Volontà - anno XIX- n.1 - gennaio 1966

stc le rivendicazioni di carattere etico e sociale, relegandole al posto degli a• stralli articoli di fede. Per questo ab. biamo visto che l'evoluzione tecnica e industriale non ha migliorato la situa– zione del popolo lavoratore, così come aveva sognato Saint-Simon. Questa e– voluzione tecnologica mancava delle premesse etiche precise perchè il suo lavoro arrecasse benefici alla società nel suo insieme. Ed è precisamente nelJ'epoca del tee• nicismo che sorgono le teorie più in• sociali, come se si pretendesse armo– nizzare la coscienza umana con la mec.• canizzazione: la teoria demografica di Malthus, dichiarando inevitabile la po– vertà e cercando di convincere i po– veri che « nel banchetto della vita non c'era posto per tutti »; il darwinismo sociale, che pretendeva convertire il di· ritto del oiù forte nella legge natura• le della s~cietà; la dottrina nietzschea. na della volontà di potenza, la quale giudicava la compassione con lo stig– ma del crimine. Senza dimenticare tut– ti i nuovi sistemi di economia politi– ca, che disconoscendo le essenze mo– rali e creatrici del lavoro umano, lo valutavano soltanto come una mercan– zia in più. Ma la cosa più dolorosa è il vedere come un preteso soclaltsmo scient;fico dichiari che tale evoluzione tecnica - che in reallà era la trasfor– mazione dei processi del lavoro sulle basi della meccanizzazione al servizio del grande capitalismo -, è il passo necessario per la realizzazione del so– cialismo, fatalismo questo dettato dal– le leggi naturali della evoluzione sto– rica e che non può deviare la volontà umana. Questo fatalismo economico portò all'aborto di quel desolante « so– cialismo della steppa» il quale pensa 34 soltanto a base di formule, per essere incapace di ogni inquietudine elevata e propria, poichè è carente di fede neUe sue stesse forze. « Chi non pensa col proprio cervello, deve assoggettarsi al pensiero altrui », - diceva Nettlau - e finisce per essere una cavia per gli esperimenti della politica di turno. Nettlau non era fatalista; ma sapeva che non si poteva ottenere nulla di n--Jo,·o ~e11za principì morali e senza un pensiero indipendente, e che, pur nelle circostanze più favorevoli, qual• siasi trasformazione sociale sarebbe fallita se fosse mancato lo spirito au– dace, idealismo e volontà d'azione. Per quanto i rappresentanti del dogma in· flessibile e dei concetti di evoluzione meccanica, lo qualjficassero un senti– mentale, egli sapeva che l'idealismo e– ra l'espressione più elevata dell'etica, la quale, giustamente, per aspirare al• l'lmpossibi1e, crea il possibile e stimo– la continue inquietudini di superamen. IO. Il suo anarchismo era la lotta con• tro ogni dogmatismo, anche contro quello che si poteva manifestare nel campo anarchico; ribellione serena, ma indistruttibile, cl' ardente anticon– formismo davanti ai fatti consumati e davanti alla rassegnazione fatalista del– delle moltitudini; fervente difensore della libertà, per intima convinzione, giacchè sapeva che essa è la sorgente inesauribile dalla quale presero il via tutti i grandi cambiamenti che registra la storia e perchè essa è la forza mo– trice che spinge l'uomo nella sua ansia di progresso. RUDOLF ROCKER (Tratto dal libro: Marx Netllau: El Hcrodoto de la anarquJa, pag, 90-107- traduz. di G. M.)

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