Volontà - anno XII - n.10 - ottobre 1959

le ha, con notevole impaccio) e ci accovacciamo; poichè il terreno scende dietro le mie spalle, mi rannicchio in avanti con un assiduo sforzo della 5chiena; giro e mi torco di continuo, fra le risa soffocate, affettuose ma costanti, dei compagni algerini; e la mia rabbia. Di fronte a mc, oltre il cerchio umano, sempre al di qui della siepe che chiude la corte, vedo la capanna conica che fa da cucina, nelle famiglie dei benestanti (i pove• rissimi han solo quella e ci dormono anche). C'è gran movimento di don– ne anziane, con i bimbi sulla schiena; uno piange troppo e la madre lo passa a una bambina, che non riesce a farlo tacere; dietro di me, a meno di due metri, nel buio, una vacca sdraiata ci guarda tristemente; anche se allargassimo il cerchio, non servirebbe proprio a rallegrare il convegno. Finalmente si comincia a mangiare, raccolti in cerchietti di sei: an– tipasto di té alla menta, accompagnata da deliziosi pezzettini di intesti– no di montone, abbrustoliti, lunghi mezzo dito; il cuscuss ( grano tritato e bollito) con umido di carne (poca); riso boJlito con peperonata: un piatto solo, al centro, in cui tuui peschiamo con l(.' mani e l'aiuto del pane. È la seconda volta che noi europei del campo mangiamo così, perciò ri– fiutiamo i cucchiai; quello che ci interessa, è la festa, il matrimonio, qual– cosa di diverso insomma, da quel pasto consumato al lume di due lampade a petrolio posate in terra ( che fanno una brevissima luce, dove non oc– corre), che spesso una donna sottrae per i bisogni della cucina. Invece nulla: si fa un momento di silenzio quando un. vecchio intona, al modo ecclesiastico, una declamazione coranica, e qualcuno, anche da fuori, mangiando risponde amen. Le donne sì sono viste solo di lontano, lavorare; la sposa ( ma esiste veramente, in quella triste, affaccendata pe– nombra?) non è mai comparsa. Quando un giovine del paese, mercante d'uva ed egregio danzatore, indossa la bianca gellabà per dare inizio alla festa, vediamo gli ospiti più vicini alla porta di casa alzarsi e salutare; in tre minuti le quaranta persone sono messe silenziosamente fuori, con la gioia e l'attesa tagliata via dagli occhi. Ci mettiamo le scarpe al lume delle pile e risaliamo lentamente, scambiandoci qualche commento frivolo per attutire ]a delusione; ad N. - che ci ha rincorso, e si è avvicinato a me con la sua normale espressione, distaccata, eia giorno feriale, da uomo di affari che pensa solo ai fatti suoi - domando spiegazioni: « Vedi, non 8Ì poteva fare la festa, perchè siamo in guerra; i nostri fratelli muoiono, e l'indipendenza è ancora lontana; dopo, dopo, sarà ·tutto diverso [i com– pagni algerini approvano interamente]. E poi mia moglie la lascio là an– cora per qualche tempo: devo trovare due brande per la nostra casa, il gas liquido, montare degli scaffali ... Stasera è stato solo così ... la festa dei do– cumenti, adesso tutti sanno che siamo sposati )). << Ma perchè ti sei sposato '8.ncora, dopo tutlo quello che t'è successo; senza soldi, senza sicurezza di poter restare qui; non ti è bastata una voha? ». « No, io qui ci resto; da quando sono arri,,ato alla Maison d'Enfans, non sono mai uscito dal villaggio. Ho visto la mia ragazza due anni fa, la prima volta, ho comin– ciato a par]ade; ci siamo capiti; io sto bene con lei, lei sta bene con me, noi stiamo bene insieme ». 570

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