Volontà - anno XX - n.4 - aprile 1967
sciando solo inlravedere il piano della coslrulione. Perchè lo scelli;::ismo teo– re1ico si muti in una nuova fede, e la morale provvisoria dia luogo all'in– stauraliOne di una nuova moralità, occorre arrivare alla nuova concezio– ne espressa ne La vita come amore che é del 1953. Per quello che qui più da vicino ci ir\tercssa, importa prendere in con– siderazione la parte centrale dell'o– pera. L'AMORE La distinzione di conoscenza filo– sofica e conoscenza scienlifica, quale si é andata configurando nella storia del– la nostra civiltà, genera sul piano pra– tico una dualità di <o: gfudizi ». La filo– sofia parte dalla pen,uasione di posse– dere il criterio di verità, così che O· gni giucÌizio viene formulato alla lu– ce dell'universale e assume un si– gnificato calegorico. Ogni giudizio di– venta « giudizio di valo1·e ». E se è vero che il filosofo ha tenuto sempre l'atteggiamento riel sapiente che pos– siede il criterio di verità, e si è fatto per ciò stesso giudice supremo, bis◊' gna pur riconoscere che di fatto tutti giudicano. Ogni uomo crede di saper distin– guere il ,,ero dal falso e giudica in conseguenza gli uomini e le cose. « La civiltà che storicamente conosciamo, scrive Spirito, é stata sempre la civil– tà della certc7.za ». Uomini contro uomini. tdbù contro tribù, nazioni con– tro nazioni, ma semp1·e tutti, singo– larmente e collettivamente, persuasi di possedere la wrltà da difendere e da fai· valere contro chi vive del male e dell'errore. Ci,iiltà della certezza o civiltà dei giudici che rifiutdno di es– sere giudicati; civiltà di tanti «io» che non sopportano di essere consi– derati « tu». (Vita come amorl'¼ o. 181). Di qui l'isolarsi dell'individuo ·e la rinuncia alla 1·eciproca compren- sionc. 11 cristianesimo che aveva avvertito l'esigenza di « non giudicare», viene presto inficiato dall'intelletualismo della filosofia greca, e finisce nel pit't vieto dommatismo e nella intolleran– za più completa. D'alt!"J. parte non può sfuggire a Spi– rito che giudicare C una necessilà di fatto, ogni parola e. ogni atto sono in fondo un giudizio. Ma fatto questo ri– conoscimento, egli cerca se è PoSSibi– le rinvenire un modo peculiare di giu– dizi che a quella necessità, almeno in parte, ci sotlragga. A questo punto ancora una volta Spi– rito si rifà al grande esempio della scienza e in essa scopre un diverso modo di considerare la realtà, un at– teggiamento nettamente antitetico a quello della filosofia. Lo scienziato, a dirla in breve, ha consapevolezza di non possedere la verità, ma di dover– la ricercare; ed ha avvertito con ciò il bisogno di sostituire i « giudizi di va• lore » con « giudizi di fatto» o di e– sperienza». Egli 1;crtanto si limita a « constatare » il fatto senza pretende– re di «valutare». Quale portata assumono le conse– guenze che derivano da questa mu– mta prospeuiva, lo 1es1imoni3.no le conquiste falle nel campo delle così dette scienze sociali, dal tempo del po. sitivismo in poi. Significativi più di o· gni altra cosa, .';ono i risultati cui sono pervenuti l'antropologia criminale e la sociologia eliminale. Là dove il giudice guarda il delin– quente com~ soggeuo responsabile e lo condanna, l'antropologo o il sociologo 217
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