La Voce - anno II - n. 51 - 1 dicembre 1910

e con le carte marinare in brandelli : « li capi– tano faceva del suo meglio per far venir fuori dall'acqua (letter: far venir fuori bussando) le Isole della Società, una per una ». O questa notazione di un movimento di treni nella notte conclusa da un intraducibile canto folle di gig~nte in al– legria : « Ora1 nel cuor della notte, come il Pur– pureo Imperatore (una locomotiva cli Grande– Espresso) aveva detto, se state sulla passerella accosto al cortile cli carico 1 e guardate giù pel tracciato dei quallro binarii, alle 2,30 a. m, 1-iè prima nè <lopo, quando la Falena Bianca (altra locomotiva). che prende il sovrappiù dall'l,npe– ratore Purpureo, straccia il sud con i suoi carri color crema, dai sette scompar~imenti 1 potete udire, mentre l'orologio del cantiere batte la mezza, un suono lontano come un basso cli vio– loncello, e poi1 a cento piedi a parola: ,Vith 3 michnai-ghign3i-shtingal I Yah ! Yah I Y3h I Ein-zwci-drci-l\luttcr I Yah ! Ynb I Yah I Shc climb upon dcr s1hecplc. und sbe frigh1cn ali dcr pcoplc, Singin' michnai-ghigruti-shtingol I Ynh ! Yoh ! È 007 che cuopre le sue centocinquantasei ·miglia in duecentoventun minuti». Nell'ordine che regge una costruzione mecca– nica: le macchine cli una nave od una locomo- 1iva1 egli vede una espressione nuovn cli quel– l'ordine universale che, come in un nuovo libro -della <t Genesi » 1 neijungle Books aveva mitizzato, a mostrar in che modo ne sgorgasse quella sen• sibilità nuovamente organata, quella forza ser– rata e cordiale che nella sua intuizione è l'uomo moderno. Del resto, questo senso che egli legge nella vita meccanica, non si può meglio espri– mere che con le sue stesse parole, là dove egli ne ha data la concentrazione lirica in quel 11/r. Andrews'hymu del quale R. Browning non ha forse poesia di verità psicologica più profonda. È il monologo di un capo ,neccanico caldnista ,che, nella stanza delle macchine della sua nave 1 nell'armonia colossale dei congegni, sente vi– vere l'espressione più alta della forza che si sottomette volenterosa all'ordine eterno. Ripen– sa le tentazioni giovanili, allorchè discendeva nei porti lontani, per le vie illuminate di lanterne di carta, giuncate di fiori dal profumo acuto. << Non guardare, o Signore, i miei passi, per Gay Street ad Hong-Hong. » E il monologo sale verso Dio, fervido, austero e confidenziale, e lo scande il ritmo esatto delle grandi mac~ chine che si muovono con lampi di acciaio. « Romanzi ! A quei passeggeri di prima cl.tsse piacciono assai, stampati e rilegati in pelle! l\la cosa dicono i poeti ? Son seccato di tutti i loro cavilli e di tutti i loro rigiri : degli amori e delle colombe che essi sognano. O Signore, manda un uomo come Robbie Burns, a cantare il Canto del Vapore ... Gareggia col più nobile linguag– gio di Scozia, laggiù, l 1orchestra sublime .. ! Le manovelle fanno il basso continuo, la pompa di rifornimento ansa e singhiozza, e i grandi ec– centrici cominciano ora la loro gara sulle pu– legge ... Nel tunnel le mie dinamo fanno le fusa, cantando, come cantano le Stelle della mattina, per la gioia di essere. E questa è la loro lezio– ne: la loro lezione e la mia: - Legge, Ordine, Dovere e Soggezione, Ubbidienza, Disciplina ... - Ma nessuno si cura cli tutto questo, fuorché io che servo e capisco i miei settemila cavalli. Eh, Signore ! Essi son grandi - sono gran– di! ... » Siamo nel cuore della lirica di Kipling: la lirica della sua ultima maniera, giacchè la sua poesia ripete, nel suo sviluppo, la linea che rintrac• ciammo sotto la sua opera di prosa. 