Quaderni di cultura repubblicana

dato soltanto come rappresentante degli interessi di un ceto, e spesso è odiato anche dove non sia odiato questo ceto". E · bisogna leggere gli scritti di Franchetti, di Pani Rossi , di Rinaldi, di Fortunato per potere comprendere e stigmatizzare, sempre meno di quello che si dovrebbe, l'opera della borghesia nei Municipi, nelle Opere pie, verso le terre pubbliche, ecc.!». Si può ri levare in proposito che le esattissime osservazioni dello scrittore offrono validi argomenti agli oppugnatori del sistema autonomistico, quale risanatore e rigeneratore delle amministrazioni locali, del quale Colajanni fu eloquente assertore, in quanto l'autonomia accresce- non diminuisce - i poteri di coloro che del potere fanno un cattivo uso. Gli autonomisti dal canto loro potrebbero ribattere che nemmeno il Governo centrale ha saputo assolvere il compito educativo che gli spettava, appunto perché succedeva al regime borbonico corrotto e corruttore, limitandosi ad un'azione talvolta spietatamente repressiva, senza alcuna opera di intelligente prevenzione. Ma il Governo di Roma ha fatto anche di peggio: ha messo le mani in pasta nella torbida atmosfera locale preesistente per servirsene a scopo di predominio, ed invece di eliminare le clientele politiche le ha rafforzate. Sulle responsabilità del Governo Colajanni ha scritt _ pagine memorande, e basterà citarne una sola, nella quale .,. ha trascritto quanto aveva pubblicato Gustavo Chiesi su di un giornale settentrionale: « C'era da provvedere alla istruzione popolare in tutto il Mezzogiorno; ma lo Stato italiano quel poco che vi consacra, lo spende in grandissima parte nell'Alta Italia. Questo fallimento del Governo italiano nell'opera sua riparatrice è tale, che a proposito dell'analfabetismo dell'isola strappò a Gustavo Chiesi questa pagina vibrante d'affetto per la Sicilia e che come segno di viva riconoscenza sento il dovere di riprodurre: " Non è un rimprovero che vogliamo fare a quelle popolazioni, su cui tanta ombra di ignoranza si stende, ma un rimpianto al bene che per t al guisa se ne va perduto; è una protesta, una invettiva, una maledizione quasi, contro il complesso di quei sistemi che, dalla dominazione di Roma in poi, fecero considerare la Sicilia, non come terra italica, ma come terra di conquista, e vi mandarono nel corso dei secoli, proconsoli e littori, vicari e bali, viceré e scherani, prefetti e poliziotti, a levarne le 11

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==