Volontà - anno XVI - n.4 - aprile 1963

smo inglese, e, in parte, dalla tradizio– ne accademica che risale, attraverso '-taitland, a Gierke e a quei sociologi tedeschi che reagirono contro la filoso– fia idealista tedesca. Lo ha recentemen– te ricordato il professor Edward Shils, rammaricandosi che quella, da lui defi– nita, « teoria pluralistica » sia degene– rata, « col passar degli anni, nella Fa– coltà di Scienze Politiche e di Gover– no, in un astruso e antiquato sillabo ». Egli invece la considera pronta per u– na « nuova e miglior vita», data la sua rilevanza rispetto alle necessità delle «nuove» nazioni d'Africa e d'Asia in quanto queste si dice manchino di quel– le che Gunnar Myrdal chiama infra– strutture, cioè cli « quella rete comples– sa di organizzazioni civili basate sull'in- 1eresse, di società cooperative, di au– torità locali autonome, di sindacati, di organizzazioni commerciali, di univer– sità libere, di corpi professionali, di associazioni civiche, di raggruppamenti culturali, attraverso cui sarebbe possi– bile ottenere una partecipazione più ef– fettiva di quella che si riesce ad avere istituendo i soliti governi rapppresenta– tivi ». Ebbene, io non capisco perchè il plu– ralismo (e le Infrastrutture che esso implica) debba ,,enir relegato a soste– gno di abiti politici fuori uso che si spera possano venir buoni nelle nostre povere relazioni con le « nuove » nazio– ni. Io vorrei infrastrutture più efficaci qui, da noi, e vorrei anche una più ef– fettiva partecipazione e, come Myrdal, credo ciò possa nascere dal rafforaa– mento della Società a spese dello Sta• to. Se, di fronte all'evidente impotenza degli individui e dei piccoli gruppi nel mondo d'oggi giorno, ce ne chiediamo la ragione, non possiamo limitarci a spiegarcela attribuendone la colpa al– l'accentramento del potere (il che è ov– vio), ma dobbiamo riconoscerne la cau– sa nel fatto che gli individui hanno ce– duto il proprio potere allo Stato. Come se ogni individuo, possedendo una cer– ta dose di potere, abbia permesso, per difetto, per negligenza, per sventatez– :ta o per macanza d'immaginazione, che qualche altro se ne appropriasse, rinun– ciando a farne uso da sè, ai propri fini. L'anarchico tedesco Gustav Landauer ha contribuito all'analisi di Stato e So– cietà con una frase semplice e pro– fonda: «Lo Stato non è una cosa che possa venir distrutta da una rivoluzio– ne, ma è una condizione, è un rappor– to esistente fra esseri um.iri, è un mo– do di comportamento umano: possia– mo distruggerlo contrattando allri tipi rapporti, comportandoci in altro mo– do». (Questo è un raffimimento dell'i– dea già sopra espressa: di quote perso– nali giacenti in auesa di essere usate e che, mancando l'iniziativa per fame u– so personale, vengono captate dallo Sta– to, il quale così si salvaguarda da un vuoto di potere). Siamo noi stessi, e non una astratta entità esterna, a com– portarci in uno o in un altro modo, in accordo con lo Stato o in accordo con la Società, in senso politico o in senso sociale. L'amico e curatore di Landauer, Mar– tin Buber, apre il suo saggio La So-, cletà e lo Stato con l'osservazione del sociologo americano Robert Maclver che « identificare sociale con politico è rendersi colpevoli della più grosso– lana confusione e ci impedisce di capi– re e la Società e lo Stato ». Poi, rifa– cendosi a una serie di filosofi, da Pla– tone e Bertrand Russel, delinea que– sta confusione fra «sociale» e ecpoliti· 199

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