Volontà - anno XVII - n.11 - novembre 1964
Ogni qualvolta la curiosità o il mio inquieto umore mi spinge a leggere qualcosa nei giornali quotidiani, dove infieriscono i nostri cosiddclli umoristi; o quando apro un libro di cene collezioni, scritto da uno di coloro che se la pretende ad autore gaio: o quando scorro una qu-tlunque traduzione d'un umo– rista inglese o americano, confesso che mi arresto sovente, piuttosto disgustato. Eppure, quanto mi piacciono certe forme di umorismo! Se fra gli autori del passato provo una completa avversione per un Béroalde de Verville, in com– penso quale piacere nel leggere Rabelais! E se fuggo alla svelta un Assouci, imperatore del burlesco, che immenso piacere nel rileggere Molière! E non solo mi piacciono le risa grasse e copiose del Molière che è il Rube– ns del riso, o quelle del Rabelais che ne è il Jordaens, ma pure mi piace il sot– tile e sobrio riso del Voltaire dei Rac:conti, e il riso aspro e nagellante dello Swift dei Viaggi di Gulliver. E allora mi dom~mdo perchè possono tanto disgu– starmi certe risa, quando altre, al contrario. mi incantano e mi affascinano. Indietreggio con ripugnanza davanti a tutte le risa che altro non sono che bulloneria e mercantilismo; davanti alle contorsioni di colui che crede di di– vertirsi grossolanamente e stupidamente, per poi fare l'accatto. Al contrario mi commuovo di un'inlensa commozione, per qualunque riso che esprima dell'uma– nità. Giacchè il riso che, come ben dice il Rabelais, è la cé\rallerìstica dell'uomo, può scaturire da tutto quanto è veramente umano. Può esprimere - ed è quanto orn vedremo con Claudio Tillier - il coraggio aggressivo del pensiero in rivolta. E può anche esprimere - ciò che potrà sembrare paradoss::ile - la sensibilità. E con essa, il coraggio in lotta contro il destino, crudele ad un essere sensibile ... e - non sto scherzando -, troppo sensibile l?er non doverne ridere. C'è un antico anedclolo che ricordo sovente quando leggo gli autori gai. Annibale, definitivamente vinto malgrado il suo genio, stava parlando a Carta– gine davanti al Senato. A un certo momento, un imbecille (di questi, special– mente in materia politica, non ne son m:ii mancati!) gli fece qualche osserva– zione stupida e nello stesso tempo ingiuriosa. Annibale lo guardò e scoppiò a ridere clamorosamente. E l'imbecille tentò trarre profitto di questo rinesso, credendo di ottenere dal Senato Cartaginese un voto contro quest'uomo che si metteva a tidere dopo la disratta. Allora Annibale, con un'eloquenza che non era fatta di retorica ma di sponlaneità e di commozione, spiegò che il suo riso, più crudele di tutti i singhiozzi, era scoppiato perchè non poteva piangere ... Quante volte, leggendo alcuni dei nostri scrittori più profondi, - leggen– do, ad esempio, Molière nel suo George Dandin - ho sentito che ridono tutti i loro singhiozzi ... Un rapido esame della vita e del carattere di Claudio Tillier, ci mostrerà questo riso fatto di sensibilità e di stoica lotta contro l'espressione diretta della sensibilità. Uno studio, purtroppo rapido, dell'opera sua, ci mosterà ugualmente questo riso fotto di coraggio e di rivolta del pensiero in faccia alle assurdità della società. Così, il riso che ha mc piace, ec.prime due specie di coraggio: il coraggio della lotta interiormente contro una sensibilità superiore a quella della maggio– ranza degli uomini, e il coraggio che lotta esteriorniente contro i potenti e con- 623
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy