Volontà - anno XX - n.2 - febbraio 1967

gliorare a fondo la flora dei pa– scoli anche spietrandoli, diminui– re il più possibile l'allevamento brado e itinerante con la creazio– ne di stalle o stazzi e fienili per le indispensabili scorte foraggere. In seguito, razionalizzare la tra– sformazione dei prodotti attraver– so la creazione di cooperative che permetteranno anche di sfuggire alla morsa dei monopoli del Nord Italia, ed infine migliorare la ren– dita pastorale con l'integrazione progressiva delle attività. zootec– niche a quelle agricole, creando insomma, dove il clima lo permet– te, delle vere e proprie aziende a– gro-pastorali, altrove semp!ìc~ ,v-;1. te silvo-pastorali (mentre oggi è .!.'inverso che è vero e la società rurale sarda ha un solo volto: quello pastorale con una presenza contadina). Ma, da quando la borghesia ita– liana introduce la proprietà pri– vata nelle terre di pascolo sarde che, conseguentemente, si danno in affitto, la prima necessità della azienda del p3.store - procacciarsi il pascolo - comincia a coincidere con la necessità di procacciarsi il denaro. L'affitto, richiesto in de– naro dai proprietari dei pascoli, viene pagato però dal 1830 al 1880, abitualmente, in natura: il denaro scarseggia enormemente in Bar– bagia; lo hanno nelle mani solo piccoli prestatori e piccoli commer– cianti che lo danno, in modo usu– raio, in cambio di prodotti: latte, lana, formaggio, pelli, carni. E' da quando la borghesia ita– liana (trasformatasi in imperiali- 86 sta) mette piede in Barbagia, il 1880 circa, con i primi industriali caseari, che il denaro, affluendo in maggior misura di prima e sempre più richiesto dai proprieta– ri. di terre diviene il motore dell'e– conomia di Barbagia. Da quel mo– mento la locale economia prende l'aspetto tipico di una economia coloniale. L'industriale caseario, dal 1880, giunge in Barbagia in cerca di materie prime - latte soprattut– to - che può acquistare a prezzo più. basso che altrove perchè il de– naro qui scarseggia. Egli, dal 1880, si preoccupa di impiegare il mini– mo di capitali: non costruisce ca– seifici sul posto, non porta lavorc, non accresce la ricchezza locale: incetta latte, lo ammassa sotto forma di pasta appena lavorata (per conservarla), e lo invia in continente dove questo si lavora. Nè si preoccupa poi di riversare neppure in parte in Barbagia i pro– fitti che ricava. Come si vede é una economia coloniale classica: si tratta. Le condizioni per la creazione di monopoli locali sono qui oltremodo favorevoli e la creazione di essi av– viene secondo modi classici della e– conomia coloniale: possedendo un capitale d'inizio, pagando presto e con certezza il latte, l'industriale caseario ha facilmente ragione dei piccoli concorrenti: usurai, picco– li commercianti. L'abbondanza del latte e la larghezza del territorio non gli fanno neppure temere molto i grandi concorrenti: ossia gli altri industriali caseari. La spartizione della Sardegna tra po-

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