Volontà - anno XIX- n.10 - ottobre 1966
li frastornava e ossessionava. Più rrastornato e ossessionato di tutti, l'infelice padre della ragazza, messo dinanzi alla cocciutaggine dei due giovani, si dà a consultare, per togliersi ogni scrupolo, sacerdoti e canonici e di Catania e di Messina e di Palermo - tutta la corrispondenza è ancora gelosamente custo– dita nell'archivio - e sacerdoti e canonici. consigliando il matrimonio (ecco in un certo senso « la grande ondata cE rinnovamento» 3 rui accenna il Mac– chiavello), spostano incredibilmente 1 termini del problema e si dànno tutti a tirare in causa la dispensa propter angustlam loci, i due cugini chiedano Ja dispensa alla Corte Pontificia, dal momento che la ragazza, non avendo trovato di meglio, per la ristrettezza del luogo (propter angustiam loci), nel proprio paese, e non volendo andare ad abitare (1.1oricon un forestiero, preferisce ri• manere vicino alla sua famiglia. Una dispensa di tal fatta, all'inizio del secolo scorso, incideva per oltre il dieci per cento sul valore dei beni dei futuri sposi, ogni dispensa concessa a rappresentanti del ceto medio dei civlll fruttava alla Chiesa centinaia di onze; cento onze un bracciale non le guadagnava in tutto H corso della sua miserevole vita. E così, dopo dieci e più anni di contrastato fidanzamento, i due giovani, onnai maturi di anni, confort~ti dal diritto canonico, possono convolare a giu• ste e sante nozze, in faciem Sanctae Romanae Ecclesiae: la donna se ne morirà di lì ad un anno dal matrimonio, di parto. Il vedovo, dopo qualche mese. se ne consolerà passando a seconde nozze. Anch'esse gim,te e sante. 7) LA LETTERA DI FRA PASQUALE Ma ancora più indicativo di certo costume dei tempi ci sembra il prologo di un'altra mancata vicenda amorosa degli ultimi anni del settecento, quel prologo è in una lettera conservata nello stesso archivio privato dei Bonac• corsi; al centro dei fatti è una zia della povera ragazza, di cui si è fatto dì. scorso. Questa volta è Fra Pasquale da Taormina che scrive a Don Gaetano Bonaccorsi, giudice Civile e Criminale della Città di Linguagrossa, la lettera cli per se stessa è una denuncia spiet~ta delle illecite e criminose intromissioni di indegni esponenti del clero negli affari privati di gente, tanto devota quanto semplice e onesta. « Comecchè - scrive al Giudice Fra Pasquale, che a Linguagrossa aveva predicato la Quaresima - dalle replicate mie conferenze (cioè colloqui) fatté con V0t,tra Signoria per it noto matrimonio fra la Signora (cioè Signorina) figlia e il figlio del Dottor Don Giuseppe Calanna concreta risposta non ricevei, impersuaso da codesta città me ne partii, sul riflesso che Vostra Signoria con sincerità mostravami tutto il piacere e che riposava la sua coscienza in dare per degno sposo alla Signorina il suddetto Calanna ». Insomma il piacere del Giudice c'era, non c'era, purtroppo, quello della ragazza; e questo il Giudice, coscienziosissimo, glielo aveva fatto capire a Fra Pasquale. Nè Fra Pasquale osa negarlo nella sua lettera: • E frattanto al paterno piacere ritrosa diveniva la medesima signora Figlia; motivo per cui, bsciando]a a consigliarsi con Dio, mi trattenni a dar risposta ~l suddetto Calanna "· Ma una risposta al Ca• 589
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