Volontà - anno X - n.1 - 1 agosto 1956
j} loro inganno - il che prova che in fin dei conti non ci ingannano sempret ma solo in date condizioni. Ma ]a cosa pi1".l notevole è questa metafora del testimonio: il testimonio è <1ualcuno cl1e riferisce intorno a qualcosa di di– verso ed estraneo da sè, qualcosa di cu..inon è stato protagonista. Qu.i dun– que b. metafora del testimonio equivale a queHa del segno - ciò che fa conoscere nlla mente qualcosa d..idiverso da sè. E se la sensazione è segno essa non contiene la garanzia della propria adeguazione alla cosa significata. Questo era già stato enunciato dagli Scettici antichi; nel Medioevo da Gu– glielmo d'Occam, e da molti altri, fra cui Bernardo ,dj Arezzo. La metafora cara a questi medievali, e che arriva fino a Cartesio, entrando con lui nella ffìlosofia moderna, è quella del dubbio iperbolicO: un essere soprannaturale potrebbe fare apparire ai nostri sensi <1uel10che non è affatto. In polemica con Benrnrdo d'Arezzo e <1negli occamis1i Nicola d'Autreconrl, e pili tardi in polemica con i cartesiani Guglielmo'@ Gravesande banno messo in evi– denza cotue 1c conseguenze di un simile aueggiamento fossero scetUche, e di uno scetticismo avente disastrose conseguenze dal punto di vista pratico. Infatti tutt.n la vita pratica, individuale e sociale, andrebbe per aria: non sarei piÌI certo dell'esistenza ciel mio cane, nè di quella d.i mia moglie, nè di quella del Presidente della Repubblica; non potrei pii1 usare con fiducia la mia macchina da scrivere (che potrebbe apprtrirmi la mia macchina da scrivne cd essere invee~ un ordigno infernale ...), nè sapere se colui con cui parlo è do,•e lo vedo, o da tutt'altra parte, o in neasun luogo affatto. Per q11csto Cartesio non ,•olcva applicare il dubbio alle foceende pratiche. rive• lamio con ciò soltanto la corit.raddi:io,ie pragnut1.ica in cui incorre chi teo– reticamente segua una tale teoria. D'altra parte, una ,•olta che ne siano ammessi i presupposti. appare rlirficile sfo sottrarsi a <111esto dubbio iperbolico sia scioglierlo. Si illudeva il hiion Cra1icello franccscnuo, Benrnrdo d'Arezzo, di poter dire che l'evi• denza sensibile prova J'esistenza dei suoi oggetti quando è naturale, ma non quando ha wrn causa soprannaturale: è stato facile a Nicola d'Autrecourt fargli osservare che essa non contiene altra indicazione della sua (< <'ausa » se non se stessa. Se vedo un cavallo, la « causa » di questa percezione è un C-8\'allo ... oppure niente. Nè il mito teologico di Cartesio risolve di più: dato e non concesso che tutta la sua barocca architettura teologica abbia un senso qualsiasi, egli riiiolvc il problema vietando a Dio tutto quello che po– trebbe mettere in forse il valore delle sue idee chiare e distinte; ma se an– che voleuimo ingoiarf' tutto questo rospo, resterebbe una folla di percezfoni della mnssima importanza teorica e pragmatica (la « penna da scrivere» del signor Krug!) che nessuno potrebbe mai d.e.durre dalle universalissime idee innate (ammesso che ce "" siano). Piì1 seria. almeno prima deJla critica dj Hume e di Kant, è l'argomen– tazione che vorrebbe risalire dalle sensazioni come « effetti » nlle loro « cause ». Effettivamente, ,per quanto oggi la psicologia abbia mostrato l'es1rema complicazione cli quei processi che chiamiamo «percezione> e o. ,ensaztòne », pare indubbio che, se non la causa, per lo meno una causa 25
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