Volontà - anno XI - n.4 - aprile 1958
tutte le sue forme la febbre e il cui. to della violenza: esasperazione pa• triottica, romanticismo rivoluziona– rio, « fardello dell'uomo bianco », affermazione del superuomo al dilà del bene e del male, riflessioni sore. liane sulla violenza, terrore giacobi– no, fascista, bolscevico, eccetera. Di Croute a questa mo.rea, il paci• fismo, che sembrava over guadagna• to non poco terreno nel XVIII seco• lo, ha non solo indietreggiato, ma s'è lasciato andare a una sorta di mimetismo pusillanime cercando U• na via d'uscita (provvidenziale o « dialellica ») sul terreno stesso sul quale il suo avversario andava di trionfo in trionfo (o di catastrofe in catastrofe). Il pacifismo razionalista dei liberali Caceva troppe concessio– ni alla patria, e anche alla ragion di Stato; quello di un Robert Owen, di un Saiot.Simon oppure di un Proudhon (il quale si opponeva so– prattutto all'idea della « violenza ri– voluzionaria »), I' evangelismo dei q ua('cheri e poi di Leone Tolstoi, e– rano ammirati o irrisi come sogni di spiriti ingenui. Le speranze « ragio– nevoli >l, condivise da grandi masse cl' uomini, riguardavano una « lòtta finale » dopo la quale l'umanità si sarebbe trovata riunita .nell'Interna. :donale; oppure una «guerra ,finale)) (quella del 1914!) o, ancora più meccanicamente, l'effetto terrifican– cante dei congegni omicidi, cosl de. vastatori che non si sarebbe osato servirsene. Tutta l'azione di Jaurès per la pace era minata alla base dal riconoscimento di una «sovranità na– zionale,, da diiendere a ogni costo; l'antimilitarismo degli anarchici e dei sindacalisti francesi (spinto fino all'idea di uno sciopero generale dei mobilitati) mancava di prestigio mo. raie in quanto, mentre ripudiavano la guerra Cra nazioni, quegli uomini preconizzavano l'uso della violenza nella lotta di classe. Guardiamo ora da vich10 ai motivi dell'avveniione dell' uomo civile per la violenza. Per semplificare il discorso, pren– diamo come pun10 di partenza la se– guente frase di Condorcet, che espri. me la convinzione di ru1 gran nume– ro di suoi contemporanei: « Più la civiltà si diffonderà sulla terra, e pili spariranno la guel'Ca e le con. quiste, in uno con la schiavitù e la miseria ». La civilisatio,1- (parola nuova, nel XVII] secolo: non la si trova in nes– sun libro Iraucesc prima del 1765, e il dottor Johnson rifiurnva ancora di armuetterla nel suo dizionario) era concepita dallo scozzese Millar come « quella raffinatezza dei costumi che diventa una conseguenza naturu.le dell'abbondanza e della sicurezza». 1 Nel 1780, l'abate Girard definiva la polir.esse asserendo che essa « ag• giunge alla semJ,lice civiltà ciò che la devQ::.ione aggiunge all'esercizio del culw pubblico: i mezzi di una umanità più affettuosa, che $i ocCUJ>fl più degli altri, pii, ricercata>l; 2 il che suppone « una cultura più cotttinua, delle qualità naturali. o l'arte diffi· 1 Celle polireue des moeur.t qui de• ,•icill une suite noturclle de l'nbondance et dc la sécurité. (Remarques sur le com• mencements de la .tociéte, secondn edi•io• ne francese, Amsterdam, 1173). 2 Ajoute à la simple civilité ce que la dévotion ajoute à l'exercice tlu cuhe pu– blic: lei moyens d'une humanité plus ar– reclueuse, plus occupée dC11au1res, plu~ recherehée. 173
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