Mussolini si vide rimettere carte e documenti ritrovati nelle tasche della vittima. (Lo si legge nel memoriale Filippelli di cui parleremo in seguito). Ma quando, lo stesso mercoledì, si manifestarono le prime apprensioni per l'assenza di Matteotti dalla Camera, e queste apprensioni furono riferite a Mussolini, questi non esitò a farsi beffe dei socialisti così facili ad allarmarsi e, a rincalzo, con quella brutalità e volgarità di eloquio che gli era propria, accennò alla possibilità che ·Matteotti fosse "andato a puttana!" (I nostri lettori non ce ne vogliano se ancora una volta abbiamo riferito le espressioni testuali del "duce" criminale e becero, tali quali furono prontamente pronunciate, invece di rimpiazzarle coi soliti verecondi puntini d'interpunzione. Infatti proprio la trivialità di questo immediato tentativo di depistare le apprensioni e le ricerche, conferma definitivamente la mentalità del primo responsabile del delitto. Spregiare il morto per mettersi al coperto! Ecco il rigillo e la firma apposti al delitto). Ma la sconcia spavalderia mussoliniana durò solo un attimo. Infatti la polizia non ignorava nulla dell'accaduto -e sin dal mercoledì non poteva nemmeno far più finta d'ignorarlo - anche perchè, già nel pomeriggio del giorno stesso, !'On. Modigliani si era recato dal questore di Roma a chieder conto della disparizione di Matteotti, e della mancata protezione di lui che, da tempo, veniva sempre seguito da due agenti (I quali però - vedi caso! - "lo perdettero di vista" proprio in quel pomeriggio del 10 giugno). L'On. Modigliani non mancò di dichiarare subito, senza ambagi, che si era certo in presenza di un delitto sicuramente dovuto a motivi di vendetta politica. E se !'On. Modigliani dovette limitarsi allora ad affacciare un presentimento, nei circoli più prossimi a Mussolini si era risaputo, subito. Infatti già quel mercoledì i caporioni fascisti più prossimi al loro degno capo si erano riuniti ed avevano deliberato sulla condotta da tenere, nella facile previsione che prima o poi tutto sarebbe venuto in luce. E se in tale riunione, vi fu chi propose di assumere la responsabilità dell'accaduto, (lo narrò in proseguo di tempo Carlo Bazzi, il direttore del "Paese", vantandosi di aver difeso questo atteggiamento cinico ma 9 Biblioteca Gin Bianco

coraggioso) prevalse invece fra i convenuti la decisione di non far nulla - almeno allora - per salvare gli esecutori materiali, ormai identificati. Decisione vile che Mussolini accettò, e tradusse in atto sin dal giorno successivo quando alla Camera, rispondendo ad una interrogazione del deputato socialista Gonzales, dichiarò che il delitto "non poteva non sollevare l'indignazione del Governo (sic!) e del Parlamento" e precisò anzi: "io stesso ho dato ordini perentori perchè le ricerche fossero intensificate a Roma, fuori di Roma e alle stazioni di confine". Ove non si sa che cosa ammirare di più, ~e quell"'intensificate", evidentemente bugiardo, o quel "fuori di Roma" buttato là per depistare, o quell'imprudentissimo "stazioni di confine" inteso anch'esso a depistare, ma suggerito, è chiaro, dal ricordo dell'altro piano di assassinio da compier"si in ferrovia. La sindrome fenomenica ·è ormai perfetta: feroce e triviale prima del misfatto; triviale e vile subito dopo, appena la paura lo assale! Ma dategli tempo di reagire allo smarrimento: ed eccolo commediante perfetto. Come sempre, quando riesce a controllarsi. La moglie - la vedova ormai! - di Giacomo Matteotti si reca alla Camera nel pomeriggio di giovedì 12 giugno, per cercare conforto alla propria angoscia. I compagni la dissuadono dall'andare ... dall'assassino, e già la disgraziatissima se ne torna verso casa; ma Mussolini la fa raggiungere da uno qualunque dei suoi, la riceve, la conforta, ed a Lei che gli dice: "Rendetemelo vivo o morto", osa rispondere: - e ben sa di mentire! - "Spero di rendervelo vivo!" Nel frattempo però Mussolini ha dato gli ordini perchè, dalla Maremma toscana, le camicie nere di laggiù, le "squadracce" rinomate per la loro ferocia, vengano a Roma. E queste sfileranno, già la mattina del venerdì 13 giugno, sotto le finestre della casa che era stata quella dell'assassinato e dove la sua famiglia abitava. E sfileranno coi pugnali sguainati e branditi, cantando questo distico infame: "Colla carne di Matteotti ci faremo i salsicciotti". L'esecuzione AH, quanto meglio immaginato - quanto satanicamente immaginato - il piano di assassinio che avrebbe dovuto fare sparire Matteotti nel corso di un viaggio a Vienna. Come già fu detto il piano era stato ideato fin dal 31 maggio (all'indomani della eroica requi!itoria pronunziata da Matteotti alla Camera) e per la cui esecuzione, la segreteria del P. N. F. - cioè Marinelli ·- ordinò al direttore delle carceri di Napoli di liberare quel tal croato che avrebbe dovuto "viaggiare" insieme a Matteotti. Ma Matteotti aveva dovuto rinunziare ad andare a 10 BibliotecaGino Bianco ..

