Volontà - anno XIX- n.3 - marzo 1966
le moltissime altre che, nascondendosi come bacilli, non sempre è facile sco– prire Nè è possibile pretendere di a, 1 er.:: u– na chiara coscienza sociale se la verità che lutlo è sociale non sia tanto profon_ damcnte assimilata da spingere all'a– zione. All'azione? Ma quale azione? Dopo oltre due secoli di predicazione dell'anarchismo, di poh.:miche e di re– criminazioni si è al punto di dover pur– troppo porre ancora questa domandc1, nella quale sembra sottinteso: che nul• la vi sia da realizzare; oppure che la realizzazione sia di competenza esclu· siva della comune politica; oppure che ... basta soltanto predicare e pregare poi– chè .., oc TI nostro regno non è di quest.l terra•. Però non tutti la pensano così. Non 1u1ti ~ono d'accordo che fatta la diagno– si non sia •anche» necessaria la cura. Molti invece credono che se già per polemizzare, predicare e recriminare, ben volentieri si spC'ndono in tutto il monào centinaia di miliardi di lire, sa– rebbe giusto spendere •qualche coc:a» •anche» per reaiizzare qualche cosa, \! così non imitare i predicatori a vuo• te, ma passare all'azione Ricordiamo unJ. critica in proposito: «r.<lston Levai, nel numero 10 di «Volon– tà» - 1964 - oss~rva che la propagand:\ anarchica, sostenendo ideali come quel– lo di •libel"e comunità o di lavoro e go– dlrnento di ben.i secondo le possibilità e le esigenze dcll'lncHvlduo», ~i è liMita– ta a porre delle tesi, che si sarebbero dovute dimostrare e non lasciarle in so– speso col pericolo di screditarle. Inoltre il Le\·al riporta una realic;.ti- 154 ca affermazione di Hem Day è cioè che: [....1 •una semplice cooperativa servi– rebbe la nostra propaganda meglio di tulta la caria scritta» E' una critica che, anzi, partendo eia un anarchico pili propriamente va con– siderata come autocritica, posizione giu– sta perchè una critica tanto più sarà ri_ sprttabile quanto più muova dall'auto– critica. Passare dal pensiero all'azione è spe– rimentare. E, allora, come si spiega questa riluLtanzu all'azione se, come si dice, nulla convince più dei fatti? Una società presuppone anzitutto u– na popolazione, un territorio, e, nel ca– so dell'anarchismo, orientato verso un tipo di comunità, eh~ è ritenuta univer– salmente accettabile, il passaggio all'a– zione dovrebbe essere strettamente cor– relativo alla teoria. Nel citato numero della rivista •Vo– lontà» (dicembre 1964) si parla di vii· laggi cooperativi come punti di parlen- 7,c'\ ed clementi costitutivi di un previ– sto 1ipo di comunità integrale, che ap– punto sarebbe la città cooperativa. Ora, la prima questione che si puù sollevare in proposito è che, non volen– do impegnarsi nell'azione (e chi sa poi pcrchè) preferendo invece restare nd– l'immobilità della •teoria», anche in questo campo pt:rò l! fondalo doman– darsi: ma quale teoria? Infatti si sfornano tonnellate e ton– nellate di carta per dir:! che la socic1à va male, ma nulla si dice in che modo essa dovrebbe andare, per andar bene, cadendo perciò nella stessa aberrazio– ne che si attribuisce agli altri, di fare l'accessorio prima del principale o... soltanto l'accessorio, e mai il principa• le. Se il primo obiettivo è di studiare la
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