Volontà - anno XVII - n.1 - gennaio 1964
rare le decisioni della veriLà? La mia spo.<:.ae mia madre polrcbbero essere df'lle sciocche o delle canaglie, e, se lo fossero, quale imporLanza avrebbe il fatto di essere «mie»? «Però, mia madre per me, sopportò i dolori del pano e mi allevò durante tuLta l'infanzia». D'accordo, però quando ella si sobbarcò alla necessità di queste cure, probabilmente non fu spinta da aie.un motivo di benevolenza verso la sua futura prole. Ogni beneficio volonlario, certamente fa onore a colui che dà senza pretendere alcun utile o vantaggio. Perchè? Pcrchè un beneficio vo– lontario è una palese intenzione di benevolenza, cioè di virtù. E' la disposizione dello spirito e non l'azione eslcrio,·e quella che pmcura il i-ispetto, e, di conse– guenza, il merito di quella disposizione resta immutato se il ber,eficio è arrecato a uno o ad un altro. lo o un altro uomo non possiamo avere il diritto di prefe– rire entrambi il nostro rispettivo benefatlore individuale, giacchè nessun uomo può essere allo stesso tempo migliore e peggiore del suo simile. Il mio be– nefattore dovrà essere stimato non perchè mi concesse un beneficio, ma perchè lo concesse ad un essere umano, ed il suo merito consisterà ne!l'esatta misura del valore col quale quell'essere umano fu degno della preferenza attribuitagli. Sicchè ogni indagine su quanto prospettato avanti ci porta a considerare il merito morale del mio simile e la sua importanza per il benessere generale come l'unico modello per determinarne il tranamento al quale ha diritto. Per questo motivo, la gratitudine, un principio che tanto SO\'entc è stato il tema del moralista e del poeta, non i.· parte della giustizia e della virtù. Per gratì• tudine intendo quel sentimento che mi spingerebbe a preferire un uomo ad un altro per delle considerazioni diverse da quella della sua superiore utilità o valore: ciò significa che se, ad esempio, questa preferenza ha qualche valore di verità per me, potrebbe non averlo per un altro uomo e, conseguentemente, essa non ha in sè e per sè. valore di verit~1 (4). Ma può obbiettarsi «che il mio parente, il mio compagno o il mio benefat• tare, in molti casi, certamente beneficeranno da una parte straordinaria del mio riguardo e che, inoltre, non essendo io capace di distinguere il merito com• parativo dì ciascun uomo, giudicherò più favorevolmente soltanto chi mi ha dalO prove tangibili delle sue virLù; sicchè sarò costretto a preferire la per– sona della quale conosco il merito morale anzichè un'altra persona che può possedere una sostanziale superiorità che però è ignorata da me». La «costrizione» alla quale si fa Ct!nno è dovuta certamente all'attuale im– perfezione della natura umana: esszi può servire qu:1le discolpa del mio errore, ma non può mutare l'errore in verità, gi3cchè sarà sempre contraria alle rigo– rose ed inflessibili regole della giustizia. La difficoltà di concepire ciò è dovuta soltanto alla confusione della nostra tendenza a scegliere un'azione come azione in sè e per sè, mentre è evidente che la propensione, la quale preferisca !a virtl.1 al vizio o un grado maggiore di virtù ad un grado minore, è certamente (4) L'argomentazione sulla gralitudine è stilla enunciata chiaramentt dal Rt:,•. Jonathan Edwards ncll'Essay 011 the Nature of Truc Virluc (nota dell"autore). 55
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