Vienna, e così fu abbandonato il piano "ferroviario" e fu preferito il piano irosamente improvvisato poi, e ferocemente eseguito il 10 giugno. Ed ecco come. Il 4 giugno Mussolini prese la parola alla Camera per chiudere la discussione sulla politica generale del governo, e sfacciatamente fece carico ai socialisti di aver caldeggiato ed ottenuto, dopo la guerra del '14, che una larga amnistia fosse concessa a quanti avevano osteggiato la guerra, ivi compresi, i disertori. Ma ecco Matteotti levarsi prontissimo e con due folgoranti interrm:ioni inchiodare al muro il "duce", rinfacciandogli di rinnegare dal banco del governo, la campagna per l'amnistia a cui aveva egli stesso partecipato nel '19-'20. Passava veramente il segno questo socialista irriducibile! Impossibile dunque attendere che si presentasse l'occasione del viaggio (per facilitarglielo era stato concesso a Matteotti il 2 giugno il passaporto negatogli fino a quel momento) ; bisognava invece far immediatamente cessare lo scandalé di una tale irriducibile opposizione. Ed il S giugno Marinelli si sente investire dal suo "duce", con apostrofi del genere di quelle indirizzate giorni prima contro l'inoperosità di Dumini. Il 7 Marinelli è a Milano e fa partire alla volta di Roma Volpi e gli altri prescelti per l'azione. All'ultimo momento Dumini non è contento della scelta dello "chauffeur" ed allora si fa venire, sempre da Milano, (onde Marinelli non si è mosso) quel tal Malacria che farà al caso. E il 10 Mussolini sarà vendicato!* Ma vendicato con quella mancanza di "precauzioni" che tradisce la mentalità impulsiva dell'organizzatore vero e primo del delitto. E ancora una volta lasciamo parlare i fatti. A delitto compiuto, Dumini torna a Roma la sera del 10 conducendo egli stesso l'automobile del delitto e si reca da Filippelli, il direttore dell'ufficiosissimo "Corriere d'Italia", che glie l'aveva prestata. Pensasse Filippelli a far sparire le tracce del sangue e di altro che la colluttazione e la protratta permanenza del cadavere avevano lasciato nell'interno del veicolo. Ma Filippelli fu subito preso dal terrore, si confidò con arµici e così la notizia dell'accaduto cominciò a trapelare. Frattanto gli eventi precipitavano. Quando i sicari avevano dato l'assalto a Matteotti sul Lungo Tevere, la scena ebbe per testimonio un giovanotto il quale corse subito ad informare di quanto aveva visto uno ~ei più alti diri~e~ti del fascio romano. Nessuna meraviglia dunque che, sm da mercoled1, 11 terrore regnasse nelle "alte sfere" fasciste della capitale e provocasse quella tale riunione di "caporioni" di cui abbiamo già parlato. Nessuna meraviglia che Mussolini, pur dopo aver lanciato le .sconcezze già riferite per depistare le apprensioni suscitate dalla scomparsa di Matteotti, accettasse subito - coraggiosamente! - le direttive " ~ Filigpelli, fu preso_ da un ta_l ter;_ore, :he quando poi tlovette provvedere alla toilette dell automobile ne affidò I mcanco alla propri:i. cameriera che si lirrutò a .!ar spa,:ire a colpi di forbici i rivestimenti interni della vettura recanti le tracce pm atroci. 11 BibliotecaGinoBianco

adottate dai suoi più intimi in quella tal riunione del mercoledì, e, sin dal giovedì, lasciasse arrestare Dumini, acciuffato la sera stessa alla stazione di Roma mentre si preparava a partire per Milano. Appena 4-8ore più tardi la stessa sorte coglieva Volpi e Poveromo nella capitale lombarda. Con questo però, che Volpi ·volle essere condotto al fascio Milanese; ottenne questo favore dagli agenti; ma entrato da una parte, se la svignò dall'altra (Salvo ad essere ripreso un po' più tardi). Per la verità, la magistratura credette di poter far sul serio e ci si mise d'impegno; ma il generale De Bono -l'aveva preceduta, dato che, appena informato dell'arresto di Dumini, e sùbito dopo il colloquio avuto con Rossi e Marinelli, si era precipitato alla stazione; si era fatto consegnare le valigie da Dumini stesso e le aveva alleggerite di oggetti e scritti compromettenti consigliando il capobanda di negare tutto e sempre.* E figurarsi se i "coliaboratori" di Dumini noh furono avvertiti anch'essi sul contegno da tenere e se non esitarono ad obbedire. E questo giuoco, come vedremo, continuerà fino all'ultimo. Ma i magistrati dell'ordine giudiziario, e più precisamente, quelli da prima investiti della istruttoria fecero dal canto loro tutto il loro dovere; senonchè contro di loro, niente fu trascurato per intralciare l'opera, fino al momento in cui fu imposta dall'alto la loro eliminazione e, ai magistrati chiamati a sostituirli, fu imposta la conclusione della istruttoria, dettata - è proprio la parola da usare - dal procuratore generale Del Vasto che, (vedi caso) era ccgnato dell'on. Farinacci (vedere "La Terreur Fasciste" pag. 24-9) il difensore di Amerigo Dumini. Ma bisogna affrettarsi a dirlo: la verità, anche se non subito, finì col venire in luce, anche perchè, i complici di Mussolini, traditi da lui, si rivoltarono e parlarono. Parlarono e scrissero:H· Cominciò con lo scrivere un memoriale Aldo Finzi. Egli era del tutto estraneo al delitto, ma Mussolini, il quale voleva darsi l'aria di "far luce", gli ordinò di dimettersi da sottosegretario agli Interni; Finzi ci si rassegnò ma consacrò subito, in una lettera al fratello, quanto egli poteva addurre a propria discolpa. E non solo scrisse tale lettera ma la consegnò a due giornalisti perchè la recapitassero. Ma la ribellione - anche se soltanto epistolare - del Finzi si acquetò prima che fossero trascorse quarant'otto ore; la lettera sparì dalla circolazione: e così, se il fatto resta, il testo manca. Meno remissivo Cesare Rossi. Anche a lui Mussolini chiese di mettersi da parte; e anche Rossi * Il consiglio, subito dato a Dumini da De Bono, fu raccontato da C. Rossi in note da lui rimesse, anni dopo, a Gaetano Salvemini, conforme si può leggere in "La Terreur Fasciste". ** Eccetto un solo: Marinelli, che è stato ricompensato della sua lunga fedeltà con la condanna a morte e la fucilazione non appena il neo fascismo s'installerà. 12 BibliotecaGino Bianco

accettò di ritirarsi dal posto di primo piano e di assoluta confidenza occupato fino a quel momento (capo dell'Ufficio Stampa); ma appena capì che Mussolini lo avrebbe abbandonato al propriQ destino giudiziario, gli indirizzò (il 14 giugno, all'atto in cui si apprestava a porsi in salvo) una lettera riprodotta nel già citato libro di De Ambris, pag. 85, di cui basta riprodurre quanto segue: " ... è superfluo avvertirti che se il cinismo, di cui hai fatto prova fino ad oggi, - complicato dallo smarrimento che ti ha invaso proprio quando dovevi dominare la situazione creata esclusivamente da te, - ti inducesse ad ordinare gesti di soppressione fisica durante la mia latitanza, e nell'eventualità disgraziata della mia cattura, saresti ugualmente uomo distrutto perchè la mia lunga dettagliata dichiarazione documentale è già nelle mani di amici fidatissimi e che praticano davvero i doveri dell'amicizia". Cesare Rossi ben conosceva il suo uomo e sapeva come prenderlo; ma non aveva nessuna voglia di confessare la parte avuta nella soppressione di Matteotti; e così, nella "dichiarazione documentale" rilasciata agli "amici fidatissimi" (vedila in De Ambris pag. 86), egli contesta di aver avuto parte, anche soltanto indiretta, al delitto del 10 giugno: