Volontà - anno V - n.10 - 19 luglio 1951

l1u:11lln di meglio possa fare un nomo a <1ucsto mondo è di com– peh!re con macchine o somari'! (ONTADIN"O. ~ ~on lo so. Io lavoro per nu:, per soddisfare i bisogni miei e dei miei cari. La macchina invrce non ha bisogni suoi. Va pcrchè la fanno andare e l'asino lavora perch(· ce lo costringono col bastone. lNTELI.ETTUALE. - E tu non lavori 1•crd1è ci sei costretto? 1 0n c'è (·hi ti adopera come una macchi– na o un somaro? CONTADINO. - E no. Mi Caccio so– maro da me, perchè lo ,·oglio, perchè gli assomiglio e perchè ci rieSt·o. Quel che \'Uoi dire è che c'è chi mi sfrutta, quei famosi ca– pitalisti dalla 1•ancia come un ba– rile, ma pure con di <Juelle facce 1ruci che proprio non le invidio. E se non mi sfruttano loro mi sfrut.– ta lo stato con lutti i suoi sbirracci e !'cribacchini cht: hanno le ~rinfic ancor p-iì1 leste e più rapaci. Per te f'he studi, già, l.ra capitalismo e stato c'è difTcrenz'a. Per diventare capitalista oggi quando non si na– sce occorre gran coraggio e diso– nestà. Per for !)arte dello stato il coraggio non ci \'Uole. Per tne che lavoro se non è zuppa è pan ba– gnato. Jn altri tempi, mi dice"i l'altro giorno, sarei nato schiavo o servo della gleba. M'avrebbero ~frullato oggi e <"Ome mi sfrutte– rebbero ancora se- nascessi di qua a mill'anni. "\'on ci sono che i fossi che lavorano, si sa. :Ma i fes;;i i:ono la grande maggioranza cd io sono uno di loro. F.' grazie :li fessi che va avanti il mondo. Io non mi lamento. TI lavoratore che ,;i lamf'nta è un fl'sso ('hf' i:.i f'rede furho. lo di1·0 1·lw lo s[rullamen• lo è giusto. La società, qualunque– essa sia, fa ,,i,·ere il la"·oratore o– per lo meno Io l:lscia vivere, e bisogna heuc che il lavoratore ne paghi il prezzo. Non può pagarlo a chi di dovere e lo paga al più forte. !\.fa pagarlo Jo de\'e. Se non è contento può sempre piantar lì baracca e bura1tini e andare al– l'altro mondo. Nessuno lo ferma, C'è un'altra soluzione, natural. mente: mandare all'altro momlo, chi lo s[rutta. Ma non è tanto (a. cilf'. Chi 'lo sfrulla è piì1 forte, la sa pii:, lunga, e per ogni sfrutLa– tore spacci:lto all'ahro mondo ce ne son dieci lì pronti a prenderne il posto. Senza contare che per spaèciare la gN1te all'altro morulo ci voglio– no speciali disposizioni, brulli u– mori, nervi e allenamento, quali– tà che non crescono così come le zucche ma van distillate con alam– bicchi che noi la"·oratori non li si ha. Sappiamo f"anlar rivoluzioni noi 1a\'oralori ma il Carla è un al– tro paio <li maniche. Ci vogliono specialisti al giorno d'oggi. Per far la festa ai padroni ed ai loro cagnacci occorre che la pecora si faccia lupo, che il lavoratore cessi d'essere Ja\'oratore e tliventi rivo– luzionario, Cunzionario di partito, commissario del popolo o solda– to. Mentre melle gli oppressori al muro e fa la guardia perchè non ne sorgano altri bisogna pure che qualcuno lavori per lui; non è più un lavoratore, non è più nè pecora nè 1u1lo, ma cagnaccio, ma sbirro. Che se poi a rivoluzione fatta, come si dice, ritorna a la– vorare, io dico che è un salame pcrchè ha rischiato la pclJc per niente e ritorna a farsi sfruttare. 533

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