11 primo libro di Kipling (1886) fu un libro di poesie mi• litari e poliziesche, di intonazione satirica: Ou lier llfajesty's service 011/y, departmenlat Ditiies a11dotlter verses, primo germe di Barrack-Room Ballads (1892) scritte per T. A., Tommy Atkins, il nome popolare del soldato inglese : neWen– tusiasmo brutale delle quali é già la forza rea– listica del poeta imperialista di Tlie seve11 Seas (1896) e 77,e five 11atio11s (1902). L'aspetto nel quale la patria gli si present:n·a in Jnclia, era, prevalentemente, l'aspetto organiz– zato dell'Inghilterra militare 1 ed egli cantò mar– ce guerriere, canti di caserma e di galera, i canti dtl soldato giovine e del soldato anziano, ballate marinare : poesie irte cli forme dialettali e di ortografie bizzarre, interrotte di notazioni di barbari suoni, nei quali la parola, con audaci allitterazioni evoca il fragore dei tarnburi, lo strt:pito dei piedi in marcia, !o squillo delle trombe, il battere delle onde contro le carent. Le strofe, in ritmi serrati 1 portano avanti la pro– posta brutale e sfrontata, che i caudati ritor– neJli cor:ili commentano: « È finita per noi con la Speranza e l'Onore; siamo persi per l'Amore e l'Onestà. Scendiamo la scala, scalino a scalino, e la misura del nostro dolore è! la misura della nostra giovinezza ... I)io ci aiuti, noi che cono~ ::;cemmo il peggio troppo giovani ... Siamo po,·eri LA VOCE agnellini che abbiamo perso la slrnda, /Jaa, baa, haa. Siamo come pecorine che si sono sbandate 1 llaa•aa-aa I Ge111/emen-ra11kers fuori dell'orgia, dannati qui per l'eternit~. Dio abbia pietà di noi che siam tali. Baa, Ya/1 I Ba/1 I >> Ma in Seve11Seas ed in Five nations I' ispira– zione si solleva dalla curiosità coloniale, e da quel– l'enigmatico senso curioso di alcune delle poesie che nei volumi cli racconti si incastrano, quasi un a solo in una sinfonia, a tradurne in note liriche il fascino diffuso e segreto. L'attivismo che vedemmo visto colorarsi di mitologia nell'epica ·della giungla, di\'enta inno e proclama ed è celebrato dal canto in quelle forme nelle quali una nazione operosa lo celebra nella vita. Vi sono i canti delle grandi città impP.riali indiane: 13ombay << dove in mille opi– fici lavorano tutte le razze del mondo », Cal– cutta << amata dai capitani di mare, letale e ricca di oro >>, Rangoon 1 Singapore « la seconda porta del commercio del mondo», Hong-Hong, Victoria; le città bagnate dagli oceani equato– riali e quelle sui limitari delle nevi ; e vi son le risposte calme ed incitatrici che la madre patria, dalle brume settentrionali, come una gigantessa col capo nascosto tra le nebbie, manda alle figlie che operano al vivo sole. I canti dei fari di Inghilterra, che salutano del loro saluto silen~ zioso le navi che passano: « gipsie del Capo Horn, spole che tessono la trama del!' Impero», i canti dei cavi sottomarini, i canti dei com– merci, delle Colonie: ciel Canadà, dell'Australia, cieli' Africa Australe ; canti dei destroyers, de– gli incrociatori, e delle vecchie navi stanche, i canti delle dighe e delle boe che portano le campane di salvamento, i canti della artiglieria, della fanteria montata... e delle mogli degli ufficiali ; larghi di ritmo, niartellati come un pulsare cli macchine, pieni cli espressioni con– citate e riassuntive, folti di frasi e cli parole tecniche, di gerghi coloniali e marinareschi, di impronunziabili traduzioni grafiche di pronu11Zie contaminate. E, nel canto, il cinico Kipling di un tempo è così lontano che, rivivendo nella rude coscienza dei suoi rari operai dell'Impero, piglia la loro fede e la solleva nelle sut::parole, invocando sui lavori loro e sui pericoli, Jehova, il dio delle battaglie, e Maria. Così in 1-fymn be/ore action. « La terra è pie• na di rischi : i mari son neri di