pur elencando, spietatamente e con tutta precisione, le male azioni, i veri e propri delitti compiuti in precedenza d'accordo e su ordine di Mussolini per mezzo di Dumini, di Volpi e di altri, contro Amendola, contro Forni e contro Misuri (fascisti dissidenti questi due ultimi) nonchè contro tutti quelli che venivano condannati dal fascismo per "vendetta, per calcolo o per paura" (testuale! ) . Com'è noto, Cesare Rossi si costituì poi in prigione il 22 giugno e vi rimase fino a guando la sconcia amnistia, di cui parleremo in seguito, non ne permise la scarcerazione pronunciata dalla Sezione di Accusa a fine dell'istruttoria. Ma in sostanza il Rossi non mutò la propria linea di condotta, ammettendo, sì, tutte le proprie -corresponsabilità in tutta una serie di delitti mussoliniani, ma respingendo ogni propria partecipazione all'assassinio del 10 giugno. Ciò che non diminuisce in nulla il valore dei due memoriali redatti prima e dopo l'arresto i quali costituiscono dei veri e irrefutabili atti di accusa da opporre a quanti non hanno nulla capito, o nulla voluto capire del vero valore del fascismo e dei suoi capi. Non a caso certo, proprio lo stesso 14 giugno in cui Cesare Rossi le. cantava chiare e nette al suo signore e padrone, quel tal Filippelf che aveva prestato l'automobile per il delitto fu preso da una paura incontenibile e buttò giù, anche lui, un memoriale inteso ad escludere ogni sua consapevole partecipazione all'assassinio, e che, in ordine alle circostanze del delitto, è di una precisione schiacciante. Lo si può leggere per intiero nel citato libro del De Ambris (a pag. 82 e seg.) ma qui si può omettere il preambolo dove il prestito 13 BibliotecaGino Bianco

dell'automobile è narrato come ottenuto da Dumini m modo che non doveva allarmare il Filippelli stesso.* E' impossibile invece non riprodurre qui con precisione quanto segue: "Rientrato alle 20 al giornale, niente di anormale mi colpì. Andai a pranzo verso le 21 e 30 col Comm. Benedetto Fasciola, segretario di Mussolini. Al giornale, sulle 12, trovai, Dumini e Putato che parlavano tranquillamente col Comm. Quilici redattore capo del "Corriere Italiano"; II Dumini entrò in camera mia con un involto di giornale e mi pregò di trovargli un posto per tenere durante la notte la macchina. Insospettito, chiesi notizie e mi rispose che aveva agito in conformità di ordini precisi di Ros~i e Marinelli autorizzati formalmente da Mussolini. Mi parlò di tante cose, fra cui di un russo che era da più settimane a Roma". "Preoccupatissimo, ma dubbioso di prendere una netta decisione, pregai Qnilici di prendere per una notte la macchina nel suo garage. Il Dumini mi 12regò di tacere che tutto sarebbe andato a posto il giorno dopo. "Io, viceversa, allarmato della notizia della scomparsa dell'On. Matteotti, il giorno dopo, mercoledi, cercai subito di Rossi. (A proposito dell'On. Matteotti lasciai che i miei "reporters" raccontassero la versione fino allora nota: macchina rapitrice Fiat di colore grigio e perchè non supponevo la cosa come eseguha dal Dumini, e perchè volevo, per debito di lealtà verso il governo, avvertire prima gli eventuali capi)." "La mattina di mercoledi Rossi a sua volta mi cercò affannosamente mentre io cercavo di lui, per dirmi: "1.o che Dumini aveva comunicato di essersi servito della macchina da me in buona fede prestata; "2.o che la cosa era grave; "3.o che lui e Marinelli avevano dato gli ordini in seguito ad accordi con !'On. Mussolini; "4.o che il presidente On. Mussolini sapeva tutto; "5.o che bisognava ad ogni costo mettere a tacere la cosa, diversamente saltava lo stesso Mussolini. "Queste dichiarazioni del Rossi mi dispensarono da una denuncia formale. "Tuttavia credetti opportuno avvisare anche nello stesso giorno (mercoledì) De Bono, Finzi, Marinelli ed altri. "Appresi da Finzi e dagli altri: "1.o che la vittima dell'attentato Dumini era !'On. Matteotti; * Da notare però che l'innocentissimo Filippelli, finito poi in carcere come truffatore non consegnò l'auto, se non dopo una dichiarazione scritta da Durrùni che l'auto doveva servire a nulla più che ad una scampagnata. Prudente ... l'innocentissimo! 14 BibliotecaGino Bianco

