Volontà - anno XVI - n.2 - febbraio 1963
aberrazioni collettive, gli esercii i auten1ici, sinceri, della bestia umana «coltivata,. CO· s1i1uiscono prove più de1erminanti delle allrc opere lclteraric, impeccabili nella loro forma, esteticamente riuscite, ma carenti della consistenza brutale e cinica della «ve• ri1à realista». Cosl, nel dominio politico-militare. della malfamata «sociologia pratica,. e delb diplomazia che fomenta e dirige occultamente la guerra, preferiamo, le dichiarazioni francamente aggressive del generale Bcrnhardi: « Dobbiamo dire e dimostrare che la guerra è ,ma necessitd vitale, un'esigenza so– ciale, un'atto artistico ... una pace prolungata affloscia gli stimoli dell'anima e debilita. le quali!(} virili del carallere. Per evitare questo pericolo, dobbiamo distruggere le utopie perverse che si moltiplicano ov1111q11e,svegliare e fomelllare nel popolo, con tutti i mezzi, gli istinti bellici e l'orgoglio nazio11ale!,.(Deutsclre Revue Aprile 1914). Possiamo reagire contro queste affermazioni con più fermezza che contro le insi– nuazioni perfide dei dirigenti di Stato, che mescolano nelle loro arringhe e discorsi tutte le espressioni sacre dell'umanità, per mascherare i loro mezzi e nobilitare i loro fini che, peraltro, sono così poco giustificati e degni come quelli dei loro nemici. Parla davanti agli operai inglesi il primo ministro Lloyd George: « /I discorso che mi .si è chieslo è dedicato all'esito degli Alleali. Se ver qualche motivo gli Alleali non otterranno la vittoria, dovremo vivere in un trisle mondo. La lolla d'oggi è la lolla conlro il mililarismo. Se s11pponessimo di non O/tenere il trionfo oggi, la civiltà del presente scenderebbe nuovamente a ciò che fu nelle più oscure epoche del passato. Paghiamo un prezzo elevato e doloroso per la nostra villo• ria. Nonostame, la somma di tutte le disgrazie wnane che dobbiamo pagare per que– sta vittoria, non raggiunge il valore dei fini per i quali stiamo lottando. Viviamo giorni vieni d'angoscie. E' come se stessimo contemplando una persona amata, che lotta con 1111a grave malattia, e noi non possiamo far altro che sperare che passi la crisi. La crisi 11011 è passata ancora, ma grazie alla fermezza dei nostri animi, vinceremo. Non possiamo permetlere, il 1110,ido intero non può permettere che si spenga 11uovamente la vita di mi/io11id'uomini e si distruggano tanti focolari». (Giugno 1918) Così redige un giornale, il discorso, tanto insipido come ipocrita, d'un dirigente di Stato. Il compito dei giornali durante la guerra è troppo evidente perchè insistia– mo qui. Sorprende ciò nonostante, il trovare nelle loro pagine tanti nomi di grandi letterali e sapienii che si posero al servizio degli «ideali» (oh, sempre gli ideali!), non facendo altro che propaganda, opera di coraggio ed esaltazione, cosiddetta educazione civica e nazionale. Il letrerato perde moltissimo della sua onoratezza e dei suoi doni creatori se scri– ve novelle e poesie di guerra; ma decade in modo deplorevole se fa anche del giorna– lismo di guerra, sia o non mobilitato. Allora, egli non interpreta tutto alla luce della propria coscienza, ma secondo gli interessi momentanei, la situazione nei fronti, i man– dati della « volontà nazionale,. che si deve mantenere e vincere, ma che occultano sol– tanto i privilegi d'una minoranza governante. Questo turifcraio vede tutto in falsi aspetti cd esagerate proporzioni. E risolve i problemi sociali e politici con una semplicità stupenda, a sua volta assurda e cinica. L'ampio alito della vita collettiva, la tragedia comune dei popoli in armi, solidali nel loro antagonismo ronato, tutto ciò che è positivo, reale e permanente nel destino di questa umanità. ingannata e sacrificata, si riduce generalmente. sotto la penna dello scriba prezzolato o del patriota esaltato, a mere destrezze di stile cd a fraseologia abitudinaria. 114
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