Volontà - anno XVI - n.4 - aprile 1963

Certo che, ai primordi, quell'ente dominatore che denominiamo Stato, non poteva presentarsi che in forma rozza ed esclusivamente accentrato in pochi in– dividui. Da quegli autocrati preistorici, ai quali l'invenzione della moneta die– de un aiuto inconcepibile e che già si valuta a millenni, alla vasta e complessa imponenza degli apparati statali del nostro tempo, sembra correrci una bella differenza; ma, in fondo, si tratta di una differenza quantitativa, non di so– stanza. Se da un lato l'invenzione della moneta rappresentò una reale praticità di sc::i.mbio,d'altro canto rivelò sùbito la sua potenza implicita come strumento di dominio. E' ragione,,ole pensare che, come tutte le cose, la moneta non può aver a– vuto un'origine improvvisa; come d'altronde non può essere stata improvvisa l'apparizione dello Stato. Fu quando il mezzo cli scambio divenne sempre meno eterogeneo, ciot:, in certo qual modo, individuato su di un particolare valore di sc..1.mbio(il quale, in un primo tempo, poteva benissimo non essere moneta vera e propria), che incominciò il gioco economico tra dominatori e dominati: gioco immenso, millenario, sempre più possente e sempre più impietoso. li principio d'au1orità divenne perfetco quando ebbe la possibilità di conia– re monele per proprio conto e in esclusiva. Il primo autocrate al qu.ile balenò una simile idea, deve aver provato un brivido di potenza inesprimibile; e la mo– neta non fu certo inventata da chi cffe1tivamente lavorava, ma sicuramente da qualcuno, indubbiamente perspicace, investito di una particolare autorità. li primo fatto che ha fatto rinettere i fabbricanti di moneta - e che in un certo senso si può ritenere la prima radice di quella che oggi viene chiamata scienza delle finanze - deve essere stato quello di comprendere che la circola– zione monetaria, per essere efficace ai fini del dominio politico ed economico, deve naturalmente avere un limite; e questo limite possibilmente deve essere mantenuto a spesa di quelli che sono destinati a lavorare. Negli Stati antichi, la necessità di una tale limitazione si presentava quasi ovvia, finchè si era ncll'àmbito puramente economico. Il compenso che si dove– va dare al lavoratore -sollo forma di vii 10se era schiavo o sotto forma di salario se era libero- doveva sempre essere minimo (come per milioni di lavoratori, nel mon– do, Io è anche adesso). Perciò, automaticamente, nor. si presentava la necessità di aumentare il fondo monetario, poichè tale aumento sarebbe divenuto passivo e inu– tilizzabile. Tale necessità poteva presentarsi nei momenti di espansione politico– militare. Tuttavia, finchè il sistema monetario si mantenne su di una base e– sclusivamente metallica, non poteva avverrarsi quel fenomeno finanziario mo– derno che va sotto il termine di inflazione; anzi era praticamente impossibile per la natura stessa del mezzo d1 scambio. Di fatto le papolazioni non si sareb– bero di certo impoverite sotto una maggiore quantità di argento o di rame in circolazione. Al contrario, poteva trovarsi in difficoltà lo Stato, in quanto pote– va trovarsi da,,anti ad una reale penuria di metallo vergine da comiare; men– tre oggigiorno, con la carta moneta sempre abbondante, e col suo valore in– trinseco grandemente inferiore al valore nominale della banconota emessa, lo Staio può giocare finchè vuole, poichè i perdenti sono sempre quelli che pos• siedono le sole braccia per lavorare ... Con questo non intendiamo certo dire che l'impassibilità di provocare in– flazioni sia stata una garanzia di benessere per le popclazioni del passato, pci– chè la storia ce lo smentirebbe quasi totalmente. Se gli Stati di un tempo non 203

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