furore, le na– zioni tutte armale vengono sul nostro cammino: prima che noi scagliamo le nostre legioni, prima che sguainiarno la spada, Jehovah, Signore dei tuoni, Dio delle battaglie, aiutaci!. .. E tu ì\laria, trafitta di dolore, rammentati : porgi la mano e salva l'anima che torna domani davanti al Dio che la creò. Poichè ognuno nacque di donna, per ognuno, nell'estremo bisogno, per ogni ca• merata e buon combattitore, Madonna, inter– cedi! » S' intende l'entusiasmo marziale che, negli anni che videro l'apogeo cieli' imperialismo in– glese, e poi la guerra boera 1 questa poesia a– spra e possente come uno squillo di oricalchi, dovè suscitare nell'anima nazionale. La religione dell'operosità metteva capo al Dio nazionale, al Dio del dovere austero e silenzioso, e in que– sta religione si riannodava improvvisamente alla tradi?.ione. Il suo strumento diventava la stirpe, pura di sangue e di intenti, coalizzata e compat– ta. Cosi, nel brindisi dei coloni alla \'edova di \Vindsor, dopo a\'ere inneggiato « al fumo dei cento guardacoste, ai possenti lavoratori dai cin– que pasti quotidiani ed alle donne dal seno pro• fondo, alla prateria senza confine, rigata dai bi~ nari luccicanti, all'aratro fermo nel solco in– finito, alle nutrici negre con i loro canti pagani, al sole torrido, al fresco delle verande, alla not– te ed alle palme nel lume del plenilunio, e alle lucciole nelle macchie di canna eia zucchero », Kipling brindava << al cuore Jel cuore del nostro popolo, il ventoso mare ben arato, e al silenzio del nostro venerabile altare, nell'abbazia che ci fa dire 1Voi ». Questa ispirazione umile e superba, che ram– menta quella degli antichi profeti del popolo diletto da Dio 1 passa con tutto il suo impeto nei fatti della politica e della milizia, sui con– gressi ove si stipulano le alleanze, e sui silenzii nei quali si maturano le guerre 1 e diventa voce di popolo, che orienta sé stesso col proprio canto, ~i indirizza ai suoi capi ed ai popoli fra– telli, ammonisce, consiglia, minaccia. « Ricono– sciamolo schiettamente, intona\'a Kipling, dopo i tre anni della guerra boera, abbiamo avuto una lezione senza limiti, ed essa ci farà bene senza fine. Fu nostra, nostra gran colpa, e non già il giudizio del cielo .... Ora dobbiamo trarne utile. Più che lavoreremo e nH::no che discorre– remo, meglio sarà ». « Abbia~10 avuto una le– zione imperiale, possa essa fare ancora di noi un impero. « E tale è il :;enso di quel Re– cessioual /1y11m (1897), che, l'indomani del giu- bileo della Regina, sacrò Rudyard Kipling poe– ta nazionale. Tutta l'Inghilterra si ritrovava in quel piccolo canto di cinque strofe, I' Inghil– terra potente ed orgogliosa, patriottica e gra\'e 1 disciplinata e tradizionale, .tranquillamente uti• litaria, che chiedeva a Dio l'umiltà per non in– superbire del suo colossale destino, cli fortificare cli umiltà il suo egoismo lavoratore. Quindici anni son passati. I .i imperialismo inglese è in gran ribasso; la campagna antipro– tezionista fa convergere in sè gli interessi e le passioni. La questione indiana si impone con una urgenza cht anche gli organi pili calmi e fi. duciosi, per esempio il Times, non riescono a dissimulare. Questa ispirazione guerriera è già lontana nelle sue cause, se sopravvive nella compattezza ciel canto. i\h, ove i prognostici dei pessimisti, intorno al– t' insurrezione delle Indie e alle possibili com– plicazioni europee, possano un giorno aver ra– gione, Kipling avrebbe la gloria malinconica di aver .. segnato l'npogeo della potenza ingles~, non il vanto di esser riuscito a formare quella nazione ancor più forte e dominatrice ch'egli sognava e voleva preparar col suo canto. Emilio