Volontà - anno IV - n.2 - 15 agosto 1949

cui fom/ano i preti. le loro fiabe. È contro queste creden:e illusorie che noi, ci urtiamo nel nostro proposito di emaricipazione sochtle, e perciò è nostro clooore dimost.ranie la falsi1à: ir( altre parole dobbiamo noi saper dare le prove della non esisten:a di Dio. Confesso che quando mi sono tro– vata o discutere con uri sincero cre– dente StL <Jnest' argomento, mi sorw trot!(lta imbaraz::ttt<t (per colpa, for– se, delle mie defici.enze intellettua• li). Non che fossi presa da dubbi su. quello che fino allora m'era appar– sa ,ma verità tanto e/tiara, ma per– c/Lè ,1011 mi era fucile dimostrare con aluctlcmta chiare::a quella mia ve– rità all'<tvversario. Dovevo riconosce– "'• per essere 011est<1, che la negazio– ne dcll'esisten:a di Di.o mi veniva, più c/i(' altro, non dei letture, non.. da profor1di ragionamenti, ma da i11tui 0 :ioni che erano valide probabilmen– te solo per me. Ed eccomi, ora, a ripensare a quel– le irhuizioni. Q1"md'è che questo Dio che cre– devo di ar,-erco11fi11cito in qualche an– golo nCJSCosto del mio io, che crede– vo di CJ1.:er del tutto dimenticato, ha tentclt.o q11ulche riapparizione? In momenti difficilissimi della mia vita, in on• di. cmgoscia così I.erribili dn aver 1x111ra di rimanerne schiacciatc1, e q11amlo rwn crlt possibile, vici.110 a me, attorno al mio mondo, trovu– re nessuna via di scampo, nessun al– legg.erimento al peso del mio dolore. /tfo quelle riappori:ioni fugaci, ap– p1111loperchè mi ve11iuurw in quei momcriti, erano /{t prova migliore della. debolezza mia di. fJttei mome11- ti, da. c11 i sorger,·a il bisogno di atte- nuore l'urto doloroso dei fatti con 1111a qualche ill11sior1e. Cli 11omir1i, i,~ g('r1ercde, non pos– so,w e non. vogliono sopportare a lungo quei mali. fi.sici. e morali J>ei <Jrwli11cpp11rc Jr, solidarietà dei loro simili, <111and'essaesiste, può porta• re qualche rimeclio. Perciò per illudersi di sfup,girvi si afferrano disperutumer1te all'imma• gine di '"' Essere mi$terioso e onni– potente e già nella spcra.n::.adi rice• t'Crnc 1m poco di uiuto trov<mo quel periodo di quiete necessario per su– />Cmrc fu loro disperazione. Accude così w1che J>Crla morte. /..,'uomo la teme. Egli non tmol um• nt('l.tere 'che il suo destino iridivid11u– l(, è quello di nascere crescere e mo– rire, proprio come quello di Llltti gli esseri. viventi s11Lfoterra. Rifiu– ta di C<tpireche 11011 v'è ragione per– chè solo l'uomo debba essere sottrai· to in questo alla legge della natura. L'uomo fatica a capire come la viro ucquisti il suo valore, anche se è li– mit.c,ta, quando egli la impieghi co– me si deve entro il l-Cmpo in cui. es• sa dura., e come citlsc,mo di noi si cterni::i solo per quello che sa da– re di se stesso agli <1ltriper ciò che sti ICI.sciaredi buono dietro di sè. f,o uomo lm pn11ra della sm, fine, ha JXwrctdel buio cd è perciò pronto ud 11ccct./ure lu credcriza in 1111, mondo 11/truurreno, che> g/.i permette di pen– Bttre alla sua eterriitù, di non teme– re più la morte per sè. Più chiaro ancora è il processo per per cui atXude di « volgersi a dio >> u chi - per la morte di umi persorw più. c,,ra di se stesso - ha il senso cl'1111(1 irreparabile e incomprensibile m11tilo::.ione. 109

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