"2.o che l'ordine di sopprimerlo era venuto dalla Ceka del P. N. F. i cui esecutori materiali erano Dumini ed altri noti - anche per questa specifica ultima funzione - allo stesso Mussolini; "3.o che avevano parlato con Mussolini ed avevano ricevuto ( ?) carte e passaporto dell'On. Matteotti a prova della sua sparizione; "4.o che bisognava aver calma perchè tutto sarebbe andato a posto. Mi supplicò di evitare che la macchina tragica, da me fornita con la solita generosa buona fede, venisse scoperta. Questione di stato. Il regime corre pericolo, mi si ripeteva. "Mussolini rischia il potere e la testa. "Cosa dovevo fare? "Ogni mia parola o gesto poteva compromettere Mussolini. Dico, lui, Mussolini, personalmente; e momentaneamente tacqui. Anche perchè Marinelli e Rossi mi narrarono, mercoledì e giovedì, di colloqui drammatici col Duce. "Ciononostante andai la notte di giovedì da Finzi (in casa dove fui ricevuto cortesemente dalla signora e dalla suocera), a dire che non potevo più vivere sotto questo incubo, che pretendevo di essere messo a posto, sopratutto moralmente. Mi si dettero assicurazioni. "Le stesse assicurazioni mercoledì, giovedì e venerdì, mi dette De Bono il quale fra le altre cose mi consigliò: "1.o di pubblicare la lettera di Dumini; "2.o mi disse che aveva provveduto a far scomparire le tracce del suo arresto. "Dumini è rimasto a Roma fino a giovedì sera. "Mercoledì lo vidi per caso verso le 22 in Galleria Colonna e mi disse che, d'accordo con MarineJJi e Rossi s'"arebbeandato l'indomani a ritirare la macchina dalla casa del Comm. Quilici che tutto ignorava. Viceversa, giovedì verso le 13, il Dumini venne da me al giornale dicendomi -- sempre a nome di Marinelli e Rossi, e, per essi, del regime, - che non si arrischiava a ritirare la macchina. Allora, io, vinto dalla generosità ancora una volta, temendo gravi conseguenze per Mussolini, ordinai al mio chauffeur di ritirarla. "Dopo il resto è :rmto ... " Questo documento finì nelle mani del giornalista Filippo Naldi, che forse aveva avuto una certa parte nell'indurre il Filippelli a redigerlo e che certo lo conserverà presso di sè. Nulla di più probante di questo che, in gergo curialesco può definirsi "chiamata di correo'' tanto più insistentemente precisa di quella contenuta nel "memoriale" Rossi: là dove si evita di accennare a quanto potrebbe dare la prova della corresponsabilità di Cesare Rossi nell'assassinio del 10 giugno. Senonchè, ambedue questi documenti non giunsero a conoscenza della difesa della parte civile Matteotti che alla fine di novembre o al principio di dicembre e, soltanto allora uno dei suoi 15 Biblioteca Gino Bianco

