Volontà - anno XVI - n.8-9 - agosto-settembre 1963
contrariamente a ciò che molti pensano, la servitù non è imposta, ma è accet– tat:.t volontariamente. Molti, in effetti, ingannati dalle apparenze, credono che l'obbedienza sia imposta obbligatoriamente. Come concepire intanto che uno sparutissimo nu. mero di uomini costringa la moltitudine dei cittadini ad obbedire tanto ser– vilmente quando questi ultimi potrebbero ben resistere al sortilegio dell'auto• rità? Se non sono numerosi e forti, che cosa significa allora questa rassegna– zione agli dei inventati dai facitori di leggi? La maggioranza obbedisce, o accetta, almeno, d'obbedire, come se si pro– vasse gioia ad essere schiavi. E' qui, forse, tutta la complessità del dramma del servaggio umano. J politici obbietteranno contro questa fantasia declamatoria che l'autorità dispone di tutti i mezzi di repressione e di coazione e che il potere costituito adopera mezzi possenti per obbligare tutti all'obbedienza. Si potrebbe rispondere che, in realtà, è il popolo stesso che fornisce mezzi e carnefici per l'asservimento. Più che le forze di polizia o dell'esercito, è il vile interesse che corrode tut– to e che perpetua l'autorità. Esiste un'incredibile moltitudine d'interessi indi– viduali che gravitano intorno allo «staffile» centrale e che si ritiene non possano vivere senza di esso tanto che di esso diventano i difensori accaniti; in sostanza c'è tanta gente interessata al mantenimento dell'ordine attuale quan– ta ve n'è avida di saccheggio. E benchè la maggior parte di quei sedicenti fa– voriti soffra di questo stato di cose e riceva dei v:mtaggi illusori, tuttavia si assoggettano con giocondità ed assoggetLano, con essi, gli altri. Ecco perchè, malgrado i secoli di lotte e di riforme, malgrado la cultura cd il progresso tec– nico, i popoli si piegano al giogo stupido dell'autorità e chinano il capo ai co– mandi dei padroni. • Nati nella :.chiavitù, la menie degli uomini 11011 concepisce che possa essere diversamente ed è così che essi acce11a,10 - supinamente come si sa - l'abiezio11e d"obbedire e così sono diventlfi w1 ignobile gregge passivo e belante. Vergogna per quami - salvo qualche ostinato ribel– le - hanno dimemicato la stessa legge della loro natura: la libertà». Non si poteva denunciare tanto violentemente la nefasta influenza dell'a– bitudine che comporta la rassegnazione degli uomini e che li determina ad ac– cettare la schiavitù come un'eredità della fatalità, lasciata loro dagli antenati, allo stesso modo del puJedro il quale, dopo aver morso il freno e dopo avere scalciato, si ringalluzzisce solto il basto e si comporta docilmente per i finimen• ti me.ssigli addosso. Nasce poi qualche Ulisse, non ammansito, che tenta di guardare al di là del proprio naso. Il tiranno è pronto però ad impedirgli la libertà d'azione, sen• za dimenticare, come scrive La Boetie, che « II Grande Turco si è reso ben con– to del fatto che i libri ed il sapere, più d'ogni altra cosa, danno la possibilità agli uomini di conoscere e di odiare la tirannia ... ». Però se l'autore di Servitude Volontaire sa flagellare i codardi e gli eunu- 507
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