Cecchi. "LEILA Se mi è lecito render conto ai lettori di un avvenimento mio molto particolare, dirò che ho finito l'altra sera di leggere Leiln. Ci ho messo la bellezza di dieci giorni. Ho interrotto, s' in– tende, la lettura, e l'ho ripresa. E mi sono tra– scinato con il libro fra le palme, dalla sedia alla poltrona, dalla poltrona al sofà, cercando sem– pre inutilmente di vincer nel corpo quel senso cli stanchezza, di noia, di inquietudine che sen– tivo pesarmi dentro nell'anima. C'è dei libri rhe pare vi rifacciano i muscoli e il sangue ; ce n'è di quelli che ,tirano a rompervi le ossa. Quanto agli effetti spirituali, credo in coscienza che, tolto il dovere e il mestiere del critico, andare alla fine di questP- cinquecento pagine sia una quistione di gusto. Il giudizio nostro su Leila si forma e anche si esaurisce alla spicciolata, pagina per pagina, capo per capo, a mano a mano che si legge. Poichè non c'è mai un momento in cui l'autore vi prenda, per così dire, la mano, e vi sfugga improvvisamente in uno slancio generoso, di animale di gran razza. In lui l'esercizio dello scrivere è ormai senza più nessuna foga ; non ha più nessuna virtù creatrice ; è la mortifica– zione cli un'arte imbrigliata, addomesticata, stan– ca, che cammina d'un passo misurato e mono– fono, variato a quando a quando dal capriccio di uno scambielto e di un salterello. Non avete bisogno di finire il libro per capire che cosa il libro sia. L'impressione dei particolari non ha bisogno di essere fusa in una espressione sinte– tica finale. Quest'arte non ha più ispirazione, cioè non ha più unità, e non ha più relazioni di universali fra di loro: gli episodi, si capisce, hanno un principio e una fine ; ma questi sono termini materiali ; in realtà la favola non ha centro, e non ha parti maggiori e minori, non ha proporzioni, non ha costruttura, è come una fabbrica senza disegno in cui i materiali si ac– cumulano per darvi una impressione di sfalda– mento, cli generale rovina. Un principio univer– sale c'è : è il principio della decadenza dell'arte. Ormai anche le signore si sono fatte accorte che Fogazzaro <t scrive male ». Borgese dice che scrive male perchè pensa male. Tuttavia un qualunque modesto correttore di bozze po– teva darci una stampa di Leila meno inqui– nata di scorrettezze cli lingua e di sconcezze di grammatica : cose che hanno a che fare con il pensiero assai poco. Si lamenta che il Fogazzaro non abbia tra i suoi tanti ammiratori un amico che gli riveda fraternamente i manoscritti, prima che passino alla stamperia, per dar loro, non dico pulitura e finitezza, ma almeno una digros– sata. Sta bene che non si possa toccare, nè ri– fare il suo stile - e ,·edremo che cosa è il suo stile - ma si potrebbe facilmente, con qualche colpo di penna, sollevarlo al disopra di quel pi&no scolastico e retorico cui invece soggiace per la trascuratezza e la ignoranza elementare dell'autore. Ci sono in questo scrittore certi ca– ratteri così rilevati di analfabetismo, che oAen– dono non dico il nostro spirito, ma la nostra e– ducazione. Non sarebbe permesso in Francia a un roman– ziere scrivere come il Fogazzaro usa scrivere in Italia. Se la critica nostra prende cosi spesso atteggiamenti pedanteschi, gli è che la nostra letteratura continua impavida a dimostrarsi peg– gio che scolastica. I critici hanno un bel dire che ormai la questione della lingua italiana è morta e sepolta : ma gl\ scrittori sembra fac– ciano a bella posta il possibile per dimostrare che è proprio vero il contrario. E se qualche cosa è morta, 11011 è tanto la questione della lingua quanto la lingua stessa. E però il Fo– gazzaro, con tutto il rispetto che merita il suo ingegno, è