difensori, !'On. Modigliani, potè metterli a disposizione dei magistrati incaricati dell'istruttoria. Ma di ciò in seguito: dato che, dopo aver anticipato l'esposizione delle prove relative al delitto, tempo è di rievocare le ripercussioni che ebbe questo nel paese e sui suoi destini. Le ripercussioni - L'Aventino LE ripercussioni sincere e spontanee, le. ripercussioni degne e durevoli, ebbero manifestazioni quasi immediate; ma non meno sollecita fu la commedia del ripudio fascista delle responsabilità, e l'organizzazione della resistenza e difesa del regime. Giovedì 12, Mussolini aveva recitato la commedia di fronte alla vedova del suo assassinato; e lo stesso giorno eccolo recitare la commedia in pieno parlamento. Rispondeva ad una interrogazione sulla scomparsa di Matteotti. Ed appena ebbe dato notizia dei primi arresti esclamò: "Se c'è qualcuno in questa Camera che ha diritto di essere costernato, ed aggiungo: rivoltato, sono io! Questo delitto che ci riempie di orrore e che provoca tali esplosioni di sdegno non ha potuto essere commesso che da uno dei miei nemici il quale ha certo meditato a lungo questo colpo diabolico. Il governo ha la coscienza enormemente tranquilla. Se voi mi autorizzate a far giustizia sommaria sarà fatta". ( A destra si applaude). Poi invita alla calma e ripromette giustizia: "perchè si tratta di un delitto contro il fascismo (sic!) e contro lanazione; perchè si tratta di un delitto che non è soltanto orribile, ma di una brutalità umiliante". Va da sè che pochi momenti prima, secondo lo ha attestato Cesare Rossi (vedi "La Terreur Fasciste" pag. 223) egli aveva spiegato che si trattava solo di guadagnar tempo. E sarà bene ripetere che la sera stessa De Bono faceva sparire dalle valigie di Dumini tutto quel che vi era di compromettente. Ma, per il pubblico, la commedia continuò: tanto che il venerdì 13 Mussolini pronunciò lui stesso alla Camera l'elogio funebre del suo assassinato. Tuttavia la commedia non poteva limitarsi alle parole; ci volevano atti. E la settimana successiva recò al gran pubblico italiano, la notizia che Cesare Rossi aveva dovuto sottrarsi all'arresto subito ordinato, e che un mandato di arresto era stato spiccato anche contro Marinelli. Cosicchè il 24 giugno il mandante dell'assassinio aveva un pubblico abbastanza ben preparato, quando si presentò al Senato a recitarvi, per la seconda volta, la sconfessione dell'operato suo e dei suoi correi, assicurando l'alta e supina assemblea, che la sua intenzione era di "ristabilire a qualunque costo la legalità e di arrivare ad un regime politico normale e alla pacificazione del Paese. Passare al vaglio il Partito e purgarlo degli elementi indesiderabili. Sopprimere colla più grande energia gli ultimi resti di 16 BibliotecaGino Bianco

una illegalità perenta e disastrosa. Non c1 sia più che chiarezza e giustizia. Ed il regno del diritto sia stabilito più fermamente che mai". Alla Camera le opposizioni - tutte le opposizioni compreso lo stesso Giolitti - non avevano voluto assistere il 13 giugno alla profanazione dell'assassinato, commemorato dall'assassino; e, nell'assenza delle opposizioni, la Camera di sorpresa aveva preso le vacanze. Al Senato - dodici giorni non erano passati invano per il successo della commedia - ci furono persino degli applausi. Dopo i quali anche il Senato si prorogò. Non senza la giusta ricompensa di apprendere, appena quattro giorni dopo, che davvero "la giustizia faceva il suo corso" dato che fra il 24 e il 28 erano stati arrestati a Milano (e questa volta sul serio) tanto Volpi che gli altri esecutori materiali. E con loro anche Marinelli. Ma è tempo di dire che, nonostante tutta l'influenza fuorviatrice che questa commedia dall'alto esercitò sulle manifestazioni dell'opinione pubblica, queste manifestazioni continuarono ad essere insistenti_ e generali, anche se mancò loro, e non per poco, la giusta mira ed il bersaglio più indicato. Già il I 2 giugno si vide a Roma tutto un accorrere di gente verso l'ospedale di S. Giovanni ove si era detto che si attendeva l'arrivo di Matteotti solamente ferito. Ma il 13 la commemorazione dell'assassinato, fatta alla Camera dall'assassino, tolse ogni