Volontà - anno X - n.11 - 30 settembre 1957

per l"i.nfeudnmento dcJ P.C. 11os1rauond esso, hnnr.o rotto i ponti con i comunisti. Jlnnuo rotto i ponti, con uu cuore tutt'nlt;o leggero, dopo di aver dolorosamente constalato che nel partito regna la menzogna, la mistifica. zione, il grcgaris1110 1 la. sottomissione cadaverica, dopo di aver inutilmente cercato il contatto con le masse da emrmcipare e aver finalmente capito o: rhe nel pc,rtito Comunùila fo cfosse opcrain è come il castello di Ka/J..a: è lì. presso il villagsio, se ne intuisce la presenza, r,w non. la si raggiunge mai. Alle pori.e <lel castello biuacctt 11tt, anonimo e.~crcito di fu11:zio1wri )>. 1 Quc3l11 {!ente che uc è uscita non è, in generale, passata al nemico. A.J. cr{'de, forse, che questi uomini avrebbero dovuto rimanere nel partito e cosi condividere I.i res1>ousabilitù di crimi11i o le immoralità che nella loro co– scienza disn1>provano? La solidarietit in questi casi diventa un crimine. Ma A. J. pensa che bisOE,'llRagire dul cli dentro, per poter « influire sul corpo al quote si apportienc )). Ma qua111ihnnno inutilmente 1eu1n10di farlo e l'appnrnto hn soffocato, disperse, le voci ammonitrici? Antonio Giolitti, ne C, per ora. l'ultima testimonianza. In un 1>ar1i10dcmocrntico la discussione dovrebbe essere sempr<' pos- 1;ibile senza incorrere nelle scomuniche o nelle es1>ulsioni accompagnate dnlle calunnie di « trnditore >) o di «nemico». Perchè una voltu delusi, dhigutati del partito dovrcbbt'ro <"Onlinuare a farne parte? A. J. forebbe pensare che :il di fuori del P.C. egli non vede altri partiti o raggruppamenti in cui lavorare per l'emancipazione dei lavoratori. Eppure A.J. è sbcia– li.:ta e come tale dovrebbe pensare che il suo partito è capace (o meglio dovrebbe diventare capace) di canalizzare le energie e le volont~, le spe– ranze e le aspirazioni dei delusi del P.C. che ue 80no usciti e degli altri l'he vi rimangono in unn posizione di auesa, e di riprendere il ruolo che e,so aveva presso i lavoratori agli albori del secolo. Questo per A.J. che crede nella necessità dei partili. Ma chi, come me, <"redeche l'individno, anche senza leMern, può agire nella storia, non ha imporlanza che gli esuli del P.C. aderiscano o no ad un partito. Ci souo uomini che hanno lavornto per la causo della giuslizia e della liber1ì1, ri– muucndo fuori da tutli i partiti. Di questi uomini ne abbiamo perduto, di– sgraziatamcn1e, uno recentemente: Gaetano Salvemini. Egli ha agirnto sem– J)rc il problema del l\fcridiouc, ha condotto una tenace cd eHicace lotta contro il fascismo, ha aiutato alla formazione di uomini di valore capaci di influire sugli a\'venimcnti sociali cd ha lasciato i,t eredità, anche a molti giovani della prcseute generazione, semi vitali per l'uvvenire. E' certamen- 1e stata pii, feconda In sun opera che quella di certi capi che hanno milioni <li dannro e di lolle a loro disposizione. Ma un P.C., si può obicttnre, è necessario per l'equilibrio delle for-.te in lotta, per arrestare il prepotere dei preti e tenere a freno la classe ca– pitalista. Sarebbe necessario se il par1i10 rappresenlasse veramente gli in– teressi dei suoi aderenti. Vi è invece antitesi tra il primo ed i scconcli, perciò esso risulta nemico dei lavoratori. 1 LA!l'DO 0F.LL'A1111co, Il mestiere di comunisl4, 01•ere Nuo\·e, Rom:1, 1955, p:1g. 52. 635

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