Volontà - anno XIX- n.5 - maggio 1966
re, i sorprendenti e differenti sentieri che infileranno le nostre abitu– dini, siano pure le più classiche e le più conservatrici. Noi, esseri alati del secolo ventesimo, che un enigmatico destino ci fa iniziatori della prodigiosa civiltà dell'atomo, siamo affetti da una curiosa e parziale cecità di fronte ai continuo progresso dell'ingegno umano: siamo buo– ni profeti rispetto ad un futuro puramente tecnico, mentre siamo pe– santemente incerti rispetto alle possibili conseguenze morali e sociali in genere che il nuovo dio atomo imporrà alla razza umana. Qualcuno, un po' cinico, ci farà osseniare che a noi del <(presen– te)) importa sino ad un certo punto, o magari, più candidamente, nien– te del tutto, quale potrà essere il senso morale o le abitudini sociali dei nostri pronipoti in qucll'ancor lontano calendario del 2066... Si ar– rangieranno! Come ci siamo arrangiati noi rispetto alla naturale o vo– luta indjfferenza delle generazioni che ci precedettero ... Se pet- andare a lavarsi entro i malinconici canali di Marte, o per infilare l'anello di Saturno con una velocissima astronave, sarà necessario che i tre puar– ti dell'umanità vedano il sole a scacchi e che le poche scuole rimaste siano frequentate come lo sono oggi i nostri musei, questi saranno af– fari loro, futuri; e non nostri, presenti. Non è stato mai accertato che il tempo - l'eterno Cronos - possa produrre degli effetti, per cost dire, rctroat1ivi. Il tempo ha sempre un'unica direzione: l'inafferrabi– le futuro. Cosa può interessare a noi la vita che si svolgerà nel 2066 e tanto meno quella che metterà in scena il tremila e uno? Se il secolo XXI. sarà drm11nato da poche ce11tinaia di dittatori scientlfici, .-;crviti da pochi milioni di operai specializzati, e tulti gli ahri ben nu1riti, e magari viziati, entro sicure prigioni - poiché, altrimenti, in liberttt e -;enza lavoro darebbero dei seri fastidi, - a nni, generazioni suprema– mente sportive e poco complimentose, cosa può importare? Abbandonando un'espressione vagamente ironica, e forse inop– portuna per qudche lettore, diremo che sebbene l'egoismo sia conna– turato nell'uomo (anzi in ogni essere vi\ente).questo non è un diplo– ma di inevitabile- malvagità per la razza umana. Il vero problema è di orientamento. Così nel concetto di giustizia, l'uomo, in fondo, non è né giusto né ingiusto; è soltanto bene o male orientalo. Che le leggi giuridiche siano una sorta di difesa - consapevole od inconscia - di un dato dominio o regime sociale, questa è una verità; ma è una verità che, nonostante tutto, potrebbe farci intravveder~_ vi,.e 267
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