dubbio sull'evento e dette !'aire alle manifestazioni più precisamente dirette ad esigere che i responsabili fossero individuati e colpiti. E poichè non era stato ancora reso esecutivo il decreto del luglio 1923 che prevedeva l'istituzione della censura, la stampa concorse quasi senza eccezioni; in tutta Italia, a tener viva l'agitazione. Senonchè nel frattempo, anche i fascisti non se ne stavano e tenevano testa, in conformità di una circolare del 15 giugno firmata dallo stesso Mussolini (vedi in "La Terreur Fasciste", pag. 234), con la quale si ordinava ai prefetti delle 12 provincie dove il fascismo era più forte, "di promuovere tutte le possibili proteste contro lo sfruttamento dell'assassinio Matteotti" e di riaffermare la propria fiducia nel governo e nel fascismo. E subito corse sangue. Tra l'altro, a Milano, i! 27 giugno, fu massacrato a colpi di manganello il tramviere Oldani reo di non aver approvato l'assassinio del 10 giugno; e quando a Milano un corteo imponentissimo rese all'Oldani le ultime onoranze non mancarono fascisti che tentarono, anche se a loro spese, di impedire la manifestazione. Ciò non tolse però che le precisioni e la documentazione di cui abbiamo già fatto parola, continuassero ad essere ignorate da tutti, ad eccezione, come vedremo in seguito, di pochi "iniziati"; e così continuò a mancare all'opinione pubblica la responsabilità di "quel piglia su" dinamico e giustiziere, di cui certi critici deploreranno la mancata esplosione, così come svaluteranno più tardi la sola cosa efficace che 17 BibliotecaGino Bianco

fu allora esposta al regime del delitto: la secessione parlamentare che ebbe nome: Aventino. Parliamone. Nel trigesimo della morte di Giacomo Matteotti l'opposizione parlamentare ignorava tutte e per intero le prove che permetteranno più tardi di additare Benito Mussolini come il primo e vero responsabile dell'assassinio del 10 giugno. La Camera era stata mandata ·in vacanze; ii:npossibile dunque una manifestazione "in aula" nell'occasione del trigesimo. Ma una manifestazione, a Montecitorio, cui partecipassero tutte le opposizioni, apparve subito, ed a tutti, come la più efficace, e , come precisamente doverosa. E l' 11 luglio in una grande sala di Montecitorio le opposizioni si convocarono e udirono l'indimenticabile evocazione che di Giacomo Matteotti fece il più degno: Filippo Turati. Matteotti era caduto - sopratutto - per il modo tenacemente eroico con cui aveva adempiuto il proprio dovere di deputato; e la sensazione si faceva sempre più precisa che la pura e semplice .condanna degli esecutori diretti del delitto non poteva bastare, e eh.e s'imponevano misure decisamente orientate contro il regime, più specialmente a protezione della funzione parlamentare: base ed istrumento delle libertà democratiche. Facilmente dunque le opposizioni furono unanimi nell'approvare, 1'11 luglio, di boicottare i lavori parlamentari fino a che giustizia non fosse stata fatta. Tutta la giustizia che non solo punisse, ma risanasse. "Avreste dovuto scendere in piazza" diranno più tardi (ah non allora!) quei tali tritici incontentabili, non scesi in piazza nè allora nè poi. Ebbene: a riprova che in quel momento le opposizioni parla- - mentari fecero il loro dovere, basta un raffronto di date. L'll luglio: atto di nascita dell'Aventino. Il 10 luglio il re, (ormai definitivamente mussolinizzato) appone la firma al decreto predisposto fin dal luglio dell'anno precedente, col quale è soppressa là libertà di stampa, e sono instaurate, tanto la censura, quanto - se del caso - la soppressione dei giornali non agli ordini del fascismo. L'Aventino era appena nato che subito se ne preparava la