Volontà - anno XV- n.4 - aprile 1962

se non ,•t10le ammetterlo aperlamente, nè con sè nè con gH amici. Dopo tre o <ruattro anni di vita comunitaria, non è che ue siamo delusi; sol– tanlo abbiamo capito che vi,•ere per gli altri e con gli altri, non basla; ognuno s'è sentito nascere dentro, o ha ritrovato in sè, delle aspirazioni unicamente sue; delle cose che vorrebbe fare, cui vorrebbe dedicarsi, soltanto per la propria gioia, per il piacere di compiere il proprio deslino; nuHn di male, nulla di socialmeulc riprovevole, ma roba che non c'entra niente con la vita e gli interessi di un kiblmtz. Tornandoci, forse potremo ugualmcn1e realizzarle e altrcltauto bene; forse no; 1>uÒdarsi che lra Cfualche anno le avremo dimenticate, può darsi invece che restino sempre iu noi, come un peso, un rimorso, un sogno gettato via; come il ricordo di un atto di insincerità ,•eno noi stessi, non solo passata, ma presente e continua, anche verso i cornpugni del kibbutz. Perciò dobbiamo decidere adesso o Ira qualche mese, se dobbiamo rompere con lenta parte di noi stessi, con gli amici uuo, 1 i, co11 la comunità che ci ha accolti; altrimenti non lo faremo pili, o lo faremo male, o sarà 1roppo tardi, J>Crnoi stessi (' il nostro nuovo scopo». Ques10 ragazzo biondo - dal l'iso dolce e serio, dnll'nspello quasi 1edesco, ma così 1>ieno di cou1rncldizioni e così conscio clelln diversiti1 del ,•c1·0 - mi stupisce, perchè è come un lrutlo maturalo troppo presto: cerle sue parole hanno il sapore elci <1uarant'anni, la sua esperienza pesa il triplo della sua età, i suoi scrupoli morali contengono una vena di delu– sione che egli non vuol riconoscere. Yoram, l'economo della scuola, non intenicnc. ma ho l'i!}lpressione che in parte non condivida, in parie non prenda sul serie i discorsi del giovane; e do1>0 un poco smelle cli lollar~ con le sedie, mi mostra la scuola e <1uindi mi porta nel suo magazzino: dove restiamo <1uie1i per un'ora, salvo la visita di un'insegnante e di un ragazzo clic chiedono articoli di cancelleria. « Anche se certe volte cnpita di ttrrabbiarsi, anche se le diffieoltù rnno grandi e il futuro non è molto chiiHo, io t1ui ci sto bene e non sceglierei 11ltro vita nll'infuori di questa, per mc, per mia moglie e per i miei figli. 'ouo due bambini· (di un anno e mezzo e di selle anni), non tre come lc-i crede: la ragazza che stamat1i11a l'ha accompagnata nella mia stanza non•! r1tia figlia, anche se mi chiama papìt: è un'orfana clic è venuta dalla cillù, con altre; sono <1uiper tentare un inserimento nella ,•ita del kibbutz e a ciascuna è slata data una famiglia ado11iva, che !"aiuta iu <1ucsto passag– gio; do1>0 un certo 1>eriodo sceiz:lieranno liberamenlc. se vogliono star qui o anelarsene. fo sono con1ento cli lei, s1>ero che resti. Sono nato a Nuova York, in una famiglia molto ricca: mio padre è direttore di un grande magazzino. hanno tre auto ( 1>cr lui, per mio fra– lcllo, per mia sorella), e Ire televisori (due apparecchi, nelle famiglie omerica ne, sono ormai la norma: uno 1>er i grandi e uno per far slttr huoni i bambini). I miei sono pieni di soldi, ma non si capisce cosa ci sliano a fare in mezzo a t1111n<1uella roba, a tulle quelle comoclitì1. E' una ,•ila mcccttnica, senza senso. senza uno scopo. Due anni fa tornai a Nuova York perchè sembrava che mio padre morisse; sono rimasto meno di un 224

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