Volontà - anno XIX- n.10 - ottobre 1966
si confessavano in un angolo della sacrestia, nell'ombra discreta, si dimentica– vano forse di confessare i peccati della carne, ne chiedevano ugualmente il per– dono e l'assoluzione: « Per tantu, di onni pecatu chi aiu commisu et operatu, confessi et asdimenticati, ofendcndu lu meu Creaturi, cum li ginochi in terra, bactendumi lu pcctu, amaramenti dicu mea culpa» (22). Questa umanissima confessione è di un cx•seminarista, Fiore Torrisi, uno dei poeti più seri e più veri della nostra generazione: << Quelli del collegio fu. rono due anni di vera prigione. Io lì, di nascosto, scrivevo poesie. C'era un altro che scriveva poesie: era urr «fratello» sui ventidue anni, colto, sagace, molto stimato dai superio1i. Ogni anno scriveva un inno a1la Madonna, che veniva poi musicato e cantato durante il mese di maggio. Il compositore era un prete napoletano, alto, assai magro. Andava in giro con la carta da musica e com– poneva musica - per obbedienza ai superiori - fischiettando a fior di labbro i motivi che gli venivano in mente e che scriveva con rapidità. Un inno dedicato alla M.:tdrc Celeste, cominciava così: « Tu vivi beata e sovrana - laddove per l'etra immortale - del nostro dolore non sale - pur l'eco lontana ...». Era un inno, in fondo, un po' pessimista per tutto ciò che diceva nelle quartine se– guenti. Un giorno ii «fratello» poeta, prossimo al sacerdozio, sparì. Tutti quan– ti ci eravamo accorti di una sua «amicizia particolare» con un ragazzo cata– nese. La condanna lo colse inesorabile. Durante l'ora di ricreazione, noi ragazzi non si poteva stare in due per via, appunto, delle « amicizie particolari »; ci voleva un terzo compagno, altrimenti non era possibile conversare. La regola del canonico fondatore dell'ordine era molto severa e non mancava di un certo fascino nel dettato, che era un po' quello di un poeta. Perchè sì, il canonico aveva lasciato una grossa raccolta di poesie religiose e di inni sacri: per quel che ricordo, non molto buoni come fattura, ma abbastanza fervidi. Ma io non scrissi poesie perchè' l'ambiente era- favorevole alla poesia. 11 mio era un modo di reagire ad una condizione, a un ambiente in cui pure si parlava di poesia, ovviamente nel senso tradizionale e retorico. C'era soltanto un prete, un « secolare » che veniva a far Jezioni, che ci parlava di poesia mo– derna, di futurismo, <li Palazzeschi o Marinetti, con l'aria di non credere molto alla contemporaneità, ma col sottile piacere di chi diceva cose un po' proibite. Sarà stato uno sfogo, il mio, ma senza convulsione. Perchè il soffio ispira• tore veniva spesso coinvolto in una dete,rminazione; scrivevo, direi, a freddo, per «evadere». E quelle composizioni erano oscure, forse perchè non deside– ravo che qualcuno ne capisse il significato, qualora i1 mio quaderno, ben na– scosto, fosse stato scovato. Avevo posto il quaderno delle poesie in fondo al banco della sala da studio, dove tenevamo tutti i nostri libri. Quando comin– ciai a scrivere sul quaderno qualche poesia che, secondo me, avrebbe potuto suscitare scandalo, nascosi l'oggetto pericoloso nel dormitorio, sotto il mate– rasso. Avevo escogitato un modo per entrnre in dormitorio senza farmi sorpren- (22) Ibidem 592
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