Volontà - anno XVIII - n.7 - luglio 1965

che franco di cui ho bisogno di vivere. Certi prudori, a grattarli, inevitabil– mente si irritano! Epicuro dice, dunque, di soddisfo– re i desideri naturali e necessari, di soddisfare, quando l'occasione si pre– senta facile, i desideri naturali ma non necessari, .e di eliminare completamen– te in noi i desideri non naturali, nè necessari. Questo metodo ci renderà felici quanto possono esserlo gli dèi che noi immaginiamo. Quando non ho fame e non ho falla indigestione, quando ho mangiato e saziato la mia fome, quando non ho sete, quando non ho nè troppo freddo nè troppo caldo, sono un essere perfettamente felice. Qual è la ragione per la quale sono perfettamente felice? Sono perf;!tta– mente felice pcrchè la felicità è l'a– spettativa naturale di lutto il nostro essere; pcrchè è l'attività naturale e facile di tutti i nostri organi, degli organi fisici prima e degli organi in– terni poi. Secondo Epicuro, i piacen del corpo sono i primi. Le gioie dello spirito non possono venire che dopo: essi si appoggiano, come su una base neces– saria, sui piaceri del corpo, li nostro spirito non può manifestare un'ope– rosità bella e gioiosa se il nostro cor– po non ha ricevuto le facili soddisfa– Lioni di cui ha bisogno. Tuttavia, questi piaceri dello spiri– to, figli dei piaceri del corpo, sono dei figli più grandi dei loro padri. Ed ecco che Epicuro arriva alla sop. pressione di ogni dolore, grazie alla dollrina di quanto egli chiama il pia– c.:ere co,;tituitivo, Innanzi tutto, sop– primiamo ogni forma di dolore, soddi– sfacendo i desideri naturali e necessa- ri. Ma se. per caso, non giungiamo a soddisfarli complctamenL.!, pcrchè non siamo riusciti a salire fin dove è sa– !ito Epicuro, saremo felici lo stesso. Se, ad esempio, io provo dolore in un punto qualsiasi del mio corpo, ciò non impedisce che abbia altri organi che agiscono liberamente e dei quali non possa interamente gioire. Non mi ri– mane che portare la mia allenzione sugli organi che agiscono liberamente invece di portarla scioccament~ sull'or. gano che soffre. Un amico mi racconta,a che, duran_ le un suo viaggio in ferro, ia, gli era capirn10 di posare inav\'ertiramentc u– na mano sullo sportello aperto del va– gone e di avere avuto due dita schiac– ciate dallo sportello, improvvisamente chiuso. Questo fallo avveniva in Nor– mandia, nel più bel mese dell'anno, al tempo della Pentecoste, mentre stava ritornando a Parigi. Senza scomporsi, l'amico si fasciò ?,Ila meglio le due dita sanguinanti, col suo fo1.zolctto, di– cendo: • Non sarete ccr1amen1e voi che m'impedirete di goder~ della bellezza dei fiori e degli alberi •. E duranle tul. 10 il viaggio, invece di essere un pia– gnucolone che soffre per le sue dita, fu l'uomo abile, l'epicureo che godette della bellezza di tutto quanto passava sotto i suoi occhi. Cerchiamo di non aumentare in noi stessi i nostri mali inevitabili. Nessu– na infolicità per dolori imposti ed arti– ficiali. Ci sono sempre in noi molte– plici gioie. ed è a queste che dobbia– mo abbandonarci, e non ai dolori. Da esseri complessi come noi siamo, cor– riamo incontro alla richczza delle no– stre gioie facendole completamente no. sire ed abbandoniamo la miseria dei nostri dolori. 429

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