Volontà - anno XX - n.10 - ottobre 1967

geometria a quattro dimensioni - non cessano di perdere il loro carattere se– condario ed oggettivo in rapporto a ciò che mise in moto tali meccanismi. Questo per non porre sul t.:lppeto la di per sè tanto problematica distinzio_ ne tra materia o corpo cd anima o psiche. In effetti io mi incontro con t;na certà mia volontà, con una certa mia mcmo,·ia - lassa o elastica che sia - con una certa dose di intelligenza, di cui non son ,·esponsabile, a rigori, per– chè tut!c queste cose non me le son date io. Sono esse una dote, ma pro– blematica - possono atrofìzzarsi e mo– rire, come svolgersi in avanti. perre– zionarsi; ma non mai mutclrsi da quel– le che sono -. Sono strumenti che mi son mt::ssi a disposizione, come stru– mentale è la funzione del mio corpo con annessi e connessi, senza del qua– le invero io non posso vivere, ma la cui finalilà non è la mia, in quanto i miei destini di uomo ad altro mi chia_ mano che ad essere un semplice corpo. La verità ama nascond~rsi; per que– sto i Greci antichi la chiamavc1no alé– theia, svelamento o scoprimento di ciò che sta celato in una pellicola che è affatto secondaria e non sostantiva. lo non sono la mia anima, né tanto meno il mio corpo; Entrambi questi elementi mi son dati assieme alla mia circo~tanza storica politica sociale eco– nomica geografica. lo non son nulla di tul!o questo in senso specifico. Ma precisamente son quello che ha da ve– dersela con tutte queste cose, quello che « dov1·à,. aver rapporto con ciò che lo costituisce e ciò che lo circon– da, e tutto ciò, ampliando il termine, può essere conglobato e significato sot to la parola «circostanza». lo dunque, condizionato, quasi necessitato dalla circostanza non coincido con essa, o meglio non coincido in quanto mi è di più specifico, I'« io». L'« io», dunque, è quegli che ha da vedersela nel rapporto con questa sua condizionalità, ed ha da vedersela pro– prio pcrchè un genietto malefico s'è pigliato lo spasso di catapultarlo in questo mondo, a sua insaputa. Ed umi volta in questo mondo non gli resta che una cosa da fare: vivere. IL La vita come necessità. lo, dunque, son quegli che vive, an– zi deve vivere la mia vita e servirsi a tal uopo degli strumenti di cui è in possesso. La vita si presenta così come com• pito ineludibile, fatale. Non vale l'ob– biezione che si può evitare di vivere uscendo dalla vita, per un deciso atto di volontà. Questo atto di volontà - se non nel contenuto specifico del ,·a– iuto, certo in quellQ formale dell'atto volitivo - è necessitato anch'esso, perchè il suicidio, come forma di de– cisione sia pur radicale, non è altro che l'affermazione di un tipo di vita, quello appunto che si dà nella caratte– ristica del non esserci come vivente. Dunque la vita, in una delle sue di– mensioni più qualificanti, si pone co– me « necessità di vivere». Necessità, si badi bene, non relativa ma assolu– ta, in quanto non vi è un ponte di passaggio trn l'attimo della preesisten– za e il fatto dell'esistenza, della mia esistenza. lo non rispondo del fatto di avere la vita, non posso rispondere in maniera alcuna: essa mi « è stata Ja– ta ». Tu11avia il vivere, la vita mia, quel• la di ciascuno è il fattore, per così di– re, radicale o primario. quello su cui 595

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