Era implacabile critico dei dirigenti e si ricorda che, giovanissimo, in una riunione socialista, un nume del socialismo locale aveva dovuto interromperlo: « Tasi ti che ti gà le braghe curte! ». Quando scoppiò la guerra Matteotti, contrario ad essa « per ragioni di principio e per istintiva ripugnanza alla violenza fisica » pronunciò un discorso pacifista al Consiglio Provinciale di Rovigo che gli valse un processo e una condanna. La· sentenza venne poi annullata dalla Cassazione. Nel 1919 venne eletto Deputato per il collegio di Ferrara-Rovigo, nel 1921 per il Collegio di Padova-Rovigo, nel 1924-in due circoscrizioni: Veneto e Lazio. · Ma diamo aricora una volta la parola ad un testimone. « Chi riesce a richiamarsi esattamente alla memoria la figura di Matteotti - scriveva Oddinq Morgari nel 1930 - nonostante il tempo trascorso, lo vede così: piuttosto esile, snello, slanciato, molto distinto; gli occhi grigi bene aperti, la fronte piccola ed energica; il volto giovane, sempre rasato all'inglese, per lo più sorridente, altre volte distratto; il passo svelto ed' elastico che lo faceva superare di volo i corridoi e le scale... ». « Era - cor{tinuava Morgari - un analizzatore e un documentatore: specie rara in Italia, ed a chi ci segue attentamente, in queste righe apparirà che Egli è morto per questo... ». · Mai osservazione fu più profonda e più giusta. Egli infatti proprio per la documentata. requi'sitoria nei· confronti della violenza fascista, proprio per la precisiohé e 'la inequivocabilità delle Sue accuse, fu soppresso dalla canaglia fascista. Del nefando delitto non vogliamo qui parlare, vogliamo, ancora una volta dare la' parola ad un testimone, all'uomo che sopra ogni altro seppe esprimere l'angoscioso sentimento di tutti, al socialista democratico che gli era stato maestro e padre:- Filippo Turati. Ea salma dèll'Eroe viene trasportata per l'inumazione al Sua Paese natio, a Fratta Polesine, in un vagone ferroviario. « Quando nella scialba mattina - ricorda Turati - dentro il borgo che era tutto silente come un campdsanto, il feretro fu portato a braccia di compagni dalla staziohe alla casa, il salotto a terreno era già convertito in Cappella ardente. Poco dopo, annunciata da un ansioso mormorio degli astanti, scendeva, barcollando, la Signora Isabella, la madre. La vedemmo lanciarsi sul feretro come indemoniata, nell'atto di una lupa cui si fossero uccisi i lupetti, e stringendolo convulsa come se non volesse abbandonarlo mai più, la udimmo errompere in un fragore di ululati e di imprecazioni che l'animo non mi regge di ripeterle tutte. « I me l'à coppà sti assassini! sti assassini! i zè lori, i zè lori. El me Giacomo i me l'à assassinà ». E urlava i nomi e i cognomi degli assassini, incurante di sè, nella sacra i"tangibile immunità che era di Lei sola. La dovemmo afferrare e trascinare a forza nel giardino, donde le ultime grida, dal petto esausto, dileguarono nella campagna. E in quel momento mi parve che quella larva di umanità, quella superstite ai suoi nati e a se stessa, quella morta che si torceva, quella sepolta viva in se medesima, raffigurasse, inconsapevole, l'Italia ugualmente assassinata. Guglielmo Shakespeare non scrisse mai nulla di più terribile, di pit1 grande ed orrendo ». - 4 - BibliotecaGino Bianco
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