Volontà - anno XVI - n.4 - aprile 1963
co ». Il principio politico, secondo Bu– ber, è caratterizzato dal potere, dalla autorità, dalia gerarchia, dal dominio. Egli vede invece applicato il principio sociale dovunque gli uomini si unisco– no in associazioni basate su bisogni e interessi comuni. Alla domanda: • da che cosa dipen· de la preminenza del principio politi– co?», risp0nde: « Il fatto che ognuno tema di esser tradito dall'altro confe• risce allo Stato jl suo definitivo potere unificatore, che deriva dall'istinto di preservazione della stessa società. La latente crisi esterna permette allo Sta• to di tenere le redini delle crisi interne. Una durevole condizione di pace vera, p0sitiva e creativa fra i popoli, dimi– nuirebbe di molto la supremazia del principio politico su quello sociale». « Tutte le forme di governo » - pro– segue Buber -, « hanno questo in co– mune: tutte posseggono più potere di quanto sia necessario in determinate condizioni. L'eccesso di capacità di di– sporre è effettivamente ciò che noi chiamiamo « potere politico». La misu– ra di questo eccesso, che naturalmen– te non può essere computata con pre– cisione, rappresenta l'esatta differenza fra amministrazione e governo ». Egli chiama questo eccesso « il surplus po– litico» ed osserva che « la sua giusti– ficazione deriva dall'instabilità esterna ed interna, dalla presenza di crisi la– tenti fra nazioni e nelle nazioni. Il principio politico è sempre maggiore, ri· spetto al principio sociale, di quanto una data situazione richiederebbe. Il risultato è una continua diminuzione nella spontaneità sociale». TIconflitto fra questi due principi - dominio e libera associaizone - come li chiama Gierke; rajnhl e loknlti, co- 200 mc li chiama Jayaprakash Narayan - è un aspetto permanente della condizio– ne umana. « Il movimento d'opposizio– ne fra Stato e Società », dice Lorenz von Stein, « forma il contenuto dell'in– tera storia dei popoli ». Come dice Kropotkin in Sclen:za Mo– derna e Anarchia, « in tutta la storia della nostra civiltà c'è sempre stato conflitto fra due diverse tradizioni, due opposte tendenze: la tradizione roma– na e la tradizione popolare, la tradi– zione imperiale e la tradizione federa– tiva, la tradizione autoritaria e la tra– dizione libertaria )I), Tra le due correnti c'è una reciprocità inversamente pro– pozionale: nella forza dell'una sta la debolezza dell'altra. Se vogliamo raf– forLare la Società dobbiamo indebolire lo Stato. Qualsiasi totalitarismo ne è consapevole, ed ecco perchè, invaria– bilmente, distrugge gli istituti sociali che non può dominare. Sfrondato dalla metafisica in cui lo hanno avviluppato i politici e i filosofi, lo Stato può essere definito un mecca– nismo politico che usa la forza e, per i sociologi, una tra le molte forme di organizzazione sociale. Comunque, es– so « si distingue da ogni ahra forma di associazione per. l'esclusivo investi– mento di ogni potere di coercizione » (Mclver e Page: Società). Contro chi è diretto questo potere? Apparentemen– te contro il nemico esterno, ma allo scopo, interno, di tenere assoggettata la società. Ecco perchè Buber sostiene che il permanere di latenti crisi esterne met– te in mano allo Stato le redini delle crisi ìnterne. E' questa una procedura consapevole? Vuol dire semplicemente che il controllo dello Stato tocca ai malvagi? O non è piuttosto una carat-
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