Volontà - anno XVIII - n.8-9 - agosto-settembre 1965

sventura è èrronea, contier.c - cosi come avviene pC'r molti ..iltri dei nostri er– rori - una ìmpo1·tante pari:! di verità. S,~ la sventura non è necessaria, deve però dirsi che la prosperità è dannosa. NGrt la prosperità gt"nuina e filosofìcJ., la quale si concreta in una buona salute ed in una sana inte•tigcnJ.:a, nella virtù, nella saggezza e nella capacità cli procurarsi i mezzi di sussist;!nw modesti, ma la prosperità così come è gencralmcnlc intesa, cioè quella so, rabbondanza che viene ammannita dall'ubitrio delle istituzioni umane e che spinge il corpo al– l'indolenza e la mente al letargo; ed ancora, quella prosperità che, per i nobiJi e per i principi, si concreta in un ccc.!sso di ricchezze che li allontana da ogni r~1pporto con i loro simili su un piano d'uguaglianza, che li fa prigionieri di Sta– to, adulati sì con onori e frivolezze, ma lontani dai veri benefìci della società cd anche della comprensione personale del vero. Sebbene la verità sia intrinse– camente tan1O forte da non richieder;: l'~iulo della sventura per attrarre b nostra attenzione veno ! suoi princìpi, non è rr.cno certo che il lusso e le ric– chezze abbiano la più malefica tendenza a cteformarla. s~ non difetta l'aiuto e– straneo pei risvegliare le energie della verità, dc1bbiamo stare conllnuamente in guardia contro i principi e le condizioni la cui tendenza consiste nel contrastare la ventà. Ma non è tutto. Uno dei principali elementi ddl;:i virtù è !a costanza. Molti fi!osolì greci, e Diogene più di ogni altro, si compiacevano ad insegnare quanto erano ridotte le vere nec~ssità degli uomini e qu~nto poco dipendev2. il nostro vero bcncsse1e dal capriccio degli altri. Tra i diversi e numerosi aneddoti che ci sono stati tramandati a sostegno di queste insa!gnamcnto, ne bnstcrà uno per chiarirci l'essenza di questa dottrina. Diogene aveni uno schiavo chiama. to Minosse, il quale approfittò di una oc..:::asione per fuggire. li filosofo cosi di~se: «Se Mirn:..,s~epuò vivere s~nza Diogene, Corse che Diogene non potrà vi– vere senza Minosse?". Da questo apologo scaturisce una lc;donc molto profon– d.t. L'uomo, il quale non sente di essere alla mc!rcè degli al1ri uomini, che non si sente invulnerabile di fronte alle vicissitudini delle ricchezze, s.irà incapac(~ r!i vinù infk:ssibilc e costante. Colui il quale merita r<1gioncvolmentc la fiduci::i dei suoi simili, deve ess12rc di tempra solida, perchè il suo spirito sentirà appiL"– no la bontà della sua causa; de\'e essere gioviale, p..=rchè sapoia che nessun av– vcni~nto potrà produrgli nocumer:to. A chi obiettasse che questa idea della virtù è troppo elevata, si potrebb~ risponderc che un individuo, il quale tremi davanti al sussurro del vento, il q~ialc sia incapace di :c;opportarc le avversità e la cui esistenza sia viziata eh un carattere debole cd a1·1cfatto, non può, in alcun modo, :!sscre meritevole- della nostra fiducia. Nulla può suscitare molto giustamente il nostro disprezzo quanto l'uomo il quale, spogliato dei suoi privi– legi e ridotto ::illa condizione di ur. essere c0mune, si senta preso dalla dispera– zione e sia incapace di provvcdc!re alle nec~ssit2 della sua esistenza. La fermez• za è un ::i.bilo dello spirito che sorge dal nostre. sentimento di indipendenza. Un uomo, il quale non osi conlldare nella sua immaginazione, nella sua trepidazione di fronte ad un mutam~nto di circostanze, deve essen,: necessariamente un pu– sillanime, un effeminato e un debole. Colui il quale arna la lussuria e l'ostenta- 519

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