soffocazione: anche se momentaneamente rinviata. Ma soffocato non fu l'Aventino: anche se alle sue iniziative - tentate in tutti i campi - non rispose il popolo italiano per la ragione che quei tali critici han troppo dimenticata. La verità era e resta, che la lotta contro il fascismo - prima e dopo la marcia su Roma - durava in Italia da ormai quasi cinque anni. Già nel 1920-21, consule Giolitti, gli antifascisti si erano trovati di fronte, non solo i fascisti patentati, ma le stesse forze militari dello stato, da cui i fascisti ricevevano ogni assistenza durante le spedizioni punitive e financo i moschetti dati loro dai carabinieri, e ciò debitamente autorizzati da regolarissime circolari governative. Poi era venuta la marcia su Roma, complice il Re; e nel marzo 1923, con la firma del re, era stata 18 BibliotecaGino Bianco

creata la milizia fascista destinata subito ad agire - essa armatissima - contro avversari, sin da allora obbligatoriamente disarmati. In conseguenza, già prima del 10 giugno, era salito ad oltre 3.000 il numero degli antifascisti caduti nei borghi isolati o sulle piazze delle città; mentre fin dal 1923 era cominciato l'esodo dei combattenti antifascisti la cui vita diventava ogni giorno più impossibile, specialmente nelle città di provincia, e nelle campagne ove il "ras" locale e la milizia fascista si potevano tutto permettere. Con questo di meno propizio a quel tale "piglia su" non potutosi verificare, che sin dal '21, e più gravemente nel '22, e da ultimo anche nelle elezioni generali del 1924, le forze le più decise a battersi contro il fascismo -- le forze socialiste e comuniste - erano state indebolite e stroncate dalla scissione provocata dai comunisti prima ( 1921) e continuata dai massimalisti poi ( 1922). Tanto che il complesso dei voti socialisti era stato superiore ad un milione e 800 mila nelle elezioni del 1919, si era a stento mantenuto nel 1921 (voti socialisti e comunisti sommati insieme), ma era sceso a poco più di un milione nel 1924 (480 mila circa i socialisti unitari, cioè "matteottiani"; 450 mila circa i massimalisti; 250 mila circa i comunisti). Mentre retrocedevano quasi nèlle stesse proporzioni i "popolari" (cattolici) e scomparivano quasi le altre opposizioni (repubblicani, radicali, giolittiani, liberali-amendoliani). Non sarà la prima nè l'ultima volta che storici frettofosi cercheranno capri espiatori ai quali addebitare sbrigativamente il dolore che suscita in loro il trionfo dei peggiori sui migliori, ·e si esimono così dal dovere di "ficcar lo viso in fondo" sulle cause di quel tale trionfo. Ma tale misconoscimento della verità non ha mai giovato alle rinascite future; e ci è parso dunque doveroso di render giustizia allo stato maggiore - l'Aventino - che nel 1924, tentò, pur senza fortuna, di galvanizzare l'esercito dell'opinione pubblica italiana battuto da ormai 19 mesi; anche se aveva continuato a_lasciar morti eroici sul terreno, in dal 10 giugno ed oltre! 15 agosto 1924 - 3 gennaio 1925. FERRAGOSTO 1924. Mussolini sa di poter tentare il colpo. Nel pubblico l'ansia sentimentale era alimentata in modo più particolare dalla scomparsa del cadavere di Matteotti. Non che tutti siano in ansia: tutt'altro! Il Partito Fascista ha riavuto un segretario dinamico: quell'avvocato Roberto Farinacci che a fine giugno aveva rifiutato di essere il difensore di Dumini, * ma che poi ... si è ricreduto. I nobiloni dell'aristocrazia romana - il Circolo della Caccia: che diavolo! - han * "Per incompatibilità professionale" come si legge in una aggiunta di sua mano, nella lettera di rinunzia. 19 BibliotecaGino Bianco

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