Volontà - anno XVII - n.11 - novembre 1964

tutto ciò era lroppo bello. li pubblico non poteva seguirlo. Eppure non sarebbe stato difficile: era della bellezza la piì1 pura e b più semplice. Ma certo un'opera semplice, che non fosse stata nè pura nè bella, sarebbe st:1ta sicuramente più comoda. Così il giornale morì rtella sua bellezza. Accade qualche volta ad alcuni giornali, quello che accade a volte a qualche uomo: muoiono, come dice il Nietzsche, vittime delle loro virtù. Poco tempo dopo la fine de L'Associazione, Claudio Tillier, per quanto si vantasse di essere "del legno rluro e nodoso di cui son fatti i poveri» morì di miseria e di tubercolosi. Aveva quarantatrè anni. , « Di legno duro e nodoso di cui son fatti i poveri ... ». Che cosa voleva dire con questa espressione? Forse, che era egli insensibile? Non sarebbe morto così giovane ... Era infatti l'uomo piì, sensibile che si possa immaginare. Con quella sua sotlile ironia che è il pudore dei grandi sensibili, si accusava talvolta di « avere la commozione grulla». E qualche altra, diceva, che « la sensibilità è il dono di soffrire»; che è l'arte di s.1pcr togliersi le scarpe e di saper « cammi– nare scalzi sui ciottoli taglienti della vita». Com'è possibile che quest'uomo, così materialmente infelice e così squi– sitamente dotato per saper soffrire tutte le disgrazie, ci abbia lasciata un'opera che, salvo due o tre scatti di pessimismo incomprensibile, è tulla gioia, riso e gaiezza? Probabilmente perchè la sua sensibilità era equilibrala di stoicismo e di coraggio. La gaiezza del povero, diceva, è « una specie di orgoglio». E ag– giungeva che il suo più grande piacere era quello di gridare alla fortuna: « Quan– to pesante possa essere la tua mano, mai mi curverò sotto la tua mano; infi– nite che possano essere le tue flagellazioni, a ciascuna delle tue flagellazioni ri– sponderò con sarcasmo». E ancora: « Sempre, e qualunque possa essere il peso della miseria, porterò la mia miseria come i re portano i loro _diademi ». Ora che conoscete un pò la vita e il carattere di Claudio Tillier, compren– derete come il suo ric;o si aureoli di una luce commovente ed eroica. Anche pri– ma di conoscerlo intimamente, allorchè leggiamo Mio Zio Beniamino o Bella Pianta e Cornelio, sentiamo nel suo riso tutta questa commozione; sentiamo che il suo riso scavalca tutti gli ostacoli della vita come la corsa d'un ruscello i sassi d'un declivio; sentiamo quJle eroismo e quale coraggio risuoni in questa sua gaiezza. Ma se la vita e il carattere di Claudio Tillier ci mostrano il suo coraggio nella 1otta interiore per la formazione di se stesso, la conoscenza della sua opera ci mostra qual coraggio esteriore, qual coraggio in lotta contro il male sociale, riveli ancora il suo riso. Chè quest'uomo che avrebbe dovuto essere - almeno pare - tormentato e completamente assillato dalla propria sofferenza e dalla lotta contro questa propria sofferenza, pensava invece all'universo e all'uma– nità, e tentava di riformare tutto quanto gli sembrava fosse stato cattivo. Com'era distante dal concetto e dall'espressione che tanto divertiva Paolo Luigi Courier suo maestro nel libello e nella polemica, ma a lui tanto inferiore su tant'altri punti ... P<1oloLuigi Courier diceva, (vi tradurrò questo facile latino che forse avete già tradotto da voi stessi) che i monaci del medioevo avevano per regola: « Bene dicere de priore; facere officium taliter qualiter; et sinere 627

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