Volontà - anno XX - n.7 - luglio 1967

nati a vivere nelle nostre città coslrui– te dalla ~pcculazione privata, senza a– ree libere, senza campi da gioco, sen· za parchi. 11 che \ uol dire una cosa sola: il nostro disprezzo per la natura, causa prima delle alluvioni e quindi della distru1.ione cli beni ed opere d'ar– te, altro non é che il risultato diretto del no~1ro profondo disprezzo per l'uo– mo. L'avvenire La base di un futuro meno tormen– tato ed incerto si trova, ed è la prima cosa che occorre dire con fermezza, nrlla realizzazione di un modo di go. vcrnarc il pili possibile lontano da Ro– ma. nella realizzazione cioé di una am– ministrazione che parta veramente dal bas30, praticata eia gente competente del luogo (comune, provincia, regione) e non cla funzionari itineranti, sballot– lati a ~econcla dei capricci di una bu· rocrazia centrale. E poi. ci vuole un rimboschimento inten30 e serio, un dragaggio assiduo del Ictio e dove ciò è necessario la cor– rczionc del corso dei fiumi; ed invece d1 perdere ancora tempo e miliardi con elevazioni provvisorie, ci vogliono veri argini, 3olidi cioè seriamente costruili, eh<' ~pazzino via, incominciando dai punti più pericolosi, quelli attuali fra– gili e insufficienti «Senza il bosco, la terra non tiene, il fiume croci!', il Ictio si alza, non si draga e gli uomini riparano alzando gli argini. Più il fiume sì alza, più si alnno gli argini e più aumenta il pe– ricolo. Poi, ttn bel giorno, viene la pie– na, il fiume rompe i deboli argini e allaga la pianura sottostante». Anche a rischio di ripeterci è bene precisare che in una foresta di buona densità le piogge, anche quelle intense e prolungate, sono evaporate o assorbi– te dalla vegetazione e che solo un ter– zo alimenta, con moto lento e a distan– za, sorgenti e fiumi. E' perciò pratica• mente annullato il deflusso superficia– le (che origina i pericolosi processi di erosione, i-uscellamento e frana): a se• conda della pendenza dei terreni bo– schivi questo deflusso può essere del 2 cd arrivare ad un massimo del 10% nei terreni nudi invece si arriva in certi casi limite fino al 50-60% (si trat– ta di dati citati del professor Susmel df'll'Università di Padova). Milioni di alberi da piantare dunque, anche e soprattullo nelle pendici ap– penniniche dove, forse, la degradazione della foresta é peggiore che nelle Alpi (Alpi e Appennini ospitano i quattro quinti dei boschi italiani), rivalorizzan– do non solo il bosco ma anche il pa• scolo di montagna e di alta collina, col– pi1e durante il ventennio dalla disa– strosa «battaglia del grano», ed oggi dall'esodo: «Dei 12 milioni di ettari che si pos– sono attribuire in Italia alla montagna - 4 e mezzo nelle regioni alpine e 7 e mezzo in quelle appenniniche - oltre 8 sono a bosco, pascolo e incolto e poco più di 3 sono stati fino a ieri a coltura. D1questi ultimi una parte è in corso di progressivo abbandono per effetto del– la loro scarsa redditività e dell'esodo. Non è irragionevole supporre che tra alcuni anni la superficie effettivamen– te coltivata e di conveniente coltiva– zione sia ridotta <iella metà ed occupi, cioè, non più di un milione e mezzo di ettari, pari al 13-14% dell'intera mon• tagna. Un primo problema cui ci si trova di 405

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