Volontà - anno XII - n.10 - ottobre 1959
23 Un giovedì sera siamo stati invilati, civilisti algerini ed europei, a una festa presso una famiglia del villaggio; ci andiamo in cinque, curio• sissimi dell'ambiente, del cibo e della gente. Entriamo in un cortilcllo chiuso da un muro alto due uomini, grande <1uan10 due stanze di una casa popolare; la metà a sinistra dell'ingresso, coperta da una tenda, è occupata dalle donne e dai bambini, <1uella a destra è buia; le persone di riguardo ai intravedono al.l'interno, nell'unico locale posseduto dalla famiglia. Per rispetto agli ospiti stranieri, e con nostro imbarazzo, fanno sgombrare fret• tolosamcnte le donne, che chiacchieravano animatamente sui tappeti della parte muminata, e ci fanno accomodare; posiamo le scarpe su un ripiano di pietra 1 che la corpo col muro esterno e stiamo a vedere: un giovine slanciato 1 dal volto simpatico, veslito della bianca gellabà come di un abi– to da festa 1 ci [a gli onori di casa 1 in luogo del padrone. Un ragazzetto gli porge un arnese di metallo lucente per lavarsi Jc mani: è una specie di catino con una cupoletta buchcreJlata al ccn\ro 1 su cui s'incastra una brocca simile a una teiera; e una salvietta per asciugarsele; così può pre– pararci il té - molle foglie di menta, pochissime di té 1 un grosso pezzo di zucchero 1 infine acqua bollente - che poi versa con gesti ampi elegan– ti e gioviali, da porgitore di gran classe 1 esattamt:ute nei bicchieri da una altezza di mezzo metro. Dopo il té anche noi dobbiamo lavarci le mani 1 asciugarcele nello atesso panno, ormai di colore ignoto, e metterci a mangiare, anche se al campo avevamo già cenato. Ci stringiamo tutti e sei - io, i due inglcsi 1 due algerini e il marocchino - intorno al vassoio rotondo 1 sul quale posa il piatto di legno simile a una tafferia, e iniziamo la difficile operazione: cacciare la mano nel cuscuss, estrarne un poco usandoJa come cucchiaia di scavatrice, aJ}pallottolare con erotici e golosi movimenti delle dita; in– fine metter metà della mano in bocca e spingere lentamente ( non come facevano i bambini dell'ahopiano, con le cicche) sul palato Ja viscida sfera. Il nostro ospite, che c'insegna con le parole e con l'esempio, divertendosi molto più di noi, finisce ogni boccata scuotendo da11a mano, con gesto deciso ma vezzoso, i resti del cuscuss, che già ave,·ano abitato la sua bocca, nel piatto comune. « Sono stato militare in Indocina tre anni 1 ci spiega i>; «eh! brutti posti quelli; mangiano in modo venmente incivile: ognuno ha un piattello, che si avvicina alla bocca; caccia dentro il cibo, con l'a}. Ira mano; e poi sempre imboscate ... ». (Ma non ·un solo giudizio politico o· morale, solo lamenti per i disagi fisici patiti). Uguale operazione delle dita, per il riso; mentre carne e contorno di verdure, ammucchiati al centro del piatto, è agevole prenderli: ciascu– no con gesti propri, liberi ed inventa1i 1 di mani e pane. Per chi ha sete gira un giovanetto, con un solo grosso bicchiere: la superficie dell 1 acqua è coperta da un sottile ( per fortuna) strato cli grasso; che scintilla piacevo}. mente, iridescente 1 come macchia dì nafta sull'asfalto, alla luce traballante della lampada a petrolio. Alla fine del pranzo ancora - e ora davvero necessaria - lavatura delle mani e della parte bassa del viso: gli arabi 1 inoltre, si cacciano il pollice lungo i denti e lo muo,•ono a mo 1 di spazzola; 58'5
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