Volontà - anno XVII - n.1 - gennaio 1964
senso, strumentalizzando il sacrificio, lo supera. Non accetta il sacrificio come fine, non si subordina ai superiori; non si fa vittima per farsi vittima (maso– chismo), ma per evitare altre villime. Eccettuato questo sacrificio che può prc• parare una società di eguali, è chiaro che proprio in una società di eguali ogni altro sacrificio va respinto in nome di una solidarietà che coinvolge tulli co-– loro che appartengono alla comunità, in nome di una simpatia che rende solidale il legame comunitario, in nome di una compiacenza che non p,·ctende gratitudine. La morale del sacrificio esprime la disuguaglianza degli uomini, implica la subordinazione di chi si sacrifica, cd è sempre condizionata dall'ipocrisia: giun– ge ad essere ripugnante quando, molto spesso con complicanze religiose, specula sul sacrificio, lo ritualizza, designa la viLtima: e può essere offerto anche lo uomo. Si ripete che questa condanna non tocca coloro che si sacri(icano per la felicità degli altri, e cioè, infine, per eliminare il sacrificio, eliminando la stessa struttura gerarchica che è alla radice del sacrificio. E comunque il sacrificio eroico, che non avrebbe senso in una comunità egualitaria e felice, rimarrebbe sempre valido nei confronti della natura. Sarà ad esempio sempre valido l'atto gene1 oso di chi, vedendo un fanciullo in pericolo d'essere inve– stito sulla strada, si slancia a trarlo in salvo, meltendo a repentaglio la sua vita. Così sino a quando non avremo la più estesa giustizia nella più intensa libertà, noi venereremo la memoria di coloro che sono morti per la realizza– zione di un mondo migliore o ad c:sso hanno dedicato la loro intera esistenza; sempre avvertili che se è nobile il sacrificio che si clfettua per l'umano pro– gresso, è invece repugnante il sacrificio come fine a se stesso, o suggerito dalla barbara e crudele superstizione, o condizionato dalla disuguaglianza e dalla gerarchia. Ed anche 11ei casi in cui la morale del sac.-ificio non implica la subordina– zione. non può essere conforme all'esigcnza di lealtà degli uomini, dato che comunque la morale del sacrificio implica l'ipocrisia. Colui che beneficia del sacrificio altrui (e fosse anche della madre) deve ignorare il fatto: se ne fosse a conoscenza e tuttavia dal sacrificio di quella persona traesse ancora profitlo, sarebbe disonesto. Nella storia del «picrnlo scrivano fiorentino» che ha commosso e corrotto la nostra infanzia, il sacrificio è possibile ad una con– dizione soltanto: che sia ignorato. Né vale obiettare che chi si sacrifica può essere sempre lieto di farlo. Bisog:ia guardarsi dal mettere insieme parole che non hanno senso. O quando noi facciamo qualche cosa ci sacrifichiamo, e allora l'azione è spiacevole, o proviamo piacere e allora non ci sacrifichiamo. O c'è il piacere o c'è il sacrificio! A ben considerare le cose nella morale del !-;acrifi– cio ci sono due comportamenti ben distinti: da una pane il vittimismo (che sovente si fa carnefice) e dall'altra, lo sfruttamento e il ricatto. Quando coloro che si sacrificano sono ricattati da coloro per cui sono sacrificati, si può ben dire che il processo si chiude con perfetta logicità. li vittimismo è giustamente -13
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