Volontà - anno VII - n.5 - 15 luglio 1953
ancora chiaramente individuati i confini tra la creazione popolare e quella dei grandi scrittori. « La produzione dello spirito uma– no, scrive il Taine, nelJa Philosophie de l'art, come quelle della natura vi– vente non si spiegano che mediante l'ambiente». « Per comprendere un'opera d'ar– te, un artis1a, un gruppo di artisti, bisogna rappresentarsi con esattezza. lo stato generale dello spirito e dei coshuni del tempo al quale appar. tengono. Là si lrova la spiegazione uh ima; là risiede la causa origina– ria che determina il resto». Mi pa– re che <1ueste affermazioni, fonda– mentalmente vere, contengano una J>ossibilità di C(Juivoco od un'incri– natura di errore. L'artista non è un idraulico che non ha che a far confluire le cor– renti di poesia che scorrono nel suo temp'o; egli è il rabdomante, che <1uellecorrenti trova perchè giil so– no, nei loro motivi esscnzial.i, nella sua 1>ersonalità emotiva. Il popolo non entra naturalmente nell'opera di Cervanles; è Cervantes che va al popolo e lo introduce nelle TuilJc– ries delle belle lettere. E che cos'è il. popolo se non i! reale, se non fo storia, se non la società? Per quanto mnhanime, iJ poeta non può autoritrarsi o ricalcare mo– delli o mettere insieme una galle– ria di ritraiti di famiglia se non guarda alla società, se non la osser– \'a con curiosità e simpatia. Nel Do,i Cliisciotte iJ popolo non è lo sfondo del quadro, il paesaggio slorico che dà risalto a personaggi di maniera. Il popolo non vi stil a far ]a figura del coro nel dramma ellenico, bensì è tutt'uno con l'eroe e gli sia, anzi, vicino nella figura di Sancio Panza, figura diffam:1ta dall'incoruprensione, che si è arre– stata all'aspetto caricaturale, ma che è, invece, ricca di umanità 11011 in– degna. Nelle Stroncature, Gio,•111rni Pa– llini ha dedicato al.l'opera di Cer– vantes deJle pagine che mi pare ga– reggino con Il commento e, Don Chi– sciottc di Miguel di Unamuno. Mi si conceda una nuova citazione. che mi pare gustabile. « Si pensi alJa letteratura che do– minava in Europa fino a tutto il se– colo decimosesto, cioè fino alla vi– gilia dell'uscita del capolavoro ccr– vantino. Era la letteratura, diren10 così, prevalentemente classica e mon– dana, una le1teratura fatta per i si– gnori e le signore, per i dotti e per i delicati, secondo le ricette e .le re– gole e i modelli lasciati dall'antichi- 1à. La lirica si baloccava ancora con tutto quel madrigahuuc girato e ri– girato che il Petrarca aveva piruteg– giato dai Provenzali e che poi m·e,·a impestato l'Europa; la poesia caval– leresca era scesa nei piì1 inunoudi a– bissi del ridicolo e sohmllo in Italia era :1rri,,uta a sorridere di se mede– sima coll'Ariosto e col Pulci; le tra. gedic e le commedie, meno quelle del l\facchia,•elli e dell'Aretino, ri– calcavano con ostinata scccaggine Seneca e Plauto; Je no,,eUe cran de– stinale alfa ricca borghesia e alla plebe inguantata delle corti che "i leggevano e vi imparav:mo Je piì1 graziose porcherie muorose e il ro– manzo vero e proprio, il romanzo ruoderno, il romanzo di anime e di coslumi, non esisteva che in germe presso qualche novelliere itakmo e qualche picaresco spagnuolo. In mezzo a <1ues1a letteratura a– ristocratica classicheggiante scoppiò 255
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