tuttora ed è sempre stato uno scrit– tore incomodo, fastidioso, al quale secca ugual– mente dir delle male parole e pensarle senza dirgliele. Quesl'uomo che s'infischia della tra– dizione e della cultura; che non ha nessun ri– spetto a questi princìpi 1 pare quasi che non ri– spetti nemmeno se stesso, e questo ci offende. Quando, passati tre o quattro anni da che non si legge più nulla cli illi, ci si ritrova dinanzi la prima pagina di un nuovo suo libro, non si può f'lre a meno <.lisentir la noia e il fastidio di questa sua scorrettezza invincibilt! e la sua presenza d s,,eglia subito a suo riguardo i sentimenti più ingrati. Sarà un uomo d' ingep gno ma ha cominciato appena a parlare e non pot~te Lrattenervi dal notare quanto sia arnie~ ducato. BiblotecaGino Bianco 447 11suo stile, certo, è qualche cosa di peggio. La sua legge non è l'unità, il rilievo, lo spicco o_la sfum.atura dell'espressione, ma piuttosto la d1sgregaz.1one, lo stemperamento, la diffusione. È uno sule tutto a impressioni e espressio11i sfo– cate. Non ha forza, non ha grazia. Non mettendo mai in luce gli universali, non può nemmeno c~ar ,·ero ,·alore ai particolari. Non capisce il l~ogazzaro ~he un narratore ha parecchie parti nel suo scrivere, e deve dominar la materia c~:m. l' }ngegno superiore alle fugaci impres– s1on1. Non che nell'arte si possa creare un mondo standone al cli fuori. e lavorando alle parti ~on .la freddezza e il disinteresse spiri– tuale eh chi attende con le braccia a un'opera manuale : quesio è il procedimento accademico. ì\la non si crea un mondo né di cose nè di per• sone, se ~l questo mondo non si fa, prima, cen– tro e ragione se stessi : se non ci si mette nel 11_1ezzo cli tutte le parti, per dominarle; se non s1. è noi stessi l'unità e la legge nel gran disor– d111ee nella lunga sequenza dei sentimenti e dei fantasmi, dei pensieri e degli avvenimenti. L' immagina~ione è un elemento dell'arte, non può es:;erne 1I primo principio. li principio supremo è la fantasia, che in quello stesso che crea liberamente, ordina e dispone : dà al mon– do dell'arte la materia insieme e la forma, e or– dina gli avvenimenti intorno alla favola, e col– loca le figure e i caratteri sul loro piano e nella loro luce. Ora, questo è proprio ciò a cui il Fogazzaro non giunge. Avete un l>el cercare nel suo ro– manzo il valore della favola : non lo trovate. Avete un bel chiedervi quali siano i personaggi principali e quali i secondari, non ci riuscite. Nes• suno dirà mai se Leila è una storia d' amore o un dramma cli pensiero ; se è un'opera di co: scienza o un lavoro di imaginazione; se il ro– manzo voglia commuovere o divertire· se sia una cosa seria o una cosa leggera. È un 1 po' di tutto questo, ma, appunto, non è nulla di questo. È un'opera senza architettura, e però seliza prin– cipio e senza fine, senza luci e senza ombre; è un'ute da cui non esce una parola, ma molto balbettio di parole; è un miscuglio non ordi– nato di parti diverse e contrastanti, che par che galleggino come la scoria, sul flutto lento di uno stile ~he non ha fondo, e non ha altezze, senza qmete bellezze perchè senza tempeste. È uno stile modulato sul chiocchiolio eterno di quella fonte Riderella che a forza di sgoccio– lare vi diventa usuale e monotona, e vi persuade a un lento sopore, finchè non vi addormenta. E lo stile di un uomo che non solo non ha fantasia, ma manca di ogni principio e di ogni correttezza di gusto. ì\leglio : ha il gusto delle frasi. E nella frase connuisce insieme la corru– zione della sua lingua e il vacuo, il vano della '-Ha fantasia. Vi sono punti in cui il linguaiolo più accademico e il psicologo più acuto vanno d'accordo nel dire, ognuno