Volontà - anno XX - n.7 - luglio 1967

te - che si concl!ntrano all'est di una linea che va dal nord di Cavai-tere a Migliarino all'est di Ferrara - sono mi• nacciate contemporaneamente o no, anche dalle acque dell'Adriatico il qua– le, !:>OIIO la spinta dello scirocco, si lancia all'assalto dei 45 chilometri di dighe che le proteggono: nel 1952, 1953 e 1957, per non parlare del novembre 1966. il mare ha invaso le terre. Occorre a questo punto precisare che l'esistenza delle cosiddette «valli di pc• sca• (pensiamo a quelle dì Porto Tol– le, Con1arina, Oonada e Rosolina) che, separando dal mare i terreni coltivati, rappre!:>entano talvolta oltre la metà del territorio comunale, impedisce la chim,ura completa degli accessi all'A· drialico; ovviamente il loro prosciuga– mento significherebbe la fine di un reddito importante per molte famiglie di pescatori. D'alt1'::\parte, le forti mareggiate im– pediscono il normale deflusso delle ac– que dolci, agendo in senso inverso sulle foci dt'i fiumi e del Po in particolare: a– zione di cui si intravede facilmente la gravità se si combina appunto con del– le pioggie importanti - estese a tutto il bacino quanto concentrate nel tempo, dato chl! i fiumi sono gi3 in piena a causa dello stesso scirocco che agisce nnche sulla regione alpina sia facendo fondere la neve già caduta, sia facendo piovere invece che nevicare. TI Po non de,,e però farci dimentica– re che il pericolo delle inondazioni è purtroppo reale per tutti gli altri fiu– mi dell'Italia nord-orientale: Adige (nel 1882, l76.000 ettari allagati, 75 ponti e 3.150 case distrutti. 160 fenditure negli argini), Piave, Brenta (20 alluvioni dal ISl I al 1859), Isonzo, Cordevole (si pensi allo straripamento di Alleghe nel 1771), Tagliamento (anch'esso pensile: la piana di Codripo é a 9 metri al disot– to del suo letto); e che queste inonda– zioni preoccupavano già il Senato Vene· IO. Al sud del delta packmo i torrenti appenninici sono anch'essi pericolosi: il Secchia ha distruuo nel passato Mo– dena; il Tanaro tu pure al suo auivo tutta una serie cli distruzioni; il Reno, che passa da un metro cubo a I .400 al secondo con il variare delle stagioni e scorre in certi punti a 9 metri al diso– pra del livello delle campagne, ha se– minato la pianura di detriti per una larghcrLa di oltre trenta chilometri. E' del resto alle alluvioni del Reno che dobbiamo l'insabbiamento definitivo del Po di Ferrara li miglior piano idraulico era quello dell'ingegnere Manfredi che prevedeva lo scavo ai piedi degli Appennini, e se guendo la pendice della pianura, del letto di un nuovo fiume che doveva raccogliere tutte le acque torrenziali della monragna per condurle senza dan• ni all'Adriatico. La zona compresa tra il Po ed il nuovo fiume avrebbe potuto essere regolarmenrc irrigata mediante un sistema di canali artificiali. Ma il progetto era certamente troppo gran• dioso (e non solo per una questione di soldi) per la nostra miope Italia e non venne mai realizzato. !lesta Venezia. Una città che è sem– pre stata preoccupata dai problemi j. draulici, come lo testimonia l'antica creazione del «Collegio dei Savi alle ac-que della Serenissima», diventato in seguito «Magistrato alle acque•. Le breccie provocate dal vento e dal mare attraverso i secoli, hanno rotto la continuità della diga naturale rappre• sentata dai lidi - dune e spiaggie - che proteggono Venezia da Burano al nord fino al porto cli Chioggia al sud, 399

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