Volontà - anno IX - n.12 - 1 luglio 1956
storia degli abusi della forza, è sem– pre scriitta dai vincitori. E' per questo che mi è difficjle comprendere le ragioni che hanno spinto Volontà 1 a riprodurre, con la approvazione deJla redazione, l'arti– colo d.i E. !fossi pubblicato su Il Moru.lo sui delitti di guerra dei na– zisti. In Francia, i quotidianl e le pubblicazioni &ono stati per dicci an. ni avvelenati da una simile lettera– tura, con l'unico felice risultato di giustificare nei lettori, con )a febbre contagiosa del tuale, la sete di puni– re, il che significa ,prendere, per re– sponsabi-le del male che è in 110(, una vittima espiatoria qualsiasi. Per es– sere in buona Cede, bisognerebbe, al. !ora, stabilire un parallelo tra i 25 mila fucilati della Resistenza (non « ostaggi » innocenti, ma la maggior 1>arte, terroristi presi eon le anni in mano) ect i 25.000 obiettori di co– scienza ledcschi ammazzati tra il 1939 ed H 1945. Ed è quello che Rossi, disgrazia– tamente, dimentica di fare. Di fronte ai campi di sterminio che funzionarono ad Auschwitz cd a1trove, bisognerebbe, per essere giusti, evocare le isole del Pacifi– co dove dei giapponesi Iurono ab– bandonati, a centinaia di migliaia, clicono, agli orrori -del cannibalismo. Infine, quando .si par1a di massa– cri dei Cuggitiv.i dalle città - bru– ciati vivi - di Bamburg, Dresda, Nagasaki e d'Hiroshima, non si ri– schia di attirarsi questa ris1>os1a: e voi? Le atrocitì, dell'occupazione da noi almeno, sono state oltrepassate da 1 Volo11tà, 11, JX, 11. 7, « La beUa guer• ra », di E. Rossi. Il Mondo, 15 nov. 195S. 660 <1uelle della liberazione. Per <1ueslo, sarebbe meglio che non ce ne occu– passimo a parte ma che parlassimo J)il1 sem1>licemente, in blocco, degli errori della guerra civile. AJl'indomani della vittoria che consegnava la metà della Germania ne.Ile mani dei russi, costoro dichia– rarono, per bocca dei loro pii1 fa. mosi sel"ittori, llia Ehrenhurg (egli stesso israelita, ex-russo bianco, ade– renle al regime aU'epoca della rea– zione staliniana): « Un buon tede– sco, è un tedesco morto ». Da parte -sua, il celebre filosofo svizzel"OJung, un ariano puro (che ha amoreggia– to lungamente con j) nazismo) affer• mava che era necessario far penetl"a• re nel coq>o e nell'anima ciel popo– lo tedesco, nel suo « incosciente ere– ditario )) ,m profondo sentimento di respousabiliti"1 collettiva. Questi due atteggiamenti si ricongiungono nel fatto che esigono dal tedesco, in quanto tale, 1>rima la vergogna cli non essere morto, J>OÌ la volontà di essere punito. Diificil.mcntc si potrebbero imagi– narc condizioni psicologiche di esi– s1enza più malsane e più ,pericolose per la 1>ace-del mondo che quelle di nna nazione criminale e fuori legge, sempre alla ricerca d.i nuove disgra– zie espiatorie e perscguend.o, alla conc1usfone di run dramma senza fi. ne, un destino di annientamento tra– gico. D'altra J>artet è conosciuto lo spirito di questa maledizione e di questo messianismo atroce che riba– disce la Germania ad un ,destino a– troce: è quel.lo di Hitler slcs.so, della sua geniale pazzia, del suo suicidio, del suo testamento spirituale verso un 4>0J)olo che non ha saputo morire tutto insieme per il suo Fuhrer. Ag• giungiamo, anche, che nè Hitler nè
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