Volontà - anno XX - n.2 - febbraio 1967
Non è certo possibile di doman– dare alle autorità di polizia e ra– ramente a quelle giudiziarie - che entrambi considerano la fuga co– me una e prova> di colpevolezza - di far prova di psicologia e di comprensione. Ma non c'è allora neppure da stupirsi se i pastori, a– bituati come sono alla vita libera dei pascoli, preferiscano la latitan– za (e mezus mortu che in gale– ra>: meglio morto che in prigio– ne), anche se e tanto più se inno– centi, perchè la latitanza permet– te loro di custodire quel gregge che è il loro unico e prezioso bene. Il cerchio sì chiude dolorosamen– te quando il latitante si decide a rubare per far vivere la sua fami– glia o per pagare un avvocato; quando diventa - incontrandosi per caso con i carabinieri o con chi sorveglia il bestiame desiderato - assassino. Non c'è bisogno per que sto di volersi vendicare dei testi– moni falsi. Ciò non toglie che « appena uno fermi la propria attenzione su quel complesso fenomeno sociale che è il banditismo sardo, conoscendone o cercando di conoscere tutti i ter– mini e le componenti essenziali, non può ignorare che la pratica della vendetta costituisce l'aspet– to più importante ed essenziale del fenomeno medesimo. Proprio la pratica della vendetta è, in massima parte, all'origine del fe– nomeno, del quale costituisce per cosi dire un tema fondamenta– le, (15). E con la vendetta - e s'arriva- (15) Pigll:,ru (\Mario 1959). pag. 4. Ila> - ritorniamo un po' più den– tro alla pscologia dell'uomo sardo, il quale pensa che «si unu mi of– fennet, l'offenno, est lozicu> (se u– no mi offende è logico che l'offen– derò). Da questo preciso concetto deri– va quello che il professor Pigliaru definisce, in un suo importante lavoro di filosofia del diritto, «co– hce della vendetta barbaricina>, un codice la cui realtà quotidiana ha fatto di recente scrivere al gior– nalista I. Man che e 'lelle aspre montagne della Sardegna anche i banditi seguono leggi anti– che, (16). Le azioni che «debbono essere vendicate>, lo sono in base ad u– na precisa differenziazione tra danno e offesa cioè l'azione che lede non al bene ma alla dignità Il danno patrimoniale costituisce offesa solo e quando, indipenden– te dalla sua entità, è stato pro– dotto con specifica intenzione di offendere>. Cosi - dato il con– cetto che « furat chie furat in do– mo> (ruba chi ruba dentro casa, dove casa prende il senso largo di abitato, villaggio e furto essendo qui sinonimo di abigeato, cioè di furto di bestiame) - se u– no è derubato del gregge, non si vendicherà ma si approprierà del gregge di chi pensa lo abbia deru– bato. Tanto più che il furto, fuori del paese, rientra nel sistema di incertezza della vita in campagna, perché ha la sua propria giustifi– cazione in quella necessità che de– finisce il rapporto di lotta del pa- (16) • La Slnmp:i •, Torino, 2~ rll1ll!ii:ÌO 1966. 91
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