con un suo senti– mento, si capisce : • qui non c'è nulla, ali' in– fuori del falso che copre il vuoto ». Per esem– pio, il signor Marcello « legge nelle nubi parole di stelle». Qui il falso è nella goffaggine del– l'antitesi, nel duro, nel pesante, nel volgare dei termini, usati a esprimere un sentimento che vorrebbe essere etereo. La espressione si è fer– mata a mezza via, si è inbozzacchita in una frase, che tutta si sarebbe dovuta disciogliere e dis– solvere nell'espressione definitiva, che non è se– guita. Non è seguita perché il poeta è manche• vole, e l'artista è poltrone, e i due non si aiu– tano, non hanno nel lavoro dell'arte nè Pener– gia nè la pazienza. Talvolta il poeta opera, rie– sce a dire. Ma allora l'artista vuole aggiungere anche lui la sua parte, e contamina la espres– sione che era nata pura. 11 signor ì\larcello ve– glia pensando commosso al suo passato e alla morte che è vicina. Accanto a lui, dice il poeta, <t la fiamma silenziosa pareva vivere e ricordare». Ma l'artista ha bisogno di violare questa purità di parole, e aggiunge << pareva intendere il tra– gico momento ». Ed ecco la poesia stemperata nella frase. Ecco il letterato di pessimo gusto che danna e condanna il poeta che era riuscito a salvarsi e a redimersi. Ogni volta che il Fo– gazzaro rende una imagine, voi vi sentite tre– mare per il timore di vedervela guastare, ma– gari alla fine, da uno di quei malvagi tocchi di penna di cui il Fogazzaro è cosi prodigo in tutta l'arte 5ua. Non si rende conto dei limiti che separano il bello dal brutto, il vero dal falso ; non ha gusto e però non ha nemmeno coscien– za dell'arte sua quando è migliore. Egli non ha senso alcuno della classicità : e sicçome la sua arte ha ora perduta la foga e dismesso l'inebria– mento romantico, non ci scopre più nulla, non ha più nè forma nè valore. Nei caratteri è la stessa cosa. È sempre la stessa atmosfera di parole che li circonda e men· tre vorrebbe dar loro il respiro e la vita, li svuota dentro e li appanna. Non sono caratteri. Sono nuclei di frasi che tentano vanamente di prendere consistenza e figura fantastica. Non possono avere profondità, per la semplice ra– gione che non hanno nè dentro nè fuori segnati e fermati i limiti dell'esser loro. Leila è una creatura poetica, o è una femmi– nella isterica ? ì\Jassimo è un uomo di coscienza o è un fallito qualunque? Come fate a rendervi conto di ciò, dal momento che lo scrittore non vi dà la misura di questi suoi cara·tteri, non vi fa mai capire quali siano i principi supremi della sua vita, e in lui la religione, l'amore, il dovere non assurgono mai alla stabilità e alla fermezza di concetti ripensati; ma sono in balla di senti– menti mutevoli sempre, e cli un giuoco di sensi che non ha mai posa, onde la sensualità si mi– schia ali' idealità 1 e le labbra di nna donna ar– dentemente desiderata nelle sue carni parrebbe che non dovessero essere labbra di donna 1 ma qualche cosa di più, cli più alto, di santo, di divino e che sappiamo noi ? C'è una confusione enorme cli valori razionali e morali in questo scrittore che passa persino per essere uno scrit– tore cli pensiero. La Sua morale non meno che la sua religione sono un equivoco. Non dunque scrittore di pensiero. N'on scrit– tore di arte. E allora bisogna cercare, per ca– pirlo, un'altra via, un altro principio. l\lovenclo dall'arte e dal pensiero noi per forza ci trove 4 remmo sempre dinanzi a lui in una posizione e in un attt::ggiamt::nto di avversione e quasi di ostilità 1 che non riusciremmo mai,, a vincere. Dobbiamo prendere le mosse meno dall'alto. Dall'uomo. dai suoi interessi, dalle sue simpa-

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