Volontà - anno VII - n.6-7 - 15 settembre 1953
Esso basta a mostrare come sia vano, come sia antiumano, il voler dare a– gli uomini la folicit.it . Non solo essa è itnj)Ossibile, ma non è neppur ve– ro, come diceva Aristotele, che l'uo– mo as1>ira ad essa naturalmente. Ciò che l'uomo vuole naturalmente è la gioiu, cosa ben diversa dalla felici- 1?1; vuole dramnHl e inteusit:l di vi– ts1, per lo meno quando è giovane, l!-Ìtl cli spirito che di carne. Finchè c'è speranza c'è vita, dice il 1>rover– bio. E la speranza è desiderio di vit– toria, folsa cd illusoria <1uando ripo– sta nella forluna, nel beneplacito degli altri e delle circostanze, reale e sufJìciente a dar senso e gusto alla ,·ita <1uando riposta in se stessi, nel– la volontà di vittoria. L'aspirn:,;io– ne alla felicità, propria di quando la st:mchezza o alcuni colpi duri hanno infiacchito la Ueschczza e lo slancio del volere, è segno di vec– chiaia, e aeootrnzione di sconfitta, un com1>romesso colla non-vita, un sa– crificio delJa vita per la mera esi– stenza e, come diceva il poet.a lati– no, in altro contesto, « un perde.re ogni ragione di vita per conservare la pelle>>. Uno studio de11e origini, dei CO• stumi e del carattere dcBe aristocra– zie prima della loro capitolazione da– vanti a un potere centrale e della lo– ro trasformazione in organi social– mente l)arassitari moslra come si sia– no formate e distinte grazie ad una accettazione« toto corde » del dram– ma della vita. Si stabilirono e man– tennero perchè non avevano paura della "ita e quindi neppure della morte. Finirono di solito eroicamen. te, tragicamente, eh loro scomparsa S))CSSO si preannunciò in un senso di colpa c di nemesi, in una volontì, e ncccs::.it:1 d'espi::1zione. Jn tempi che precisamente pel declinare del loro predominio non sono pili lempj epi– ci, scompaiono sollo l'urto di molti fattori che però si possono ridurre ad uno solo e cioè al fattore popola– zione, proletario e tirannico per cui la ,1,rnnlità decide della qualità ed il numero del valore, il denaro dell'o– nore e, finalmente, la macchina del– l'uomo. E' per la sua apologia del nume– ro e la sua apoteosi del minimo co– mmt denominatore umano, pel libe– ro gioco dato :dl'astuzia, aU'ipocri– aia, all'inganno, alla preoccupazio– ne e all'ingordigia economica e per essere andata cli !)ari passo col mo– struoso sviluppo della fabhrilità del– l'uomo fino a trasformarlo in un a1)· f>Cndice di <JUCSlasua funzione che la democrazia si meritò i.J disprezzo di pensatori di temperamento aristo– cratico come Nietzsche. La democra– zia creò la massa e se ne trova oggi– giorno alJa mcrcè, dimentica che <111ci valori che più le stanno a cuo– re sono essi pure srori.camcnte d'ori– gine aristocratica. Troppo facilmen– te si dimentica, per esempio, che lo spirito di libertà inglese risale alfa Magna Charta, trionfo di baroni sul re, o quella francese agli autori la. tini che diedero ,,occ all'aristocrazia ronrnua in opposizione alla tiranni.i cesarea ed im1>criale. Si dimentica pure che l'aristocra– zia non è sinonimo di minoranza, che ha un ethos tutto pro1>rio e che, a malgrado dell'interpretazione mar– xisla della storia, non è una classe primamente srruttatrice. L1 oligar– chia del Cremlino è una minoranz:1 ma non un'aristocrazia poichè man– ca di un ethos autonomo e tutte le sue azioni mancano di nobiltà, per- 353
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